Ogni volta che mi capita di partecipare – intendo dire, in rete – a una discussione sulla sperimentazione animale (poi ne discutiamo, di questo termine) arriva sempre qualcuno a spiegarmi quanto sono ipocrita, perché dopotutto mi curo con farmaci che sono stati testati sugli animali. E mi si consiglia, la prossima volta che mi verrà un raffreddore, beh, di crepare. Per coerenza, immagino.
C’è poi una seconda obiezione classica: quella di rinfacciarmi il fatto di pensarla come qualche paladino dei diritti degli animali, ma di destra. Tipicamente, l’ex ministro Michela Vittoria Brambilla. Che equivale a dire, con spregio: la pensi come quella lì.
L’argomento mi pare scivoloso, e mi porta sempre a ricordare che è grazie a questo tipo di ragionamenti che, negli ultimi vent’anni, poiché i nostri avversari politici erano contro le tasse, a sinistra siamo arrivati a dire che le tasse sono bellissime. Non mi pare molto sottile, e soprattutto non mi pare abbia funzionato, ma magari mi sbaglio.
Terzo, ci sono quelli che mi chiedono perché non mi scandalizzano gli esperimenti sui topi (e le rane vivisezionate nei teen movies americani, dove le mettiamo?). Credo sia un’accusa di specismo, per il fatto che in casa ho un beagle e non una rana amazzonica. Il fatto è che, sapete com’è, se alla mattina io non squarto un ratto proprio non riesco a iniziare la giornata. Vi pare?
Quarto, ci sono quelli che mi ricordano cosa mangio (e cosa vesto). La necessità di produrre sempre più cibo, che certo sfama un sacco di gente, ma che porta sulle nostre tavole polli e altre bestie allevati in condizioni tanto intensive da renderli molto profittevoli dal punto di vista economico, ma addirittura pericolosi per la salute, anche tralasciando per un attimo i problemi etici o etologici. E siccome non tutti possiamo permetterci di servire ai nostri figli carne macellata in cascina e norcineria della cinta senese, il problema si pone. Se lo sono posti persino quelli di McDonalds: i quali, l’anno scorso, hanno modificato i criteri di selezione dei fornitori, decidendo di acquistare pollame e maiale solo da chi poteva garantire un maggiore spazio di allevamento dei singoli animali, rispetto a quello che è lo standard attuale. Risultato: secondo gli analisti, entro un paio d’anni, tutti gli allevatori americani si adegueranno al nuovo standard, semplicemente perché la prospettiva di rifornire la catena degli Archi Dorati è troppo importante.
Non che sia una sorpresa: i prodotti bio sono sugli scaffali di tutti i supermercati, ormai, e gli acquirenti interessati sono certo una nicchia rispetto al totale dei pasti consumati ogni giorno sul pianeta, ma intanto vent’anni fa la questione nemmeno si poneva, oggi invece è chiaramente ineludibile. Qualcosa vorrà pur dire, e di certo parlarne non è poi una perdita di tempo.
Ma non ho ancora risposto alla prima di queste obiezioni, quella sui farmaci e sulla ricerca scientifica, di cui ipocritamente usufruirei pur essendo contrario alla sperimentazione animale. I sostenitori di questa tesi la chiamano così, sperimentazione animale, e rifiutano invece la legittimità stessa della parola vivisezione: vivisezione suona male, vivisezione fa venire in mente animali squoiati vivi, possibilmente coscienti. Sperimentazione animale, invece, fa subito laboratorio asettico e luminari in camice bianco impegnati a salvare l’umanità.
Ad esempio, spezzando le gambe a un cane per vedere come reagisce al dolore: già, chissà come reagisce? Oppure, aprendo il cranio di un gatto – rigorosamente senza anestesia, falserebbe i preziosi responsi – per infilarci un elettrodo direttamente dentro il cervello. Ma non chiamatela vivisezione, per carità. Son leggende metropolitane.
E a questo punto potrei tagliare la testa al toro, potrei dire che non credo all’utilità di sbudellare un animale solo per vedere l’effetto che fa – benché misurato molto empiricamente – potrei dire che ci sono molti scienziati importanti che trovano l’idea altrettanto inutile, o al contrario potrei ammettere che in fondo non ne so abbastanza: ma sarei comunque libero di non essere d’accordo, di pensare che sia una pratica ributtante e di auspicare che, all’alba del terzo millennio, la scienza trovi altre strade senza per forza dovermi sorbire lezioncine da tutti quelli che passano di qui e si sentono improvvisamente premi Nobel. Potrei, ma preferisco argomentare, già che ci siamo.
