14 GENNAIO 2013

L’alibi Fassina

Trovo molto divertente che proprio Monti, Monti che ha una statura internazionale e che mette sull’attenti la Merkel, passi così tanto del suo prezioso e prestigioso tempo a parlare del responsabile economico del Pd, uno che nemmeno è parlamentare, come Monti stesso ha scoperto con stupore solo pochi giorni fa.
E trovo persino più esilarante che molti usino sempre Fassina per giustificare, in queste settimane convulse, il loro precipitoso cambio di casacca dal Pd verso Monti stesso, loro che nel Pd avevano ruoli e che fino a poco più di un mese fa, dopotutto, erano in prima fila nella battaglia per scegliere il candidato premier del centrosinistra.
E’ una specie di convenzione, che qui nel Pd abbiamo preso come vera da un po’ di tempo in qua, che si possa usare la punta più vetero del nostro partito non per quel che è – la rappresentazione retorica di un sentimento storicamente presente a sinistra – ma come scusa per sostenere che il Pd è ormai irrimediabilmente perso alla causa di un sincero liberalismo, e che quindi non si può fare altro che lasciarlo. Al tempo stesso, accettiamo che “avanti al centro” sia l’unica strategia possibile di cui discutere, e pretendiamo di dimenticare i referendum, le amministrative di Milano e tutte le occasioni in cui è emersa una netta voglia di sinistra, che pare assolutamente normale dare parecchio per scontata, lasciandola appesa a domande cui nessuno risponde, e sempre al rimorchio di altre sirene.
La nostra reazione è quella di far finta che sia tutto vero. Fingere di dimenticarci che potremmo far notare come Bersani, dopotutto, fu un ministro dedito alle liberalizzazioni, nei fatti, molto più di quanto lo sono stati ministri e governi liberali se non direttamente liberisti, almeno a chiacchiere. Fingere che il Pd non sia una forza di governo da lungo tempo, nei territori, una forza che si esercita nel solco di tutti gli altri partiti progressisti e di governo dell’emisfero occidentale, e a volte anche un filo più a destra di Obama, per dire. Permettere che il Pd sia spiegato prendendo ad esempio le parole di Fassina, quando invece a partire dal suo leader c’è nei fatti una sintesi un po’ più articolata di così, ma soprattutto c’è una pratica che racconta una storia parecchio diversa, e senza tirare in ballo Ichino basterebbe guardare a Enrico Rossi. Lasciare che si racconti Vendola come un massimalista pericoloso, quando Vendola è un governatore di regione solido e moderno, certo più laico di un Formigoni qualsiasi che dice di rappresentare il moderatismo liberale quando invece usa i soldi pubblici per trasformare in parastato e clientela il settore sanitario privato.
Soprattutto, in questa strategia un po’ autolesionista e un po’ calcolata, permettiamo ai trasformisti che sempre si palesano in queste fasi, quelli che mascherano questioni di quote e di candidature con alte urgenze ideali, di dire tutto questo di un grande partito per approdare, in fin dei conti, dove? Al fianco di Pierferdinando Casini, lui sì vero europeista. Ah, beh.
E facciamo tutto questo per vari motivi. Perché, nei desiderata di qualcuno, cova da qualche parte la speranza di un accordo, prima o poi. Sono echi del dalemismo, forse gli ultimi. In cuor nostro, però, lasciamo dire e lasciamo fare perché abbiamo capito bene che quella roba lì non è il nuovo centro, e non ha niente a che fare con il sincero liberalismo di cui sopra: piuttosto, quello è il nuovo centrodestra, il prossimo centrodestra, o quantomeno è qualcosa che ambisce a diventarlo. E sarebbe anche un bene, un centrodestra normale e moderno per questo Paese, meriterebbe i migliori auguri se non fosse che le spalle di Fini e Casini non sembrano le più adatte su cui costruircelo sopra, e soprattutto perché, finché c’è un Berlusconi ancora incredibilmente in grado di picchiar in testa a tutti i suoi competitor, quel progetto non ha altro destino se non quello di andare a sbattere.
Auguri.