4 MARZO 2013

Beta test

La stabilità come valore a prescindere in Italia è più di un’opinione, è un imprinting culturale che ha da sempre i suoi più convinti interpreti nell’alta borghesia, categoria desueta, ma usabile in attesa che ne subentri una altrettanto descrittiva. Stabilità nel senso di governabilità, e governabilità nel senso più neutro del termine: governare i processi toccandoli il meno possibile e assicurandone la continuità di fondo.
Così, dal 1946 al 2013, 67 anni di storia repubblicana, in Italia si sono succeduti 61 governi, quasi uno all’anno. Quasi tutti, se non tutti, accomunati da un identico mandato: tenere in mano il boccino, e soprattutto tenerlo fermo. Per l’amor di Dio, che non sia mai, mai e poi mai, che agli italiani riesca di provare qualcosa di diverso: perché potrebbero far danni seri, come col fascismo, ma soprattutto perché potrebbero azzeccarci, potrebbero prenderci gusto, e soprattutto potrebbero tagliar fuori i soliti ambienti che quel boccino, sapete com’è, sono affezionati all’idea di tenerselo.
Il risultato di questa strategia di lunghissimo termine è un avvitamento infinito verso il basso, con tendenza alla progressione, in modo che la vertigine della caduta sia avvertibile solo quando diventa quasi impossibile fermarsi. Un declino imperterrito, che trasmetta verso chi sta più in basso la famosa sensazione di stabilità, ma che non impedisca al suo apice continui ribaltamenti e regolamenti di conti, purché rigorosamente confinati tra pari, tra parti consenzienti dello stesso schema.
Tanto per mettere in chiaro l’intento, e la lungimiranza del piano che ci accompagna ancora oggi, dopo così tanto tempo, la nostra Repubblica ha preso il via dalla bellezza di otto-dicasi-otto governi De Gasperi: e se i primi hanno subito stop and go tutto sommato comprensibili, prima per la traumatica definizione della nostra forma-Stato, poi per la separazione tra destra e sinistra, già nel 1950 la necessità di ricostruire un Paese devastato dalla guerra era divenuta in fondo secondaria rispetto alla continua impellenza di mettere in discussione gli equilibri interni del potere. E quindi passino il De Gasperi 1.0 (1946, fino al referendum), il De Gasperi 1.1 (1946-1947), quello 1.2 (1947), quello 1.3 (47-48), e quello 1.4 (48-50) ma quelli interessanti sono il De Gasperi 1.5 (50-51), l’1.6 (51-53) e l’ultimo della serie, l’1.7 (1953), tutti evidentemente necessari alla stabilità di un’Italia sepolta tra le macerie.
Segue il mio concittadino Pella (53-54), la cui breve avventura di governo rivela subito come il suo amore per i conti in ordine non fosse ricambiato a nessun livello, poi un Fanfani 1.0 (1954) che nel tempo diverrà parecchio ricorsivo, poi Scelba (1955), Segni 1.0 (55-57), Zoli (57-58), poi Fanfani 1.1 (58-59) e di nuovo Segni 1.1 (59-60).
Giusto il tempo di sparare su un po’ di poveracci con Tambroni (1960), e scoprire così che nel nome della stabilità è meglio non calcare troppo la mano, che rispunta Fanfani, prima nella versione 1.2 (60-62), poi in quella 1.3 (62-63). A quel punto, evidentemente qualcuno si scoccia per la troppa, decisamente troppa stabilità, e quindi ecco Leone 1.0 (63), poi Moro in tre versioni consecutive e oggettivamente molto stabili: 1.0 (63-64), 1.1 (64-65) e 1.2 (66-68). Leone 1.0 si rinnova in Leone 1.1 (68) ma non dura, seguono infatti Rumor 1.0 (68-69) e 1.1 (69-70), poi Colombo (70-72) e poi l’avvento di una novità destinata a durare, Andreotti prima nella release 1.0 (1972), e poi in quella 1.1 (72-73), una specie di beta test, diciamo. Il prodotto è migliorabile, va ulteriormente stabilizzato, appunto, e quindi ecco Rumor 1.2 (73-74), e 1.3 (1974), seguito da Moro 1.3 (74-76) e 1.4 (76) fino all’uscita, appunto, di Andreotti 1.2 (76-78): una release stabilissima, talmente stabile che le Brigate Rosse rapiscono Aldo Moro producendo nella classe dirigente del Paese una profonda, profondissima riflessione, e il risultato di quella riflessione è – rullo di tamburi – Andreotti 1.3 (78-79) e Andreotti 1.4 (1979). Che può sembrare sempre la stessa roba trita e ritrita, ma in realtà aveva la gobba un po’ più grande e un’antenna gps integrata.