Ad esempio così, per iniziare: da decenni, ricercatori di tutto il mondo, dipendenti delle case cosmetiche, passano le loro giornate a truccare e profumare i conigli: a morte. Lo fanno per essere sicuri che il mio dopobarba, e l’ombretto che usa la mia compagna, non siano nocivi per la nostra salute. Non è esattamente il genere di sperimentazione animale che salva le vite, ci dicono, ma non se ne può fare a meno, perché garantisce che la roba che ci mettiamo in faccia non sia nociva. Peccato solo che, sfortunatamente, l’uso di cosmetici, con l’alimentazione e l’inquinamento, sia una delle tre cause fondamentali di allergia negli esseri umani. E quindi ci dev’essere qualcosa che non funziona, nel metodo. Colpa di quei conigli bastardi, immagino.
Ma non vorrei si pensasse che parlo di profumi e rossetti per svicolare dal tema più strettamente medico: la ricerca vera, quella che salva la vita, mica balle. Ci arrivo.
Dovete sapere che, sin dall’inizio degli anni Quaranta, le prove a favore della pericolosità del fumo di sigaretta erano numerose. Esistevano molti studi in merito, e statistiche ampie. Sfortunatamente, però, gli scienziati non riuscivano a provocare il cancro da fumo negli animali da laboratorio. In tutto il mondo, decine e decine di migliaia di ricercatori tenevano gabbie piene zeppe di scimmie e babbuini che venivano costretti a fumare dalla mattina alla sera: che detta così sembra una barzelletta, invece è semplicemente una follia. Era quasi una moda, e alcuni scimpanzé fumatori, più fortunati, divennero addirittura stelle del cinema. Gli altri, quelli in cattività, fumavano e fumavano ma non succedeva niente, cosa che per lungo tempo permise ai produttori di tabacco di pubblicizzare il fumo come una cosa molto fica, mentre intanto le organizzazioni sanitarie di tutto il mondo impedivano le campagne antifumo in quanto non suffragate da riscontri sulla sperimentazione animale. Ancora alla fine degli anni Sessanta, una ricerca mostrò una correlazione certa – negli umani – tra cancro ai polmoni e fumo, ma fu scartata perché le cavie, beate loro, stavano benissimo. Perché alla scienza non importa che il fumo faccia tre milioni di morti all’anno, da cento anni, se tra questi morti nessuno ha la pelliccia.
Ovviamente, oggi nessuno, nemmeno l’uomo della strada dichiarerebbe che fumare fa bene, ma fino a non molto tempo fa, fior di luminari lo hanno sostenuto con la stessa spocchia con cui oggi testano qualcos’altro, lo dichiarano sicurissimo senza possibilità di replica – milioni di criceti non possono sbagliarsi – salvo poi scoprire dopo un po’ di tempo e un po’ di morti che, ops, le cose non stavano esattamente così.
Un caso celebre è quello del Thalidomide, che ne fece fuori alcune migliaia prima del ritiro dal mercato, ma come questo ce ne sono un’inifinità. Il Clioquinol, così efficace contro la diarrea dei topi, causava cecità e paralisi sui pazienti umani, mentre il dosaggio dell’Isoprotenerol, che funzionava tanto bene sulle bestie, nella sola Inghilterra spedì all’altro mondo 3.500 persone: che si saranno reincarnate in cani sanissimi, per chi ci crede, ma forse un po’ incazzati. Al contrario, siccome i roditori sono tipi svegli, se ci fossimo fermati alla loro reazioni non avremmo mai avuto il Valium, ché a loro il Valium gli fa un baffo. Un altro caso di scuola è quello di Fleming, che per un’emergenza rivelatasi fortunata testò la penicillina direttamente su un paziente umano: fortunato, perché la penicillina ammazza i criceti, e si fosse seguito l’iter della sperimentazione animale chissà quanto ci sarebbe voluto per capirne l’efficacia.
Ciò nonostante, evidentemente, gli scienziati hanno le loro buone ragioni per continuare a credere che i fatti debbano essere adeguati al proprio ordine delle cose, alle proprie convinzioni, e non il contrario: la migliore delle quali – non l’unica, per carità – consiste nel fatto che è molto redditizio, fa felici le aziende, fa assumere nuovi ricercatori, fa aprire nuovi laboratori, e fa acquistare altri babbuini, così si può ricominciare daccapo, all’infinito.
Dopotutto, è così che oltre alle sigarette ci hanno venduto l’amianto, la fibra di vetro, i prodotti a base di benzene e addirittura di arsenico, i cibi grassi (ebbene sì), e più della metà dei circa 200 farmaci rilasciati tra la metà degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta: che erano innocui sugli animali ma dannosi e a volte letali, come si è scoperto poi, sugli esseri umani.
