30 GENNAIO 2012

Lo scarparo milionaro

Io mi sono fatto questa idea: che le associazioni di categoria dei commercianti siano tutte nelle mani di tipici scarpari di ventiseiesima generazione col negozio in centro.
Sapete anche voi a chi mi riferisco, soprattutto se vivete in una di quelle piccole città con una via o una piazza centrale, pavimentazione cubettata, panchine e lampioni in ferro battuto, di qualità migliore che nel resto del perimetro comunale. Lì, da sempre, da prima che l’area fosse pedonalizzata – provvedimento a cui comunque si opposero fermamente, quando fu introdotto – hanno sede dai tempi dei tempi pochi, selezionati negozi in cui l’alta borghesia locale ha quasi l’obbligo di acquistare, ma soprattutto di farsi vedere. Non importa che i prezzi siano follemente più alti che altrove, i gioielli si comprano da Tizio, la pelletteria da Caio, e ovviamente le scarpe da Sempronio.
Ovviamente, quei negozi vendono esattamente la stessa merda che oggi – Dio benedica la globalizzazione – potreste trovare ovunque, con l’aggravante che se vi azzardate a entrare in uno di questi templi del lusso provincialotto con la colpa grave di non avere scritto in fronte che fate parte dell’upper class autoctona, immediatamente anche l’ultima delle commesse prenderà a trattarvi come dei barboni, e come se a permettervi un acquisto in quel negozio vi stessero facendo il più grande e misericordioso dei favori. Come se l’etichetta prevedesse che, dopo aver pagato continuando a sussurrare “grazie, grazie, grazie”, fosse obbligatorio uscire camminando all’indietro in un profluvio di inchini che manco vi steste congedando dalla fottuta regina d’Inghilterra in persona.
Da un certo punto di vista, è un atteggiamento persino giustificato: questa è gente che, generazione dopo generazione, nei decenni e a volte nei secoli, ha fatto i miliardi. Ha venduto la qualunque con ricarichi paradossali negli anni del benessere, negli anni in cui c’era il mito del negozio in centro e avrebbero convinto i clienti che la loro merda è oro.
Poi, semplicemente, è finita: e, a parte chi è rimasto a commerciare in nicchie di reale, assoluta eccellenza – e beato chi ce la fa – tutti gli altri sono oggi messi alle corde dall’ubiqua disponibilità di tutto, dalle economie di scala, da più disponibili informazioni sui prodotti, e soprattutto dalla fine dei complessi di inferiorità da parte di ogni fascia sociale di acquirente.
A loro, saldamente al comando delle associazioni di categoria, preoccupati che al loro bis-bis-bis-bis-bis-nipote non basti quel gruzzolone accantonato sin dal tardo Ottocento (e magari portato in Svizzera nel primo Duemila), non resta che opporsi al cambiamento: difendere con le unghie e coi denti il concetto che i saldi abbiano un inizio e una fine ben ferma sul calendario, come se la cosa avesse davvero senso. Denunciare, ormai completamente circondati da negozi di catene di biancheria intima, lo strapotere della grande distribuzione, e pretendere che tutti alzino e abbassino la serranda quando lo fanno loro.
Sbraitano, gli scarpari, issando il vessillo dei piccoli contro i forti: cazzate. E’ del tutto evidente – lo è ovunque nel mondo – che nessun supermercato terrebbe aperto tutta la notte per servire pochi clienti: perché i supermercati sono baracconi enormi e costosi, e richiedono che anche al minimo vi lavorino sempre tot addetti, senza contare consumi elettrici e altri costi mica da ridere. Nessun supermercato potrebbe permettersi di tenere aperto per aspettare che alle quattro del mattino il Drugo vada a comprarsi il lattuccio.
E infatti, non è davvero dai grandi gruppi, che si vuole difendere lo scarparo, egli in realtà teme ben altro: teme un concorrente a lui molto più simile, anche se tenuto a distanza di sicurezza dai vertici delle associazioni di categoria. Lo scarparo teme il piccolo negoziante, non quello che è lì da sempre con le sue vetrine luccicanti e i suoi prezzi irraggiungibili, piuttosto quello magari giovane, magari immigrato, che non ha ancora accumulato valigie di denaro, e che probabilmente è molto più motivato dello scarparo stesso ad aprire di domenica, e se serve pure di notte, e che soprattutto è assolutamente determinato a fargli il culo, allo scarparo milionaro.
Beh, ha tutta la mia simpatia.

