E’ un mistero, come nascano certe voci. Questa in particolare forse è nata in una discussione da bar, o è partita da un commento su Facebook. Magari è una di quelle battute un po’ forti di Beppe Grillo, chi lo sa, fatto sta che, ultimamente, potrebbe esservi capitato di discutere con qualcuno che sostiene qualcosa del genere: vedrete, alla fine le elezioni non le faranno. Perché non gli conviene (a chi? Boh), perché i poteri forti non le vogliono, perché son già tutti d’accordo (tranne voi, pare). E la discussione si accende: com’è possibile annullare le elezioni?
La Costituzione italiana, come è ovvio, non permette cazzeggi – “la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sono eletti per cinque anni”, stop – ma c’è un’eccezione, una sola: l’articolo 60, infatti, dice che “la durata di ciascuna Camera non può essere prorogata se non per legge e soltanto in caso di guerra”. Bum.
Un piccolo giornale, recentemente, si è spinto a intervistare alcuni parlamentari bipartisan, ipotizzando che la crisi economica che sta colpendo l’Italia possa essere paragonata allo stato di guerra. Lo stesso Monti, un paio di giorni fa, ha detto che per l’Italia quello per uscire dalla crisi è un percorso di guerra, e per i sospettosi ovviamente non si è trattato di parole a caso. L’operazione sarebbe quindi linguistica, si tratterebbe di dar sostanza alla metafora bellica, ma l’interpretazione che ne risulta sarebbe comunque forzata.
E allora? Allora, servirebbe una guerra vera. Il solo fatto di parlarne è paradossale, intendiamoci, ma è tanto per vedere l’effetto che fa, ok?
Quindi, dicevamo, servirebbe una guerra, una guerra guerreggiata. Pronti: ci sarebbe la Siria. Malgrado il cauto ottimismo seguito all’ambasciata di Kofi Annan, nei giorni scorsi, tra qualche mese davvero potrebbe crearsi un fronte tra Paesi Nato e Lega Araba, contro il regime di Assad: dopotutto il tema è serio, e quello che sta succedendo in Siria non è uno scherzo.
Nel caso di un’operazione internazionale, l’Italia potrebbe partecipare, certo. La gita ci costerebbe qualche miliardo di euro, ma quelle son spese per le quali in qualche modo i soldi si trovano sempre, un po’ come a me avanza lo spazio per il dolce anche se a cena mi sono abboffato. Finalmente, avrebbe un senso l’acquisto di quei contestati cacciabombardieri, per dire. E a quel punto il Parlamento avrebbe la guerra che gli serve per rimandare le elezioni, con il pieno accordo dei mercati e dei poteri sovranazionali che guardano preoccupati alla nostra instabilità politica e finanziaria. Potremmo anche emettere titoli di guerra, senza più esser costretti ad aspettare che la Merkel si decida sugli Eurobond.
Tutto torna, quindi, no? No, non proprio. Perché la Costituzione italiana ha un’altro articolo, più noto, il numero 11, quello che dice che “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa”, eccetera. E quindi sì, in effetti tra qualche mese l’Italia potrebbe essere in guerra con la Siria, ma no, non potrebbe mai, da nessuna parte, in alcun modo, chiamarla guerra. I documenti ufficiali dovrebbero per forza usare espressioni che abbiamo imparato a conoscere in questi anni, quando siamo intervenuti nei Balcani, in Iraq, in Afghanistan: missione di pace, peacekeeping, peace enforcement.
Semantica, certo, e marketing: ma permette all’Italia di bombardare un altro Paese senza entrare in conflitto con la propria architettura costituzionale.
L’espediente si è rivelato molto comodo, in tempi recenti, ma è problematico ai fini del complotto per rimandare le elezioni: non potendo ammettere che siamo in guerra, il Parlamento non potrebbe nemmeno rinviare le elezioni.
E quindi si vota? Direi di sì, ovviamente. A meno che: se davvero i mercati sono terrorizzati dall’incertezza del dopo Monti, non hanno bisogno di una guerra per spingerci a sospendere la nostra democrazia. E’ più che sufficiente ripetere quel tipo di pressione che, dopotutto, abbiamo visto venire applicata sulla Grecia, ricordate, in occasione del referendum sull’accettazione del secondo pacchetto di aiuti. Annullare un referendum è comunque una faccenda seria, ma lo è comunque molto meno di un annullamento delle elezioni, e ciò nonostante gli sviluppi del caso greco sono stati parecchio, come dire, convulsi.
Rimandare il voto previsto nel 2013, in Italia, potrebbe avere effetti ben più violenti, chissà, potrebbe scoppiare una rivolta, una guerra civile. Proprio quella guerra che, a quel punto, per la momentanea soddisfazione dei complottisti, permetterebbe al Parlamento di annullare le elezioni in punta di diritto. Bingo.
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Comunque il fatto che tutte le istituzioni internazionali siano preoccupate dalla ricandidatura di Berlusconi, mi fa pensare che lo scenario di rimandare le elezioni a tempi migliori non sia impossibile…
Ecco, appunto.
Pingback: Siamo in guerra | [ciwati]
Non dovresti mangiare peperoni la sera. Poi fai gli incubi e questo è il risultato…
Ma no, ieri sera ho mangiato appena un po’ di bresaola. E’ il complotto della dieta Dukan.
Beh, oppure potrebbero trovare il modo di farsi attaccare da uno stato-canaglia. Peccato che la Libia è andata, un paio di missili laciati alla cazzo di cane dalla buonanima di Gheddafi sarebbero bastati.
pochi minuti prima del tuo post, scrivevo proprio su un passo indietro e due avanti di Monti: http://wp.me/p2oV1d-cD .
L’annuncio della guerra è stato lanciato con il declassamento dei titoli italiani.
What else?
Che in guerra ci siamo da tempo è un fatto.
Ma non una guerra classica con fanti e carri armati.
Una guerra economica, con vinti e vincitori, conquista di territori e colonizzazione di popolazioni.
Ma non è quella che serve per rimandare le elezioni.
Qualunque possa essere l’obiettivo e chiunque possa esservi interessato, non hanno necessità di rinviare le elezioni, gli basta sterilizzarne gli effetti, predeterminando il dopo elezioni: si decide il risultato desiderato, poi si fa una legge elettorale ad hoc e si predispongono le liste e le alleanze in modo tale da portare a quel risultato, poi si fanno votare i cittadini e il loro voto non potrà che produrre QUEL risultato. Bingo senza guerra.
Voglio sommessamente dire che il subentro del sig. Monti è stato un vero e proprio golpe imposto dall’alto (da chi? c’è qualcuno sopra il board del MES?), e accettato obtorto collo dalla destra e dal piddì. Al confronto i piani golpistici di Gladio sono roba per educande quantomeno perché mai messi in pratica e rimasti solo terribile e folcloristica accademia. Monti è invece triste realtà: e chiunque abbia scritto il post pubblicato da Grillo ieri, sa il fatto suo. Vi si dice che in 8 mesi di governo Monti siamo al punto di partenza (ogni obiettivo è fallito, dal correggere la recessione al limitare lo spread) con l’aggiunta di un esproprio economico e di diritti sociali perpetrato in modo massiccio ai danni del cosiddetto (ex)corpo elettorale italiano.
O, magari, ci bombarderanno gli altri per portare anche in Italia la democrazia. Per dire.