E ora scusatemi, ma dopo aver scritto così tanto, come vedete dalla foto, ho proprio voglia di una sigaretta.
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Avrei voluto criticare la gente con cui t’accompagni (il fatto che tu possa impiegare molto tempo “a fare politica” NON giustifica un gruppo, una regione, una provincia, uno Stato intossicati da essa), avrei voluto porre l’attenzione sul fatto che farsi parificare da una donna che è cresciuta grazie ad allevamenti di pesci e che si fa processare per canili lager - http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/09/18/lecco-il-canile-lager-e-tutto-da-rifare-fallimentare-la-gestione-di-michela-brambilla/57023/ – mentre blatera di inesistenti maltrattamenti altrove non è nè una cosa piacevole nè una cosa da ignorare perché “tu sei tu e lei è lei”, avrei voluto tanto farti capire che sezionare animali vivi non è l’occupazione unica dei ricercatori, ed è per questo che vivisezione è un termine erroneo (ora dimmi che testare tossicità di farmaco sia definibile come sezionare un animale vivo, dài, dimmi anche che far perdere tempo alle persone sia definibile col verbo remunerare, o che una bicicletta senza pedali e sellino sia perfettamente funzionante).
Poi però ti sei messo a citare (magari inconsapevolmente) passi interi di Hans Ruesch, pertanto ti invito ad autosodomizzartici, con l’imperatrice nuda, visto che la veridicità delle baggianate da egli scritte non è comprovata in nessuna maniera.
Buona fortuna, se vorrai continuare a gestire Sbroc-olino e non Popolino.
La questione vera è un ‘altra, rispetto a quella sollevata nel tuo post. Ed è di natura etica. E complessa.
Di coscienza.
E’giusto o no che l’uomo continui ad esercitare in questo modo il suo dominio di specie?
Tutto giusto e tutto molto ragionevole, Giuseppe. E infatti non ce l’avevo con te, ma trovo insopportabile che, ogni volta che qualcuno si dispiace per la sorte di un animale da laboratorio, debba arrivare un manipolo di saputelli a spiegargli i vantaggi di vivere in un mondo illuminista e guidato dalla ricerca scientifica. Lo so da me, e non solo questo non dovrebbe impedirmi di auspicare che le cose vadano diversamente, ma se il tono è quello non posso esimermi, ecco, mi tocca proprio spiegare che non è esatto, e che non è così vero che nel nostro mondo e nella ricerca scientifica, per citare quel tale, ogni cosa è illuminata. Anzi.
Ma che commento è? Io sono troppo democratico, comunque.
Mi sembra uno straw man, abbastanza slegato dal problema vivisezione (ma è solo una mia impressione, forse fuoriluogo visto il potenziale emotivo del post).
Auspicare un mondo senza “vivisezione” è un’esigenza eticamente più che condivisibile. Gli auspici però assomigliano molto alla retorica , quando rispecchiano valori ampiamente condivisi (chi vorrebbe la “vivisezione” in assenza di un qualche beneficio collettivo?).
Se dall’auspicio si passa invece ad affermare che un mondo senza sperimentazione animale potrebbe essere migliore di quello attuale, bisogna prima immaginarsi (in modo convincente) un mondo senza vivisezione. Quello che gli scienziati (e i saputelli) chiamerebbero controfattuale. Dico immaginare perchè non esiste, si tratta per necessità di uno scenario ipotetico.
Sottolineare gli insuccessi della sperimentazione medica nel mondo “con vivisezione” non mostra che il mondo “come se la vivisezione non fosse mai esistita” non sarebbe peggiore di quello in cui viviamo.
Più argomenti a favore dell’ipotesi “senza vivisezione si starebbe meglio” riuscirebbero addirittura a far cambiare idea a qualche saputello. Sicuramente più del mostrare che anche gli scienziati fanno una vagonata di cazzate, che è abbastanza risaputo.
Parecchia ignoranza. Il Thalidomide provoca nelle cavie incinta le stesse menomazioni che causa negli umani, solo che per un errore della sperimentazione non fu mai testato su cavie incinta.
E fu proprio la provata correlazione tra fumo nei babbuini ed il cancro che pose definitivamente fine alle arrampicate sui vetri delle aziende del tabacco.
Suggerisco:
http://www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/perche-sperimentazione-animale-e-ancora-necessaria
all’acqua di rose ma mette almeno un po’ d’ordine nel guazzabuglio logico propinato.
Nel 1891 la mortalità infantile in Italia (0-1 anno) era del 18%, vado a memoria. Da 1 a 5 anni era del 13%. Leggasi: su 3 bambini in una famiglia ne moriva 1, di media.
