5 APRILE 2013

La bambola

Questa non è – ripeto, non è – in alcun modo una critica generalizzata a una categoria, quella dei giornalisti, dei notisti politici, di tutti quelli che a vario titolo si occupano di questo genere di faccende, compresi i blogger e gli opinionisti e/o cosiddetti influencer, è semplicemente una cosa che penso da un po’, ed è principalmente il motivo per cui nel mio infimo piccolissimo, su questo blog, spesso faccio lunghe assenze e mi prendo lunghe pause di riflessione.
Rifletto, sfortunatamente con pochissimo esito, quando non mi sento in grado di elaborare un’idea, un’analisi, una riflessione che non sia quella che già più o meno dappertutto mi ritrovo a leggere. E allora preferisco tacere, e leggere quelle altrui, in genere più informate e professionali. Non avendo un editore, un contratto o altri obblighi, se proprio mi va di sparare qualche stupidata uso i social, e tengo il blog per le cose che mi pare valgano un po’ più la pena e lo spazio, e per provare a dire cose semplicemente – si fa per dire – un po’ diverse. Cosa che quasi mai riesce, ma sfortunatamente questo lo scopro sempre dopo.
Fatto è che con la sovrabbondanza di analisi politica che circola tra media e web ogni giorno, se ci si mette ad aspettare di avere un’illuminazione originale, l’attesa può farsi lunga: e per quel che mi riguarda, con molta applicazione, più o meno riesco a farmi venire un’idea davvero buona una volta all’anno. Non esattamente il ritmo frenetico della comunicazione contemporanea.
In questa moltiplicazione collettiva di letture registro però – ci ho messo un po’, ma ecco il punto – che non solo nelle discussioni ma anche nelle analisi, c’è un’impressionante concentrazione degli argomenti. Ovvero, sbaglierò, a me pare che un po’ tutti scrivano le stesse cose, e che in qualche modo si influenzino gli uni con gli altri, uniformandosi. Gli stessi giornalisti che raccontano le cose sui quotidiani, poi le spiegano con un taglio più personale sui loro blog. Poi si linkano su Twitter, poi vengono discussi su Facebook, poi altri blogger meno titolati le riprendono, poi arrivano le condivisioni e i commenti, e tutto questo genera un’enorme mole dibattimentale, ma molto spesso unanime, o al massimo divisa e semplificata tra pro e contro.
E lo dico da non addetto ai lavori, nel senso che non sono un notista politico, non sono un professionista della comunicazione, non sono un esperto di web, e certamente nessuno di quelli che invece lo sono e che leggete tutti i giorni se come me siete appassionati di politica prenderà neppure in considerazione l’idea di considerare quanto sto scrivendo.
Ciò nonostante mi pare di rilevare – umilmente – che cento blog di politica non producano cento visioni distinte, ma al massimo un paio. Una singola opinione corale che diventa massa, e poi addirittura opinione pubblica, quando è ripresa centomila volte da tutti quelli che commentano, che linkano, che riprendono.
Può darsi – in realtà non lo so, immagino – che in alcuni autori e osservatori vi sia conformismo, o che altri ancora siano meno sinceri di quanto lo strumento del web, e la conseguente disintermediazione, farebbero supporre. E che quindi si accodino ad alimentare lo stream anche senza molta convinzione, per i motivi più vari. Tenderei però a presupporre che una buona parte dei commentatori riporti ciò che davvero percepisce, il problema è che tutti o quasi percepiscono le stesse cose, e il volume generato dalla discussione enfatizza le opinioni conformi, e isola quelle difformi. Che magari potrebbero essere interessanti, se non – addirittura – giuste. Oppure, un po’ comicamente – ed è successo giusto prima delle ultime elezioni, ne avevo pure scritto – può capitare che nessuno sia davvero in grado di capire cosa sta succedendo, o di valutare dati palesemente contraddittori: nessuno sa niente, ma nessuno è disposto ad ammettere che non sa niente, e quindi si procede nello stesso modo, per omologazione più o meno naturale verso l’opinione mediana più diffusa (che poi spesso è anche la più semplice, ma raramente è la più vera). Nel caso, quando poi i fatti smentiscono le previsioni, l’unico vantaggio del web è che che con la sua memoria a lungo termine riduce di molto i professionisti dell’io l’avevo detto, ma quanto ad analisi dell’errore ci si concentra sempre sulla mancata capacità di interpretare segnali di vario tipo, piuttosto che nel valutare in senso più generale i meccanismi di una discussione collettiva che spinge verso direzioni ben precise, omologate, un po’ acritiche.