Gli anni Settanta, con la loro carica di stabilità, finiscono con un volto finalmente nuovo, positivo protagonista della stagione appena trascorsa: Cossiga 1.0 (79-80) e Cossiga 1.1 (1980), cui segue lo sparuto Forlani (80-81) e poi il grandissimo azzardo di un Presidente del Consiglio non direttamente proveniente dalla Democrazia Cristiana, Spadolini prima nella release 1.0 (81-82) e poi in quella 1.1 (81-82). Ma il cambiamento è troppo grande, troppo instabile, e come spesso accade in seguito a rivoluzioni di quella monumentale portata, a seguire è un drastico ritorno al passato, nello specifico a Fanfani (82-83) in una versione 1.4 che ha atteso ben vent’anni prima di venire completata, ma che promette di essere davvero, davvero stabile. Invece non dura, perché i programmatori non tengono conto dell’avvento dell’open source, una filosofia in base alla quale quel che è tuo è mio, dove per mio si intende che è di Bettino Craxi, il Craxi molto stabile già in versione 1.0 (83-86) e quello 1.1 (86-87) che corregge alcuni bug, ma resta comunque molto avido di risorse. Il tramonto dell’open source rivitalizza i software proprietari, prima con Fanfani 1.5 (1987), poi con Goria (87-88), poi con De Mita (88-89), che passerà alla storia per essere stato scritto in un linguaggio incomprensibile ai più. E allora, in nome della stabilità, tanto vale affidarsi a un Andreotti 1.5 (89-91) e 1.6 (91-92), che stabile non è, si inchioda di continuo, ma come Windows ha il pregio di dominare il mercato pur essendo un prodotto scadente.
E siamo ai giorni nostri: nel 1992, con Tangentopoli, il sistema anticipa di qualche anno il peer-to-peer, ovvero una forma di furto molto difficile da perseguire. Provano a metterci una pezza prima Amato 1.0 (92-93), poi Ciampi (93-94), ma inutilmente, e arriva una novità che toglie tutti i filtri e in un certo senso legalizza la pirateria. E’ Silvio Berlusconi 1.0, che come tutti i prodotti davvero innovativi ha bisogno di tempo per divenire davvero stabile, ed ecco così che, per una cattiva integrazione tra hardware e software, viene in fretta soppiantato da Dini (95-96), e poi da Romano Prodi 1.0 (96-98). Prodi è il primo del suo genere a non patire l’eventuale attacco di virus malevoli, perché fanno già parte del suo codice nativo, una specie di stringa nascosta, un comando di autodistruzione. E’ Massimo D’Alema, sia nella versione 1.0 (99-2000) che nella 1.1 che, terminato il suo compito, ligio agli intenti del programmatore, distrugge pure se stesso lasciando ad Amato 1.1. Ma a quel punto Berlusconi è ormai sufficientemente stabile, sia nella versione 1.1 (01-05) che nella 1.2 (05-06), così stabile che anche il promettente Prodi 1.1 (06-08) serve solo a permettergli la release definitiva, il Berlusconi 1.3 (08-11), progettato per durare in eterno, se non fosse che nessuno poteva preveder che si sarebbe inchiodato per la visita di troppi siti porno. A quel punto, c’è poco da fare, o si butta la macchina o la si porta da un tecnico. Di buttarla non se ne parla: andava così bene, era così stabile. Meglio il tecnico, c’è un tecnico? C’è: Monti 1.0, di cui ancora non si sa se vedremo mai una successiva release, dopo il ritiro dal mercato.
E quindi eccoci qui: la macchina non riparte, c’è una rotellina che gira gira e non si ferma mai, la garanzia è scaduta, il tecnico non risponde al telefono, ci sarebbe quell’amico che dice di provare a formattare tutto e installare Linux, proviamo? No, gli esperti dicono che non si può, che è meglio di no, che sarebbe un disastro. Perché non è stabile, e sapete com’è: la stabilità è la cosa più importante.

  1. tutto giusto, ma qui il problema sta anche nel fatto che linux non vuole essere installato

  2. Non intendevo Linux come M5S, ma come cambiamento in se :)

  3. Boia de’, pero’ hai pazienza te eh?

  4. Grande Pablo, as usual

    Paolo DV
  5. È l’ora del linux-fan: c’è pieno di distribuzioni stabili, ma si finisce a lasciare il sistema ad una ditta o ad avere incompatibilità con alcune parti, o incompatibilità fra persone e sistemi (e chi vuole apt e debian, e chi vuole rpm e fedora o la suse o rhel pure per i pc, lol). Oltretutto, magari, uno vorrebbe una rolling release, cioè una distribuzione che non si faccia fregare da mutamenti piccoli (cosa che può succedere in distribuzioni stabili), vivendo però nella paura che salti il sistema o che si pianti per stallo o per errori palesi nella ripartizione delle risorse.

    Facit vos

    Theodore
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