E’ un po’ presto, per offendersi per le cose che dice Grillo. E’ decisamente tardi per prenderle sul serio, ed è assolutamente presto per offendersi. La punizione che ci spetta è ben lungi dall’essere finita, è appena iniziata, e non vale chiedere pietà urlando come bambini “da domani farò il bravo”, se non si è più nemmeno lontanamente credibili.
E così, domattina Grillo potrebbe recarsi al Quirinale, cagare in testa a Napolitano, noi protesteremmo, e nel merito avremmo anche ragione, ma il punto è che questa è la nostra punizione, per aver permesso che si arrivasse a questo punto.
Certo, con responsabilità molto diverse. C’è una classe dirigente che ha responsabilità sin dagli anni Ottanta, e la cui risposta alla richiesta di ricambio è stata, fino a ieri, che col ricambio non avremmo mai avuto Sandro Pertini Presidente della Repubblica. Adesso lo possiamo dire, che nelle ultime legislature tutti ‘sti Pertini non si sono visti, o è ancora prematuro?
Poi ci sono le responsabilità dei veri poteri forti di questo Paese, le grandi famiglie industriali e i salotti buoni della finanza, che nei decenni hanno sempre favorito qualsiasi assetto, anche il più delirante, purché garantisse le loro rendite e mantenesse l’Italia un sistema chiuso, al riparo da aperture al mondo davvero competitive che venivano descritte come minacciose del bene nazionale. E’ rimasto loro ben poco, tra le dita adunche, ciò nonostante continuano come se niente fosse a spingere per la conservazione dell’esistente, attraverso i loro giornali compattamente schierati a difesa dell’unico fronte davvero unito e trasversale a tutte le posizioni e a tutte le fasi politiche.
Poi ci sono gli elettori: quelli che hanno continuato a votare sempre per le stesse proposte fallimentari, quelli che hanno creduto a tutte le palle possibili e immaginabili, quelli che ci credono ancora adesso, quelli che invece hanno scelto il voto di protesta, quelli che a prescindere da cosa hanno votato se la prendono con la politica perché il Paese va a rotoli, ma accettano volentieri una raccomandazione, non fanno e non chiedono lo scontrino fiscale, quelli che se hanno un figlio coglione vanno a protestare con l’insegnante e così via, la casistica è infinita.
Poi ci sono quegli altri, che sono insospettabilmente tantissimi, e che sono trasversali a tutte le categorie: quelli che pagano le tasse, quelli che rispettano la coda, quelli che rifiutano i compromessi e che se la prendono sempre nel culo. Quelli che cercano di stare nel giusto, ma che sfortunatamente vengono travolti insieme a tutti gli altri, perché lo tsunami è lo tsunami, non fa distinzioni. Anzi, capace che porta via quel poco di buono e lascia il peggio, notoriamente più pervicace nell’abbarbicarsi.
In tutto questo, dopo così tanti anni, a stupire non è il ripetersi delle situazioni sempre uguali, ma la straordinaria ostinazione con cui ottusamente si insiste nel dare sempre le risposte sbagliate.
Perché dopo vent’anni in cui Berlusconi ha continuato a dire e a far intendere che evadere il fisco è comprensibile, non è ancora chiaro che la risposta giusta non è quella di dire che Berlusconi è un delinquente. Ovvero, Berlusconi sarà pure un delinquente, ma la risposta giusta è dire, semplicemente, che bisogna abbassare le tasse. Macché.
E allo stesso modo, quando Grillo dice che i partiti sono corrotti, non è la risposta giusta offendersi – ci si offende quando si è nel giusto, altrimenti si abbassa la testa – e dire che Grillo è un maleducato. Perché è vero, Grillo è un maleducato, ma a meno che non si sia seduti su un prato, a godersi un pomeriggio estivo discettando della ragion pura durante un pic-nic, scandalizzarsi perché qualcuno mangia con le mani serve a poco: invece, l’unica risposta corretta doveva essere quella di facilitare il ricambio, impedire le rendite politiche pluridecennali, dare un taglio immediato ai privilegi assurdi, contrastare i conflitti d’interessi, rifuggire le spartizioni, levare le mani dalle nomine, schivare le frequentazioni interessate, smontare i sistemi di potere piramidali e tentacolari, darsi un tempo per fare le cose che fosse più breve dell’immanenza di se stessi, resistere alla folle tentazione di occupare il potere esattamente come gli altri, ma nell’illusione di potersela cavare essendo appena un po’ più onesti, ma soprattutto saper cogliere il succo di ciò che il Paese dice, al netto della buona educazione formale con cui parla, alzare gli occhi dal piatto e notare l’onda che stava arrivando.