Ecco il vantaggio di vivere in una società basata sulla scienza.
Del resto, citando:
Foundation for Biomedical Research:
“Thanks to animal research, they’ll be able to protest 23,5 years longer.”
Il talidomide era un farmaco venduto come sedativo e contro la nausea pensato soprattutto per le donne incinte. Che non sia stato testato su cavie incinte mi pare apra un problema gigantesco sull’attendibilità della materia di cui stiamo discutendo, o quantomeno sul fattore umano correlato.
Detto questo, tre cose: come ti ho già detto in passato, per cortesia usa un altro tono. “Parecchia ignoranza” non va bene, e comunque non sei il depositario della verità, è solo la tua opinione. Vale quanto quella di chiunque altro, e potresti esprimerla più educatamente. Te l’ho già detto tante volte, a un certo punto non te lo dirò più, semplicemente cancellerò quello che scrivi.
Secondo: grazie del link. Pure io potrei produrre molti link. Potremmo sommergerci di link: ma non mi pare così utile. Facciamo che ognuno di noi ha fatto le sue letture, e ognuno ha trovato pezze di cui si fida di più, ok?
Terzo: ogni volta che metti un link in un commento, l’antispam lo mette in moderazione. Se sono davanti al monitor lo sblocco subito, altrimenti potrebbe volerci un po’. Lo dico prima che volino accuse di censura. Nel caso volessi davvero bloccare un commento, infatti, lo dirò.
“Parecchia ignoranza” è connotazione neutra, non c’è niente di male ad essere ignoranti. Poi ci si informa e non lo si è più. Questo è perlomeno il pre-requisito di ogni scambio di opinioni non basato sulla sospensione dell’incredulità (come nella fabula) ma che voglia addivenire ad un confronto reale di conoscenze.
Il link che ho dato ha evitato un copia incolla, è uno spunto di riflessione che di per sé non prova niente, potrei mettere in rete una costellazione di falsi studi che mi danno ragione su ogni argomento, sarebbe facile. Il link che metto vuole essere di aiuto, suggerire una lettura, non tagliare la discussione. C’è il fantastico meccanismo della peer-review, a proposito degli studi pubblicati o meno. Andrebbe letto Popper sul principio di falsificabilità della Scienza: un’affermazione è scientifica proprio in quanto falsificabile e (molto prevedibilmente) sarà un giorno falsificata (spesso solo migliorata, con un grado di accuratezza migliore).
Nessun fisico o ingegnere (che conosce fisica peggio dei fisici, gaussianamente) si è scandalizzato per l’ipotesi che i neutrini fossero più veloci della luce, nel famoso caso Gelmini di qualche tempo fa. Semplicemente molti (cuius ego) dubitavano fortemente. Ma se l’esperimento non avesse rivelato il baco che poi è stato scoperto (e dopo molte altre decine di controprove) si sarebbe aperto un “periodo d’oro” della scienza, dove la fantasia si sarebbe esercitata a generare una teoria che avrebbe però dovuto sottostare a migliaia, milioni di controprove. E questo in una scienza “esatta” o “quasi esatta” come la Fisica. Figuriamoci in medicina, dove siamo ancora dei rozzi cerusici. Capita però che l’oggetto ed il soggetto delle cure mediche siano persone, o molto spesso bambini, anche infanti.
Amo gli animali, mi viene il magone riguardando le fotografie del mio bastardino dell’adolescenza, Rocky. Potrei andare avanti giorni a raccontare aneddoti di quella piccola peste, e gli ho voluto bene.
Ca va sans dire che i test devono essere il meno possibile ed il meno invasivi e dolorosi possibile. La parodia dei dr. Stranamore che infliggono sadiche torture “a cazzo” agli animali non va molto lontana, non fosse altro che per il fattore economico (quegli animali, concepiti allevati e cresciuti con rigidi protocolli, costano molto, per restare al lato venale).
Il lato sentimentale appartiene anche a chi si sforza di usare fino in fondo la componente razionale per prendere qualsiasi decisione, anche queste che sono terribili.
E sono anche influenzate, questo almeno vale per me, da esperienze personali devastanti, come quelle di avere una nipotina, Chiara (23.4.2000-15.3.2001) che è volata su per un camino, cremata, a Mantova, che dal momento in cui si è separata dalla placenta di sua madre non ha mai avuto un singolo respiro facile, e che si è spenta senza aver mai visto il Sole o toccato un prato, senza avere ancora mai avuto una risposta su cosa effettivamente avesse. Un male che ancora non conosciamo, chissà quando e se si troverà mai la cura per esso.