Nella situazione precedente – precedente alla diffusione di internet, intendo – tutti noi eravamo appesi a pochi, e in genere vecchi, professionisti molto introdotti, in possesso di contatti personali e di lunghissima data con personalità e piani alti. L’analisi della situazione politica era come oggi uno sport da bar, questo non è cambiato, ma gli opinionisti stavano un gradino più sù. Forse senza motivo, perché forse ci raccontavano le stesse fregnacce rese credibili solo dalle librerie di Treccani che avevano alle spalle, ma comunque li ascoltavamo per via di quest’aura che col tempo ha quasi completamente cessato di brillare. Al contrario oggi, sempre più spesso, può capitare di leggere sulla prima pagina di un grande quotidiano la riflessione di un notissimo notista che è uguale o quasi a quello che il compagno di partito ha postato la sera prima su Facebook. E i casi sono due: o è diventato molto bravo l’amico su Facebook, o è diventato molto più complicato dare delle cose letture meno prevedibili: e persino ai comici riesce difficile inventare battute che non siano già state scritte sui social. L’informazione si adegua quindi a una situazione in cui ci sono blogger sconosciuti che stazionano davanti alla Camera, intervistano i parlamentari filmandoli col telefonino e hanno la possibilità di incappare in uno scoop quanto il professionista degli elzeviri che conosce a memoria il telefono privato del Presidente della Repubblica. Si adegua, e usa la roba trovata in rete per farci le trasmissioni in prima serata: e nel racconto della realtà, il quadro esce particolarmente monotono, anche se prodotto dalla somma e dall’ecco di infinite voci.
Quanta qualità ci sia in tutta questa produzione è un dibattito lacerante che non ho nessuna intenzione di affrontare, ma quel che mi chiedo è: quanto è efficace, tutto questo flusso monsonico, nel produrre analisi originali, differenti, e in grado di darci elementi per poter valutare gli scenari che abbiamo di fronte e quelli che seguiranno? E quanto spesso, invece, opinioni conformi si rimbalzano tra loro all’infinito creando una convinzione larghissima e però assolutamente non corrispondente alla realtà? Quante volte tutti o quasi tutti scriviamo le stesse cose, e ci rafforziamo nello scriverle perché le scriviamo tutti, come in una partita a tennis giocata contro un muro, salvo poi essere smentiti clamorosamente? E quante volte, invece, se con enorme fatica e dopo lunghissime riflessioni provi a dire una roba appena diversa quelli che ti seguono ti guardano come se avessi infilato i pantaloni al contrario?
Gli esempi non mancano, anche recentissimi – non li cito per evitare che mi si dica che parlo sempre delle stesse cose – e sono abbastanza certo che altri ne vedremo in futuro, probabilmente a breve. I fatti smentiranno la vulgata, di nuovo, presto o tardi, e guarderemo i sondaggi per capire dove abbiamo sbagliato senza porci il problema che forse l’errore è stato soprattutto nostro. E’ stato nostro il riflesso di dire sì quando tutti dicono sì, scambiando quel movimento di teste per ragionamento, quando invece eravamo come quelle bamboline con la testa grossa che ondeggiano sui banchi dei negozi di souvenir (da cui l’espressione “è partita la bambola”). Senza possibilità di evitare ogni volta di ricascarci, perché per generare una soluzione, o almeno una riflessione sul tema con la massa sufficiente a sollevare la questione, dovrebbero occuparsene tot notisti, opinionisti, influencer, esperti del web e professionisti della comunicazione. E, se pure questo accadesse – ma tranquilli che non accade, il tema è troppo specifico – in tantissimi ci troveremmo a linkare, riprendere, commentare, e alla fine avremmo un’opinione media e collettiva con gli stessi difetti fin qui descritti, e quindi non molto utile a capire come uscirne.
Ma questo non succederà, e tutto questo pippone è quindi completamente inutile, e francamente nessuno dovrebbe leggerlo.