  1. Concetti assolutamente condiviisibili. Ne aggiungerei un ultimo: per lo scarparo e affini lo sciopero è un ferroveccchio se attuato dagli operai, ma diventa sacrosanto quando si trasforma in rivolta corporativa ai limiti e oltre della legalità. E, ovviamente, la Guardia di Finanza ha sempre qualche gruppo più importante da tenere d’occhio, purché non sia il tuo

  2. Caro Popolino, c’è sicuramente molto di vero in quello che scrivi tu,
    ma c’è anche un po di qualunquismo un tanto al chilo diciamo la verità.
    Le associazioni di categoria sono in mano a coloro che ne sono iscritti e coloro che ne sono iscritti dovrebbero invece di delegare ad altri la difesa dei loro diritti, farsene carico in prima persona.
    Io credo che la liberalizzazione abbassi i prezzi e migliori l’offerta, ma conosco molti amici che hanno investito tutti i loro risparmi o si sono addirittura indebitati per rilevare un attività commerciale.
    A conti fatti hanno sbagliato, a conti fatti hanno fatto male, a conti fatto erano con le pezze al culo prima e sono con le pezze al culo ora, ma dire a queste persone che non hanno più un valore in mano pur avendo speso in molti casi decine di migliaia di euro per rilevare una attività “Ora arrangiati” secondo me non è la via giusta. Nè politicamente, nè socialmente, ne eticamente.
    Ora sui due piedi non so qual’è la soluzione, ma secondo me il costo o il prezzo delle liberalizzazioni non può cadere interamente sulle spalle di molti che hanno speso soldi per un attività che ora non vale più nulla.

    quilly
  3. Il mercato – e l’evoluzione della civiltà umana, per dire – ha una sua legge naturale, che spesso è più forte di quella scritta. E questa legge dice che la competizione cambia le cose, che gli attori del mercato lo vogliano o no. Altrimenti, seguendo il tuo ragionamento, avremmo dovuto tutelare i padroni delle miniere di carbone, che avevano così tanto investito in quella fonte energetica, o avremmo dovuto impedire la diffusione dei telai ad aria, per non danneggiare le tessiture che avevano ancora i vecchi telai a spoletta. O avremmo dovuto fare una legge ad hoc contro la diffusione dei dvd, per non danneggiare le videoteche che avevano sugli scaffali migliaia di titoli in vhs. O proibire i jeans e gli abiti confezionati, per far lavorare i sarti. E potremmo continuare, in questa direzione, fino ad arrivare a dire che non ci saremmo mai dovuti trasferire nelle caverne, con tutta la fatica che avevamo fatto per trovare un ramo comodo.

  4. Io non ho parlato di arrestare il progresso. Dico solo che i cambiamenti andrebbero fatti con un minimo di gradualità e con un occhio anche ai soggetti più deboli. Poi è chiaro che non sono il depositario del verbo e magari quelle che dico alla prova dei fatti si potrebbero rivelare fregnacce.
    Ma se un azienda che ha cento dipendenti dovesse avere a disposizione una macchina che li sostituisce tutti e cento farebbe quindi bene a licenziarli tutti in tronco mandandoli a cercarsi un altro lavoro? Giusto per sapere….
    Il fatto è che io ho fatto sempre e solo il commerciante e molte volte (premetto che non so che lavoro fai tu) sento parlare di commercio, di mercato e di problematiche inerenti al commercio e al mercato solo persone che non si sono mai spostate dalla loro scrivania.
    I commercianti ci sono di mille tipi, da quello che fa fatica a tirare a campare allo scarparo che vive di rendita che dicevi tu.
    Pur essendo favorevole alle liberalizzazioni (vere) quest’idea di mercato che ha nell’autoregolamentazione la panacea di tutti i mali non mi convince per niente.
    Dalla cassetta al Dvd sono passati decenni. I proprietari di miniere di carbone non credo abbiano avuto grossi problemi a convertirsi al petrolio o al gas. Gli stessi sarti ancora esistono ed è un lavoro che pur esssendo i Jeans nati alla fine del secolo scorso è stato piuttosto praticato fino ad almeno dieci anni fa.  Secondo me la politica deve dare risposte, sempre e comunque. E se le risposte sono “Arrangiatevi” mi spiace non sono daccordo. Comunque con questo chiudo perchè non voglio passare da Troll. Anche perchè molto probabilmente la pensiamo allo stesso modo per il 90% e quindi inutile rinfocolare una polemica simile.

    quilly
  5. Gli scarpari del centro sono ostinatamente incoerenti e scollegati alla realtà. Fluttuano.

    Sono anziani e abbandonati dai bis-bis-bis-bis nipoti che all’attività di famiglia preferiscono una partitina alla play e l’ape delle 7.

    Sono leghisti convinti. Convinti sì, ma non coglioni. E all’ora della pensione cedono le loro attività ai cinesi. Unici acquirenti in grado di pagare subito e in contanti.

    Selezione naturale. Forse vi ricordate del diplodocus? Ne sentite la mancanza?

    Non angustiamoci. ci pensa la natura. Si occuperà degli scarpari e della loro progenie.

     

     

    Acciuga DaBagna
  6. staremo a vedere, ma secondo me lo scarparo alla fine la spunta…