Giornata piacevole, quella che ho trascorso ieri, prima a un interessante dibattito ospitato dentro la Festa del Pd di Torino, e poi in Valsusa, a Condove, dove ho incontrato tante persone interessate e interessanti.
S’è fatto tardi, e mentre me ne tornavo bel bello a casa riflettevo se uscire dalla A4 a Santhià o a Carisio. Odio uscire a Santhià, perché la strada è più faticosa e ci sono sempre pattuglie in agguato, ma poi mi sono detto, dai, chi vuoi che sia di turno all’una e 51 di notte? Esco a Santhià.
Ovviamente, non faccio in tempo a fare e poche rotonde che tac, pattuglia: che mi ferma, anche perché nel raggio di chilometri, in giro, ci sono solo io. Con la recente tecnica notturna, sapete, quella senza paletta: un agente si piazza in mezzo alla strada e ti punta addosso una pila, col rischio che prima o poi ne metterò sotto uno e mi toccherà pagarlo per nuovo. Accosto.
Abbasso finestrino e radio, e osservo l’agente venire verso di me, dallo specchietto. Conosco la procedura, e preparo patente e libretto.
La procedura la conosco sin troppo bene, a dire il vero, anzi ho importanti trascorsi che hanno contribuito alla formazione della mia scarsa opinione nei confronti dell’autorità. Specie quella in divisa che ferma la gente nel bel mezzo della notte.
Sarà che da ragazzo gli spacciatori mi scambiavano per uno della Digos, e quelli della Digos per uno spacciatore. Farmi una canna era un cazzo di casino.
Una volta sono stato rapinato e menato, da due che mi sono saliti in macchina, e l’appuntato a cui stavo dettando la denuncia mi chiese se per caso non si trattava di una compravendita di stupefacenti finita male.
Una volta sono stato fermato e trattenuto, con amici al seguito, per tipo due ore, da un’intera camionetta di carabinieri in tenuta antisommossa che semplicemente non volevano arrendersi, all’idea che non avessimo con noi della droga. E che poi, vinti dall’evidenza, ci lasciarono andare commentando, indicandomi, scusate per il disturbo, ma sapete com’è, con questa faccia…
Una volta sono stato fermato mentre andavo a un concerto, da uno che mi contestava che andassi a sentire proprio quella musica lì, mentre secondo lui sarei dovuto stare in casa ad ascoltare i Pooh.
Trascorsi, come dicevo. Dai quali ho imparato, ad esempio, che quando mi fermano è meglio abbassare il volume dell’autoradio, specie se in quel momento non sto ascoltando i Pooh, evenienza per me piuttosto rara. L’avevo fatto anche ieri sera, come ho detto, ma non del tutto. Purtroppo.
Ad un certo punto, mi sono accorto che io, dall’auto, guardavo l’agente, in piedi, mentre teneva in mano i miei documenti, ma lui guardava altrove, guardava il mio cruscotto. Che cosa sta ascoltando, mi chiede a un certo punto, e io: perché?
E lui: ascolta musica marocchina? E io, che in realtà stavo ascoltando un pezzo di Nusrat Fateh Ali Khan, illudendomi che a uno che fa una domanda del genere possa interessare la risposta, gli faccio: no, è pakistana.
E lui: ah, vabbé. E perché la ascolta?
Beh, mi piace, faccio io.
Ma lei non è marocchino, dice lui.
Se è per questo neppure pakistano, faccio io.
Musulmano, insiste lui.
Ma no, dico io.
Vabbè, senta – taglia corto, si fa per dire – vada pure.
Poi, un ripensamento: non è che ha bevuto, mi chiede.
E’ sempre notte fonda, intorno a noi solo buio e qualche grillo. Nusrat che, bassissimo, soffia il suo qawwali dalle casse dello stereo. E io voglio tornare a casa, disperatamente. Ma per un attimo, un attimo solo, mi passa per la testa di rispondergli no, sa com’è: la mia religione me lo vieta.
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La cosa più strana e sconvolgente è:
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Evenienza rara…. Ma non impossibile…. Va da se che han ragione a fermarti se ascolti i Pooh!!
Luca, mi hai beccato: a volte finisco su Radio Italia Anni 60, e una volta lì…
Uno scambio di battute sui Pooh tra un Luca e un Paolo? Naaah, troppo scontato…
Marco B.
Pingback: Politica | La mia religione me lo …
sono le due di notte anche per loro…
ore quattro del pomeriggio. dintorni di Perugia. quattro donne, anche mature, in macchina, una Mercedes espansa argentée, guidata da una fortunata amica cui il padre l’aveva prestata. Velocità regolare, allacciamento di cinture anche per le posizionate sul sedile posteriore, fari accesi, superamento di rotonda con tanto di indicatore di direzione lampeggiante, niente musica perchè chiacchieravamo.
Pattuglia della finanza armata ci ferma all’uscita della rotonda. “Patente e libretto”. Prontamente forniti. Sguardi trasversali nell’abitacolo del giovanottino controllante. Nostri sorrisi materni di risposta. “La macchina non è sua.” (E’ una colpa?) “No, è di mio padre. Ha visto lo stesso cognome?” (Doppio, peraltro: omonimie pressoché impossibili).
“Va be’. Potete andare. Ma state attente”
STATE ATTENTE?? A cosa?? E subito capiamo: siamo femmine e, quindi, passibili di esortazioni dall’autorità maschile, ancorché rappresentata da un ragazzino paludato.
Che mi ricordi, molte e molte volte sono stata fermata, dopo la conquista della patente a 18 anni, e in nessun caso mi è stato contestato alcunché di relativo al codice della strada, fatta esclusione, una volta, di fari “un po’ alti”.
Salvo…
“Scusi, ma la macchina non è sua”. No, è di mio padre ecc. ecc. “Ma lui lo sa che ce l’ha lei?” Sì, sì…
Oppure…
“E’ tutto apposto, vada pure, ma stia attenta perché vedo che è sola…”. Grazie, grazie.
E infine, la più gettonata:
“Dove va di bello? E’ un’ora un po’ tarda…” Scusi, ma a lei????
Devo aver raggiunto l’atà della ragione ( e l’invisibilità estetica…) alla boa dei 40 anni: è da allora, infatti, che non mi fermano più.
Forse dovrei sparare “La marchetta di Popolino” di Caparezza a palla dall’autoradio per riprovare l’ebrezza della paletta e del criptomaschilismo in divisa!
Emanuela
sei prevenuto,
probabilmente voleva socializzare,
del resto con quella faccia…
MAGNIFICO raccontato superlativamente, in culo la politica….
F.F.