10 MARZO 2012

Sono stato alla manifestazione della Fiom e il Pd non mi ha nemmeno espulso

Proprio così, e se ci pensate è una cosa da pazzi. Voglio dire: io li odio, i sindacati. Non ci posso fare niente: è come quando da piccolo vieni morso da un cane, e poi ti fanno paura tutti, anche i bassotti, per tutta la vita. Io coi sindacati ho avuto un’esperienza di merda, proprio nei miei primissimi anni di lavoro, quelli in cui sei più indifeso. E da allora me la sono segnata.
Poi però, stamattina, ripensando alla giornata di ieri, mi sono ricordato di una cosa. Mi sono ricordato che quella brutta esperienza era dovuta al fatto che mi sentivo sfruttato, costantemente in pericolo e senza futuro. Che avrei voluto qualcuno che mi difendesse, ma non c’era nessuno: e ho dovuto cavarmela da solo.
I motivi seri (politici) per cui ieri ero a Roma con due amici non riguardavano, come qualcuno ha insinuato, la visibilità: in questo ambiente, poi, è un’accusa che nessuno si può permettere. Quei motivi li racconta Pippo, e non ho altro da aggiungere. Nella sua descrizione della comitiva che lo ha accompagnato, io sono quello “più liberale e nuovo a questo tipo di esperienze”, e la giornata di ieri non mi ha fatto cambiare idea. Sono sempre convinto che una riforma del mercato del lavoro serva, e che la deregulation della flessibilità di questi anni – io ho iniziato a lavorare nel 1993, il fenomeno non è esattamente recente – vada mediata limitando l’uso paradossale che di quelle forme è stato fatto, ed allargando l’ombrello degli ammortizzatori sociali, ma senza pretendere soluzioni che oggi il sistema economico non potrebbe reggere: un cambiamento che non sarà il migliore dei mondi possibili, ma è concreto, ed è pur sempre più desiderabile di un cazzo di niente.
Non ho condiviso molti dei contenuti che ho ascoltato ieri, e continuo a mal sopportare le forme linguistiche, retoriche, con cui vengono espressi. Ad esempio sull’articolo 18, che pure io penso sia un principio di civiltà che come tale deve rimanere lì dov’è, e credo sia vero che non sia questo il freno agli investimenti delle imprese in Italia. Ma ribaltare con un trucco dialettico l’attacco a cui sottoposto, chiedendone l’estensione erga omnes, semplicemente non è realistico. In definitiva, trovo che la Fiom chieda cose che a torto o a ragione non succederanno, con l’effetto però di lasciare tutte le posizioni lì dove sono, congelate, come peraltro è capitato in questo ventennio. E questo non va bene, non va più bene. Insomma vorrei rassicurare i parenti a casa, e tranquillizzarli che non mi sono improvvisamente trasformato in socialdemocratico. Anzi ho il sospetto che, ricambiando le mie riserve, uno come me, da un certo genere di militanti Fiom, verrebbe considerato un borghesuccio: mi fa sorridere, ma lo capisco.
Però c’è un’altro aspetto, che sono in grado di capire persino io: che i lavoratori hanno diritto di organizzarsi, di scegliersi i loro rappresentanti, di non essere per questo licenziati, e che questo diritto è pure scritto nella Costituzione. Che dove un sopruso si manifesta, un partito, qualsiasi partito, dovrebbe esser lì, ad ascoltare chi l’ha subito. Capace di spiegare, se interpellato, cosa pensa, cosa ha in mente di fare, soprattutto nelle differenze con le persone che incontra. Perché altrimenti non si capisce a cosa serva, un partito. Ed è davvero il colmo che debba essere io, a dirlo: perché voi non lo potete sapere, quante volte nel mio partito mi sono dovuto sorbire estenuanti pippotti sulla necessità di dover tornare a parlare coi lavoratori, e quante volte mi è stato fatto capire senza tante cerimonie che ero fuori posto, che ero un pericoloso destro.
Ma forse ero io, a non capire: io non c’ero, prima, e forse è solo una prassi che a un certo punto è rimasta tra le cose che si dicono e basta, invocando i lavoratori come a una seduta spiritica – se ci sei, batti un colpo – o aspettando che vengano da soli come la famosa montagna con Maometto. Non che se ne siano mai visti, peraltro, o almeno da quando ci sto io.
Oppure il problema è che, certo, c’è il sospetto che la Fiom voglia giocare un ruolo politico più che sindacale, che voglia organizzare un’area: è anche per questo, immagino, che si annunciava la presenza dei NoTav – sparutissimi, peraltro – e di altre forme di dissenso sociale. Può essere, ma non è questa, anche più delle altre, una sfida con la quale un partito si dovrebbe misurare? Non dovrebbe essere il suo mestiere, provare a rappresentare almeno un pezzo di quella piazza – piena di iscritti del Pd, segnalo – oppure dobbiamo rassegnarci ad agire secondo l’unico criterio di non turbare gli equilibri interni, e i sonni del moderatissimo Enrico Letta?
O forse il problema è un altro, il problema è che il giovane 46enne Letta non si sarebbe potuto permettere di andarci, in quella piazza, senza finire contestato. E figuriamoci gli altri, quelli che non sono nemmeno così giovani. Forse il problema è che c’è una classe dirigente che non è credibile, che ha bruciato tutti i ponti, e a cui non resta che chiudersi nel palazzo perché non potrebbe nemmeno azzardarsi a mettere il naso fuori. Che è costretta a cercare di convincerci che le uniche cose importanti succedono lì, dentro quelle stanze.
Ebbene, compagni (sic) vi do una notizia: non siamo obbligati a crederci, e infatti non dobbiamo.