Quasi ogni volta che piove, a distanza di 12 anni, mi capita di pensare che forse mi sta piovendo addosso una molecola che è stata per breve tempo di Chiara, sciolta in quel fumo e poi nell’atmosfera, nel mare, nelle nuvole e di nuovo nella pioggia. Questo fatto (e non era mia figlia!) ha cambiato letteralmente la mia vita, a cominciare dai miei figli, che sono arrivati molto dopo.
Nel senso che stavamo pensando di metterne al mondo quando arrivò questo evento, e ci abbiamo pensato molto a lungo prima di farlo effettivamente, prendendo mille precauzioni poi in gravidanza, prendendo rischi (amniocentesi, etc) che forse altrimenti non avremmo voluto correre.
Meglio, e mi riferisco al tono. Venendo al commento, credo che tutti abbiano una tragedia, tra le persone a cui vogliono bene. Non faccio eccezione.
Ciò detto, questa discussione non riguarda solo la ricerca. Riguarda anche le sensibilità personali, che non sono poi tanto discutibili, nel senso che ognuno ha le sue, e riguarda fattori di mercato, o di consumo, o di sviluppo, se preferisci.
La sensibilità personale è quella cosa per cui, chi ci tiene, è libero di auspicare la riduzione e anche l’eliminazione dell’uso di animali per la sperimentazione. Ritiene che si debba cercare una strada diversa, perché questa è molto fallibile: peggio, come nel caso del fumo – che è esattamente come l’ho raccontato – tende a posporre le evidenze rispetto al metodo, con conseguenze paradossali, e pesanti. Infine, ritiene che tutto questo sia moralmente inaccettabile, e questo è legittimo.
E questo si lega, si lega molto, con i fattori di mercato. Perché chi la pensa così tende anche a distinguere un po’ di più, tra le scoperte che salvano le vite, e gli animali che vengono utilizzati con troppa leggerezza per molti altri scopi meno nobili. Mi riferisco alle case cosmetiche, ovviamente, ma non solo: perché anche le case farmaceutiche, in definitiva, sono aziende. Vivono – e realizzano grandi profitti – sul lancio, sulla vendita, e sulla diffusione di prodotti, e non solo molti di questi non servono a salvare delle vite umane, ma si basano sulla proposta di una soluzione a un problema indotto, o comunque non attinente al contesto sanitario. Perché che si sperimenti una pillola dimagrante su un animale in base al fatto che esiste un potenziale compratore che, semplicemente, mangia troppo, e tutto questo è molto più interessante e monetizzabile che non intervenire sul suo stile di vita, beh, a me non sta bene per niente.
Che tutto questo, nel tempo, e con grande dispendio di risorse, arrivi a influenzare protocolli che dovrebbero invece esserne protetti, a qualcuno potrà sembrare complottismo, a molti invece sembra perfettamente in linea con la realtà di un mondo che vive, tutto intero, nella logica del profitto e del mercato. Nel bene, come spesso capita – non sono certo un nemico del mercato – ma anche nel male: e qui stiamo parlando di grandissimi interessi, di grandissimi mercati, ragione per cui farsi venire un dubbio o contestare apertamente mi pare non solo plausibile, ma anche sano.
Liquidare questo genere di riflessioni con gli argomenti che spiego all’inizio del post, alla lunga, diventa paradossale. Perché, per difendere la ricerca, non si possono arrivare a negare le sperimentazioni di prodotti inutili, gli errori clamorosi, lo spreco di vite animali, gli enormi interessi in ballo, l’esistenza stessa di forme di crudeltà efferata quanto gratuita, e uno sfruttamento della natura in senso tanto stretto quanto lato che è semplicemente il più importante tema dei nostri tempi.
Io penso molto semplicemente che una che certamente usa questi argomenti pro domo sua e per mero calcolo sia la citata Brambilla e mostrare l’ipocrisia altrui non è argomento vuoto.
La scienza sadica e che “spreca” cavie è un nonsenso, specie quella “bieca” che pensa al profitto, non fosse altro perché le cavie costano, e molto.
Forse non mi sono spiegato. Lo “spreco” cui mi riferisco io è quello dei test per prodotti “accessori” o cosmetici. E’ uno spreco in termini morali, non certo economici.
Quanto alla Brambilla, se è come dici tu, non capisco cosa c’entro io.