In caso contrario, vallo a spiegare, allo tsunami, che è tremendamente poco educato allagare tutto quanto in quel modo plebeo e disordinato.
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Ottima e lucida analisi Paolo,ora bisogna dargli voce e diffusione affidandola a chi deve e merita di metterla in pratica senza vane attese o speranze ma con l’azione immediata,bisogna fare squadra.Non conosco il latino per essere sintetico ma io l’ho ripetuto tantissime e forse troppe volte.
Eh sì, ce lo meritiamo.
Ce lo meritiamo adesso che pensiamo sarebbe stato sufficiente “mettere a Renzi”, mentre il realtà quello che serve è un congresso in cui si discutano e si approvino finalmente regole, metodi, posizioni condivise sui vari temi politici.
Ce lo meritiamo che quando pensiamo che basti chiamarlo governo del Presidente per evitare che appaia come quello che è, ovvero un governissimo Pd-Pdl, brutta copia persino della fallimentare esperienza Monti.
Ce lo meritiamo quando diciamo che “il problema non è Monti”, continuando a giustifucare il sostegno a pessime riforme che hanno fatto pagare un dubbio risanamento dei conti ai soliti noti, accompagnandolo con la consueta vaga promessa di una fase due che non arriva mai.
Hai ragione. Però i cambiamenti, nei partiti democratici e non padronali, sono lenti e faticosi. O no?
Ottima analisi, ma a fronte di un 25% grillino devo pensare che tanti di quegli “insospettabilmente tantissimi” abbiano votato per lo Tsunami, proprio perché avran pensato “Beh, intanto vorrei non prenderla nel culo un’altra volta, poi vediamo”.
Questo ragionamento, poi, io credo debbano averlo capito anche i sassi almeno da dieci anni. Se la nomenklatura di csx (cosa fa quella di destra mi interessa meno) non cambia, evidentemente è perché non può. Se per sopravvivere devi rinunciare a qualche decina di milioni di euro di rimborso elettorale e non lo fai, vuol dire che sai che, anche se non puoi dichiararlo pubblicamente, senza quei milioni sei morto.
Ancora: di elettori ideologizzati che avrebbero votato anche D’Alema ce ne sono tanti in giro. Troppi. Ha ragione Ricolfi: gli elettori che hanno permesso alla nomenklatura di sopravvivere sono troppi. E anche se non ho votato PD in queste elezioni, per il passato mi ci devo mettere anche io.
Poi Luca: no. Non così lenti, non così faticosi. E se veramente il PD non fosse un partito padronale, le cose sarebbero cambiate radicalmente da un pezzo. Certo, non c’è un monarca, ma l’oligarchia fa gli stessi danni.
Vi rendete conto che, quello che chiede il Movimento cinque stelle nel suo programma e nelle sue dichiarazioni, è esattamente quello che vuole un cittadino comune, anche pidiellino. Vi rendete conto dei silenzi di Bersani, attento a sostenere posizioni impossibili e a fingere di essere sordo a quanto è venuto fuori dalle ultime elezioni. Perché dovremmo appoggiare, chi continua a sostenere condizioni utili alla casta, che non vogliono neppure i sostenitori del PD, ma che non considerano per abitudine, perché disabituati a considerare possibili certi cambiamenti..
analisi lucida e – tutta tutta – condivisibile, ma la classe dirigente del pd è quella dell’”abbiamo una banca”. ancora oggi è quella lì.
ok, dall’altra parte c’è cosa nostra e i casalesi, ma non è un buon motivo (il mneo peggio) per avere un partito politico che si preoccupa di occupare banche con propri uomini o operazioni spericolate. perché quando grillo parla dell’mps fa generalizzazioni e errori grossolani, però – sulla questione della responsabilità politica – ha fottutamente ragione.
e da civati (o da te che comunque raramente dici qualcosa di diverso) ci si aspetterebbero due paroline sulla presenza spartitoria dei partiti nelle fondazioni bancarie (alla destra all’epoca andò la cariplo, ricordiamocelo che fu una spartizione). ora uno dei punti civatiani è la generica “riforma del sistema bancario”, ma li vogliamo cacciare i partiti da una posizione di controllo all’interno delle banche? o no? è una cosa tabù da dire dentro il partito? per me è un punto nodale.
saluti.