  1. è il marketing, bellezza. Ma adesso non ho tempo..

  2. giusta osservazione. Da giornalista ti aggiungo un altro elemento: sai che a forza di omologare il dibattito sugli stessi identici solchi arati e abusati dei social si finisce anche di perdere le notizie quando ci sono? Succede anche questo. Si potrebbe fare una metafora e si potrebbe parlare di riduzione della biodiversità delle idee che nn ci permette di evolvere nuove soluzioni, tanti i giochi e i ruoli restano sempre invariati e ripetitivi.

    emanuele perugini
  3. bisognerebbe applicare il metodo Monte Carlo all’opinionismo politico

    silbi
  4. Paolo, credo che il tuo post affronti due questioni parallele, che però sarebbe il caso di “spacchettare” (sorry):
    - il proliferare di mezzi, con l’apertura conseguente (e inimmaginabile prima dell’internet) ha anche creato il proliferare degli opinionisti, molto spesso autoelevatisi al ruolo, o portati su rapidamente da meccanismi simili a quelli della creazione di personaggi dei reality;
    - l’incattivimento del dibattito (ci servirebbe un Hillsborough dei commentatori per iniziare a combattere l’hooliganismo, mi sa) ci ha divisi in tifosi e quindi passiamo il tempo o a fare le bamboline con la testa grossa per i nostri opinionisti di riferimento, o a insultare trucidamente gli opinionisti di riferimento della squadra avversaria.
    Come si risolva, ipotesi Hillsborough a parte, non lo so. Gli esami di coscienza si fanno ancora?
    Peraltro ho scritto un commento lunghissimo e noiosissimo, che francamente nessuno dovrebbe leggere.

  5. Abstract: è una riflessione un po’ lunghetta ma interessante sul giornalismo/opinionismo 2.0 e il rischio dell’omologazione e del conformismo.

    Commento: In effetti il problema è proprio quello: il rimbalzo delle stesse opinioni e la relativa banalizzazione dei contenuti.
    Si parla della diversità di visioni/opinioni come motore della cosidetta “saggezza delle folle” (per ottenere dei risultati migliori dei cosiddetti “esperti”), ma questa diversità esiste davvero? In che termini? E come si coltiva/valorizza?

  6. Pingback: Barca e Renzi: più completi che complementari « Andiamo a Berlino

  7. se lo ritieni “lunghissimo e noiosissimo, che francamente nessuno dovrebbe leggere” perché lo hai scritto?

  8. Perché sul mio blog faccio come mi pare?

  9. Stavo quasi per leggerlo, ma visto il post evito di farlo. Grazie per l’avvertimento.

  10. ottima risposta! allora lascia esprime a noi che lo leggiamo se è veramente come dici…infine: vale sempre la pena leggere tutto ciò che per un qualsiasi motivo ti attrae sia che sia banale, superficiale, completo o altro

  11. Si é un bel pippone.C é un certo malcelato divertito sadismo nell infliggercelo cosi’ lungo ,dato che é chiaro avresti potuto concentrarlo facilmente in meta’ testo,ma é un piacere anche quello e te lo concedo.Concetti interessanti e condivisibili comunque.Da tempo penso che quello che leggo nei post di molti contatti in rete sia avanti anni luce come analisi all ospite da talk show svaccato sulla sua inossidabile poltroncina.Anzi,secondo me copiano,abbondantemente.

  12. “…e per quel che mi riguarda, con molta applicazione, più o meno riesco a farmi venire un’idea davvero buona una volta all’anno.” Forse questa è una di quelle volte.

    Giorgio
  13. Ne ho letto un po’ poi ho mollato. Non credo sia un commento banale e non è una critica.

  14. Io invece l’ho letto tutto. Pensavo ti interessasse saperlo. Non è troppo lungo; non è noioso; non è banale.

  15. Molto interessante, anche se sull’argomento (da tuo affezionato lettore mi permetto di segnalarlo ai non abituali) ritengo che tu  avessi già scritto il post “assoluto” qui :

    http://www.popolino.org/2012/02/29/se-stai-leggendo-questo-post-sei-troppo-vicino/

    (mi scuso con Filippo Filippini, anche il suo commento mi sembrava interessante ma l’ho mollato a metà)

    Fabbrizz