Una volta ho visto un video dove la Montalcini (già ultra-ottantenne) infilzava con un siringone un topolino bianco con la tranquillità (intanto parlava con altri del più e del meno) con cui io metto lo zucchero nel cappuccino al bar. Magari mi sbaglio, ma penso che nella prassi di ricerca non esista il concetto di spreco di cavie (se non in termini economici): da quel video e dal sentito dire di amici ricercatori, le cavie quasi non hanno dignità di esseri viventi, sono meri strumenti al servizio della scienza, come un bollitore insomma. Varrebbe la pena leggere la Luisella Battaglia (io lo feci anni fa, e qualche dubbio me lo mise) sui diritti degli animali; oppure gli incisi della Grimaud al suo bel libro (Variazioni Selvagge) dove ricostruisce storicamente le tante volte che nella storia gli animali hanno fatto da capro espiatorio agli umani, addirittura ci sono stati casi di veri e propri processi (un maiale, ricordo) con tanto di accusa, difesa e collegio giudicante. Voglio dire: una riflessione su etica e animali forse andrebbe fatta.
Ottimo articolo. Bisogna aggiungere che la sperimentazione fa muovere tantissimi soldi con ricerche pagate per far mostrare alla gente che una data sostanza non è pericolosa o fa bene (pubblicazioni, articoli sui giornali, pubblicità per le aziende).
Caro Paolo
E’ forse la prima volta che scrivo sul tuo blog, anche se lo leggo spesso (forse perche’ nel PD sto dalla parte tua, per dirla in breve).
Avrei voluto intervenire sul post dedicato a Green Hill ma non mi pareva ben contestualizzato, a differenza del presente post che invece affronta l’argomento in maniera piu’ ampia.
Io faccio sperimentazione animale, su topi. Prima per genetica/biologia dello sviluppo, adesso per lo sviluppo di farmaci antitumorali. Come detto da altri prima di me, e’ sperimentazione animale il termine corretto. Non vivisezione, in quanto l’animale che eventualmente seziono e’ morto. Parlare di vivisezione per intendere qualunque tipo di sperimentazione animale non e’ corretto. Allo stesso modo io e te potremmo essere definiti due Piddiessini, altrimenti.
Ho lavorato in Italia fino a 6 anni fa, ma il piu’ l’ho fatto in Olanda, che e’un paese molto “avanti” anche sulla regolamentazione della sperimentazione animale. Se vuoi posso descriverti come si “mette su” una sperimentazione su animali seguendo le regole comunitarie, cosi’ da darti un’idea di cosa c’e’ veramente “dietro le quinte”.
Come premessa ironica ma non troppo, ti diro’ come la vedo io in questo momento, per quello di cui mi occupo adesso: se non dovessi sperimentare prima sugli animali quello che penso possa funzionare nell’uomo, mi eviterei dei gran rompimenti di palle. Purtroppo non ci sono abbastanza uomini (volontari sani o malati senza speranza) per poter sperimentare tutto, e in Europa ci si fanno troppe remore col principio di precauzione.
Ciao Francesco, grazie del commento (e dell’affetto per Popolino). Brevemente: il mio cane è nato e ha passato i primi due anni della sua vita in un allevamento abusivo in provincia di Novara. I cani erano tenuti in gabbie per conigli, senza mai uscirne, finché non diventavano troppo grossi, dopodiché venivano ammucchiati tutti insieme dentro un garage buio, dove il cibo veniva lasciato una volta alla settimana. Il proprietario di questo lager caricava poi i cani su un camion col quale varcava la frontiera e riforniva come clienti abituali una serie di laboratori di sperimentazione. Ed è così, che l’hanno beccato, gli hanno sequestrato i cani e dopo un lungo processo li hanno poi dati in adozione.
È un piccolo caso, intendiamoci, e ne parlò solo la stampa locale. Ma, come sai, esistono professionisti seri e professionisti meno seri, aziende serie e aziende che non lo sono per niente, allevamenti e laboratori come dici tu, e altri molto diversi. Specie quando ci sono di mezzo forti interessi, che attirano le professionalità, ma anche i malintenzionati. Come tutto il resto, insomma, non credo di dire nulla di incredibile.
Bene, capisco il “retroterra” del precedente post. Sono sicuro che nella UE c’e’ il massimo impegno perche’ di casi come quello che descrivi non se ne debbano verificare mai, e ti assicuro che quando questi si verificano c’e’ sempre, da qualche parte, una grave mancanza da parte dei controllori se non, spesso, corruzione. Per assurdo, anche Green Hill potrebbe agire al di fuori delle regole, ed e’ giusto che le associazioni in difesa degli animali si facciano sentire se cio’ accade. Ritengo meno giustificabile l’irruzione a scopo “dimostrativo”: se si contesta l’uso dei beagle come modello sperimentale in se, e’ a Bruxelles/Roma che bisogna farsi sentire. Se Green Hill si attiene alle regole, e non si condividono le regole, bisogna cercare di cambiare le regole, non attaccare Green Hill.
Pero’ tu hai parlato, nel post presente, anche di altre cose. Hai parlato dell’attendibilita’, in generale, della sperimentazione animale. Hai voglia di discutere anche di questo?