Umanesimo, hai ragione, c’è ne siamo,occupati poco e dobbiamo farlo di più. Sarà che nessuno di noi conta un tubo e fa parte di un Cda, abbiamo sottovalutato la questione.
e non solo le banche. ma tutte le nomine. belsito in finmeccanica, come ci può finire uno come belsito in finmeccanica? non è tutta colpa del pd, figuriamoci, però ora è il momento di dire basta (e il pd ha l’occasione – e il dovere – di farlo) e queste nomine contano ben più dei benefit parlamentari IMHO. ciaociao (e speriamo in civati)
FACCIO OUTING.
… psss…
Allora. C’è una fondamentale confusione tra banche e fondazioni bancarie, confusione diffusa a tutti i livelli, stampa assolutamente compresa.
Dunque: esistevano una volta le banche e non le fondazioni; e tra le banche, alcune, le casse di risparmio e le banche del monte non avevano azionisti, erano private, ma al loro interno avevano persone che si occupavano più o meno bene (spesso meno…) delle materie di cui si occupano oggi le fondazioni: le erogazioni per sostenere le attività territoriali di beneficienza, arte e cultura.
Poi venne la legge Amato, la 218/90, che divideva in due l’attività di quelle banche: da una parte le attività filantropiche, affidate alle fondazioni, e dall’altra l’impresa, cioè la banca, creata in società per azioni. Ma la situazione era ancora di commistione anche formale: i CDA dell’una e dell’altra coincidevano, e quindi il problema non era affrontato nel suo nucleo.
La legge Ciampi, 461/98 e il successivo dlgs 153 1999 scorporarono completamente i due enti, che da allora hanno CDA diversi. Lo scopo era quello di rendere appetibili tali banche italiane ad una sana concorrenza, e impedire il controllo che le fondazioni esercitavano sulla banca, facendole diventare enti soggetti a diritto privato, no profit, con piena autonomia di gestione e statutaria.
Il capitale che le fondazioni gestiscono deriva dalla banca (da cui nascono), ne rappresentra una parte: vi sono fondazioni che “posseggono”, cioè sono azioniste per percentuali minime, altre invece detengono quote significative; ne percepiscono proporzionalmente i dividendi. Comunque esse NON possono esercitare il controllo sulle banche conferitarie, non possono cioè avere la maggioranza delle quote. Hanno diritto però a esprimere membri del CDA delle banche in misura proporzionale alla quota che ne rappresentano, sempre quindi in minoranza. Chi vi è nominato, nei CDA delle banche dico, non può essere membro contemporaneamente della fondazione relativa.
Tutte le fondazioni sono perciò interessate alla gestione della banca, e ovviamente, al fatto che esse eroghino i dividendi con i quali si fanno le erogazioni. Ci mancherebbe altro.
Fin qui la legge. Ora, come questa cosa è diventata un disastro? Attraverso gli Statuti delle Fondazioni, almeno in parte. Essi prevedono di norma 2 livelli di gestione della fondazione: gli organi di indirizzo e i i CDA. Nei primi entrano anche i politici, di solito espressione degli enti locali, ma vi sono rappresentate con posizioni di maggioranza le categorie produttive e sociali più importanti del territorio. Chiesa compresa, talvolta, per motivi storici, come nel caso che io conosco meglio.
Va da sé che, nel tempo, gli EELL vi hanno inviato politici appartenenti alle maggioranze via via succedutesi; e questo sarebbe stato niente in relazione al fatto che spesso vi hanno inviato trombati, e gerontocrati. Tra le altre rappresentanze, la politica si è infilata comunque: non è chi non veda che, non so, una camera di commercio indichi per la fondazione un altro da se’… Ed è chiaro che, controllando le erogazioni, è possibile gestirsi anche un proprio successo politico, o gestire quello di altri.
Nei CDA, comunque più ristretti, spesso è la cooptazione dall’organo di indirizzo che guida l’appartenenza e quindi la formazione si riproduce, in piccolo.