  1. I sindacati (tutti, soprattutto la FIOM) se ne sono fottuti per decenni dei diritti di tutti. Miracolo, se ne sono accorti ieri. Un po’ poco per avere credibilità, chez moi.

  2. E immagino che questo sia tutto quello che hai da dire sull’argomento. Libero di.

  3. Caro liberale non abituato a questo tipo di esperienze, bravo per essere andato alla manifestazione. Anch’io li odio i sindacati, ma non da quando ero piccola. Nel 1964 avevo tredici anni, mia madre era una lavoratrice tessile e guidava la rivolta in fabbrica.
    Erano tutte ragazze e giovani donne con capireparto maschi che allungavano pure le mani. Andavano in fabbrica in bicicletta, vestivano pantaloni tipo jeans, e si mettevano un filo di rossetto. Erano spavalde e dignitose insieme; ressero uno sciopero di trenta giorni ma cambiarono le regole che più le offendevano e le ferivano. Guadagnarono la solidarietà dei commercianti che osservarono una serrata in paese.
    Mia madre, che era molto intelligente e appassionata, lasció la fabbrica nel 1969 e si reiventó un lavoro con un’amica. Si é ritirata nel 1990 all’età di sessant’anni, ancora molto intelligente e appassionata, e si é dedicata con slancio all’Università per gli anziani.
    Anche lí ha dovuto fare le sue battaglie, staccarsi da quella istituzionale per fondare la Libera Università delle Clarisse. Mia madre ha una gemella, anche lei operaia tessile, entrata in fabbrica da ragazzina, mentre mia madre ha frequentato le scuole medie e il primo anno delle magistrali. La gemella era una obbediente, si metteva il vestito della festa quando il padrone invitava gli operai alla cena annuale.
    Quando mia madre entra in fabbrica non c ‘é il sindacato, ma poiché capisce le cose che non vanno, si reca in città a cercare i sindacati.
    Ricordo persone degnissime, venute dalla città per discutere con lei, ma lei ha le sue idee e la capacità di raccontarle. Ci crede ed é credibile, per tutti, per i bianchi e per i rossi, perché si concentra sulle cose del lavoro, sulle parti, proprietà e salariati, come usava dire. La gemella, intanto, le va dietro, ma sono altre le ragazze che portano avanti la lotta. La zia molto rossa diventerà rifondarola, mentre la mamma, molto critica nei confronti dei sindacalisti che si sono seduti sulle poltrone piú alte del paese vota PD turandosi il naso. E quando vede gli operai in TV dice che bisogna ricominciare tutto da capo: fuori i sindacati dalle fabbriche e che i salariati si riprendano in mano il loro destino.
    Alla sua epoca il capo tecnico della sua azienda, il suo Marchionne, era un ingegnere tedesco. Era il suo avversario, ma si stimavano, loro erano pronti per un modello inedito di sindacato che in Italia non é mai nato.
    Ci vuole il fisico del ruolo.
    Grazia

    Caro Paolo
    Mi é tornato in mente Cofferrati, dalla Pirelli a Sindaco della mia città, una parabola esemplare degli anni che ci lasciamo alle spalle.
    Grazia

    Grazia
  4. Grazia, che altro dire. E’ perfetto.

    NOn è accodandosi agli ultimi che hanno capito gli errori che hanno fatto che ripareremo ai loro errori. Landini è la parodia di un sindacalista, critica il prodotto che da lavoro ai suoi tutelati, propone modelli di sviluppo che se si andasse a fondo decimerebbero i pochi operai che ancora ci sono, per non parlare di un sindacalista metalmeccanico contro la TAV. Ripeto: Landini approdi felicemente al suo scranno parlamentare, ce ne sono stati di peggiori, e si liberi questa parodia di sindacato che è diventata la FIOM.

  5. Ma chi si accoda? Lo leggi quel che commenti? E lo capisci quel che leggi?

  6. Caro Paolo
    ti conosco da poco tempo e ho letto il tuo Canto di Natale poco prima di Canossa.
    Ho letto Tempi difficili di recente, e mi piacerebbe un tuo post da far girare, come contributo al bicentenario dickensiano.
    Ciao, Grazia

    Grazia
  7. Molto volentieri. Ci sentiamo nei prossimi giorni.

  8. Egregio Cosseddu, la seguo con interesse, pur se a distanza di sicurezza.
    Condivido pressochè in toto la sostanza di quanto lei scrive nel post.
    Per la forma.. scrivere “un cazzo di niente” non ci pare il massimo dell’eleganza.
    Ci permettiamo di suggerirle la variante:
    “un cambiamento che non sarà il migliore dei mondi possibili, ma è concreto, ed è pur sempre più desiderabile di una minchia di niente”

    la teniamo d’occhio, Lei e quell’altro della rottamazione.
    Occhio a non perdere la spinta morale.. glielo dica.
    Che qui siamo in molti, che vi si segue da vicino (pur con la distanza..)

    Scriva e non si lamenti.
    W il popolino.

    Paolo
  9. Pingback: Due parole sulla manifestazione della FIOM | RaffoBlog 2.1

  10. Condivido tutto.
    Solo che leggendo Pippo  pensavo che tu fossi quello di sinistra (perchè secondo me sei molto più di sinistra tu che tanti altri millantatori), non quello “liberale”.

    Allora quello di sinistra chi era, il nipote del Che?

    ;-)

    GP Giampi
  11. La parola liberale, in Italia, non ha nessun significato. Purtroppo

  12. Pingback: Due parole sulla manifestazione della FIOMRaffoBlog 2.1 | RaffoBlog 2.1