Certo che sì. A proposito di “retroterra”, però, tieni presente due cose: primo, che la media dei commenti precedenti era un po’ diversa dalla tua. Secondo, che per chi pensa che questa cosa sia sbagliata, le osservazioni sui modi della protesta possono anche non valere, nel senso che le protesta, appunto, è protesta. Serve a muovere un cambiamento, e quando si radicalizza – nel bene e nel male – è perché si ha l’impressione che non venga presa in considerazione da chi di dovere.
Vabbe’, io commento con una certa cognizione di causa, forse per questo sembro meglio (ma e’ tutta apparenza). Per i modi della protesta, la vedo cosi’ sempre, non solo per questo episodio: quando si contestano le regole bisogna andare la’ dove le regole vengono scritte. “Assaltare” una volta ogni tanto Green Hill o Morini, puo’valere come atto dimostrativo, ma e’ politicamente irrilevante.
Ma veniamo alla sperimentazione in senso lato. Per te quando ha senso sperimentare sugli animali? Con quali limiti?
Eccomi, scusa ma ho avuto una giornata logisticamente complicata. Per me la sperimentazione non ha senso nei casi in cui riguarda prodotti il cui fine è più commerciale che sanitario (cosa che comprende molti medicinali), non dovrebbe essere consentita laddove tutta la filiera e i processi non sono fissati in maniera stringente e verificabili dal controllo dell’autorità pubblica (e non solo da quello privato), e personalmente ritengo che vada comunque combattuta, in prospettiva, nella misura in cui il margine di errore è quello denunciato da molti studi – che non sono tutti campati in aria, anche solo per il dato statistico che rappresentano – perché combatterla significa esercitare pressione, economica e d’immagine, affinché le aziende e i ricercatori perseguano strade alternative e investano su di esse con convinzione.
Ribaltare il punto di vista, letteralmente:
caro Paolo
La foto che posti so a cosa si riferisce, interessante dal punto di vista della performance artistica, discutibile per lápproccio al probelma di cui parliamo.
Riguardo a quel che dici nel commento di sopra, sono felice di comunicarti che a parte questa frase “la sperimentazione non ha senso nei casi in cui riguarda prodotti il cui fine è più commerciale che sanitario (cosa che comprende molti medicinali), ” su cui tornero’dopo, per il resto sei esattamente in linea con i principi che ispirano le liee guida sulla sperimentazione nella UE: in tre parole, reduce, refine, replace. L’obiettivo finale e’proprio quello di non usare piu’ gli animali per la sperimentazione. E ti ssicuro che ci sono gruppi di ricerca che campano sui fondi che la UE destina specificamente allo sviluppo dei sistemi alternativi. Non mi piace che tu usi il termine “combattere” perche’ potrebbe implicare un certo grado di “violenza” (in senso gandhiano), quando invece un semplice “contrastare” avrebbe un aria piu’ costruttiva. Bisogna tuttavia trovarsi d’accordo su un punto: quando siano fissate delle regole che rispecchiano un compromesso ragionevole fra quello che va fatto e quello che non si deve fare, e quando il rispetto di tali regole sia assicurato dalle autorita’ di controllo, e’ giusto che tutti vi si attengano?
Tornando al punto che ti contesto: prodotti il cui fine è più commerciale che sanitario. Chi lo stabilisce? Tu mi dirai che un rossetto e’commerciale e non sanitario, e che di rossetti ne abbiamo gia’ tanti. Forse pero’ io e te non siamo cosi’ sensibili al tema, gradirei l’opnione di un consumatore di rossetto in merito. Prendiamo uno shampoo, allora: a che sereve crearne di nuovi, il Pantene ProV5 e’il migliore, lo uso da anni, mi va bene cosi’. Pero’ come sai i deteregenti inquinano, e noi vogliamo anche che i fiumi e i mari siano piu’ puliti. Quindi dobbiamo cercare i rpodurre uno shampoo che funzioni bene come il Pantene, ma inquini meno. E al momento di decidere se darcelo in testa vogliamo anche essere sicuri che non ci faccia cadere i capelli. Ecco che, di nuovo, si passa per una sperimentazione e finora, a un certo punto, un animale. E lo shampoo quindi lo dobbiamo testare, anche se non e’ un medicinale. Se ci pensi bene, e se guardi bene come vanno le cose, alla fine vedrai che quello che si testa sugli animali nella UE non e’ tanto per fare: anzi, e’ proprio il minimo necessario per rispondere al principio di precauzione. Certo, 10 anni fa si sparavano i saponi negli occhi dei conigli vivi: oggi si usano gli occhi dei polli da allevamento, dopo che meritorie ricerce sul rplacement hanno dimostrato la bonta’ del modello (as good as…). Ci vuole tempo, ci vogliono fondi, ci vuole pressione da parte dell’opinione pubblica, ci vuole… toh, politica. Ci vorrebbe un po’ di fiducia (nei saputelli, anche).