Vorrei solo precisare che è follia pensare che la faccenda si risolverebbe dicendo che nelle fondazioni devono entrare solo tecnici dell’economia: a parte che i tecnici hanno già dimostrato di non essere una panacea per tutti i mali, non si vede come un economista puro possa conoscere un territorio e i suoi bisogni (chessò: di che cosa hanno bisogno le case di riposo, lo sport locale, le scuole, l’arte) meglio di chi in queste aree lavora o ha lavorato CON MERITO RICONOSCIUTO.
Ed è di nuovo qui che casca l’asino. Perché in Italia del MERITO non frega niente a nessuno. Perché non si può permettere che siano sempre gli stessi uomini che si scambiano i ruoli, a tempo, tra banche e fondazioni; e non si può continuare a non trovare una valutazione esterna del merito di chi vi entra (sui curricola, dico) indipendentemente dal fatto che queste persone abbiano o meno un trascorso politico.
Che, a mio parere, non costituisce sempre e comunque, come Grillo ha fatto passare oggi, una colpa a prescindere.
Ma, certo, la fondazione mps e la banca mps hanno fatto vedere nella pratica tutto il marcio possibile che la politica può introdurre nella gestione del denaro.
Soluzioni? Oltre a valutaredall’esterno il merito di chi entra?
Ad esempio, occorrerebbe stabilire anche in fondazione un limite nei mandati. Che c’è, ma spesso non è rispettato o non è sufficiente.
Bisognerebbe che i membri degli organi delle fondazioni siano retribuiti lo stretto necessario in rapporto alle responsabilità che esercitano e delle quali devono farsi carico. Alcune fondazioni hanno spese di amministrazioneminime rispetto alle erogazioni, e va bene; altre spendono e spandono per pagare gettoni folli. Anche qui sono per l’analisi caso per caso, esistono statistiche.
Bisognerebbe stabilire delle incompatibilità. Ad esempio, se sono o sono stato membro di un’associazione culturale, e sono in un organo di fondazione, non avrò parte alcuna nelle erogazioni sulla cultura che possono andare a beneficio dei “miei”.
Dovrebbero non trovarvi posto persone con la fedina compromessa: eppure, nonostante sia spesso vietato dagli statuti, accade.
Ecco qua. E adesso sparatemi, sono all’interno di una piccola fondazione dal 2005. Il pd, l’unico partito al quale sono stata e sono iscritta, è nato successivamente.
ce lo meritiamo A beppe grillo
Complimenti per la chiarezza, Emanuela. Esattamente così. Con in più il fatto che il modello ricalca quello tedesco. Le soluzioni possono essere quelle che tu proponi, o altre. Ma la loro efficacia passa da un intervento complessivo sul sistema bancario, oppure continueranno ad essere pannicellli caldi. Intanto, dal 2014 la sorveglianza dovrebbe passare alla BCE…
Ce lo meritiamo, Beppe Grillo? Forse, ma non per le ragioni dette nel post.
Ce lo meritiamo perche’ ci piacciono quelli che ci dicono quel che vogliamo sentirci dire, pure se sono puttanate.
Tipo i 1000 euro per ogni disoccupato per tre anni che, a spanne, farebbe tre miliardi di euro al mese, per i quali non bastano i tagli alla casta, eliminare i contributi all’editoria e chiudere il cantiere della TAV. Il “megafono”, dopo le elezioni, scrive sul suo blog che in Italia ci sono 19 milioni di pensionati e 4 milioni di dipendenti pubblici, non ce li possiamo permettere e i soldi per il reddito di cittadinanza dobbiamo prenderli da li’.
Oppure il redditometro per i soli politici, ma non una parola sui milioni di ladri che non pagano le tasse (come lui, che infatti aderisce al condono fiscale del governo Berlusconi del 2003) e anzi propone la chiusura di Equitalia.
Ce lo meritiamo perche’ accettiamo i doppi standard.
Il ”capo politico”, teorico della Rete come messaggio, non solo come medium, si incazza come una biscia quando l’Agenzia delle Entrate mette in rete le dichiarazioni dei redditi, compresa la sua, strillando all’inaccettabile violazione della privacy.
Siamo solo passati da un comico dilettante da avanspettacolo anni ’50 a un professionista da cabaret anni ’80.