Ma torniamo anche un po’piu’indietro: la validita’in se dei modelli animali. Purtroppo ad oggi se io decido che una roba che ho in laboratorio puo’ essere usata per curare un tumore, devo prima dimistrarne l’efficacia in uno o piu’ modelli animali, nonche’ la sua non tossicita’. Perche’ questo test preliminare? Di nuovo, si dice, per il principio di precauzione, e per dimostrare l”efficacia. E’ vero, ci sono sostanze innocue per gli animali, ma nocive per l’uomo, e viceversa. Al di la’ dei soliti esempi (aspirina, pennicillina…) devi pero’capire che ci sono due buone ragioni che ancora rendono la sperimentazione sugli animali propedeutica:
1) Non possiamo testare la nocivita’ di tutte le sostanze direttamente sugli uomini perche’ NON CI SONO ABBASTANZA UOMINI. Lo so, sembra un po’nazista come affermazione, ma quello di cui non ti rendi conto e’ che tu stesso hai testato, inconsapevolmente, migliaia di sostanze sul/nel tuo corpo. Medicinali, cosmetici, additivi alimentari, colle, vernici, fibre sintetiche, su di te ed attraverso di te sono passati a migliaia. Quasi tutti avevavno gia’ attraversato una sperimantazione su animali, alcuni anche molto rigorosa e ripetuta, alcuni poi anche su gruppi risttretti e via via piu’ grandi di esseri umani (malati o sani) volontari, ma comunque al momento di essere commercializzati contenevano in se’ ancora un ceto potenziale di rischio, perche’ NON SI E’ MAI sicuri della safety di un prodotto finche’ non arriva al massimo numero di utilizzatori. Praticamente sempre queste sostanze hanno prodotto un effetto sul tuo organismo, ed alcune volte questo effetto e’stato dannoso, la maggior parte delle quali non ti sei accorto di nulla. Rarissime volte te ne sei accorto, ed hai avuto di che grattarti, vomitare o fartela sotto. Adesso pensaci un bene: per ognuno di quei prodotti ce ne sono stati per lo meno 90 che non hanno passato la prova negli animali prima, e 9 che non l’hanno passata nei volontari umani. Di 100, uno e’arrivato a te, e in qualche caso quell’uno ti ha fatto pure male. Adesso immaginati quanti uomini avresti dovuto etstare per arrivare da 100 a uno: troppi, per usare volontari. E con un rischio enorme di provocare danni.
2) Dobbiamo essere sicuri che il gioco valga la candela, ovvero che quello che testiamo sia PIU’ efficace e/o MENO dannoso di quello che abbiamo gia’. Ed abbiamo bisogno di selezionare da grandi numeri a piccoli numeri, secondo un criterio il piu’ logico possibile. Il criterio, purtroppo, e’quello dell’analogia: organismi simili rispondono in maniera simile. E’ vero che ci son casi in cui la pennicillina, l’aspirina etc (tra parentesi, spesso c’e’ pure un perche’ la pennicillina e l’aspirina etc, lo si puo’ spiegare e da quella spigazione imparare e “”refine”) ma sono casi. A spanne, nella farmacopea europea ci sono 5000 principi attivi. Poi ci sono gli addiitivi alimentari, e migliaia di sostanze chimiche con le quali possiamo venire in contatto. Per moltissime di esse tramite la sperimentazione animale si e’provato un effetto che esiste anche sull’uomo, e moltissime di queste hanno passato un test di non tossicita’ sull’naimale che e’stato confermato poi nell’uomo. Non sono ingrado di dirti quanti casi come la pennicillina o l’aspirina etc… ma se mi consenti una ipotesi saranno sempre un numero incomparabilmente basso.
Cosa ne pensi?
Caro Francesco, intervengo come utilizzatrice (poco in verità) di rossetto e chiaramente anche della categoria di prodotti per la cura della casa e della persona che vengono usati da tutti. Attualmente ci sono molte aziende conosciute per la qualità dei loro prodotti a cui mi rivolgo che sono certificate icea ( http://www.icea.info/Portals/0/ICEA_elenco_cosmesi_NEW.pdf ) e altre come Weleda o Dr Haucshka note per la loro battaglia per una cosmesi efficace e cruelty free.
Grazie Nienna, non mi intendo della sperimentazione dei cosmetici, il link e’ interessante.
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