4 DICEMBRE 2011

L’isola dei pasolini

Dagli Stati Generali della Cultura organizzati dal Pd in questo fine settimana (e che io tanto per cominciare avrei chiamato diversamente, ma vabbè), l’unico intervento in cui davvero sento di potermi riconoscere, quello di Guia Soncini. Antipatica per mestiere, ma non per questo nel torto, Guia fornisce in pochi minuti strumenti decisamente ben precisati con i quali, finalmente, la sinistra italiana potrebbe, se solo volesse, imparare a maneggiare quella cosa che ci circonda tutti e che implicitamente si disprezza a partire dalla sua definizione di cultura popolare, con disastrosi effetti nella comprensione del Paese, peraltro. Uscendo, sarebbe ora, da quell’isolamento autoriferito che molto spesso non è nient’altro che lo status necessario a frequentare i dopocena dei propri simili. Quel genere, sapete, tutto casolari in campagna, documentari croati e manco l’ombra di un complice che abbia mai visto un film di zombi e con cui sia possibile rilassarsi un po’.
Un argomento da inserto domenicale molto atipico, senza nemmeno una menzione a Moravia o all’Oro di Dongo o ai temi tipicissimi delle pagine culturali dei grandi quotidiani della borghesia gauche, che qui su Popolino si è molto frequentato, e che Guia affronta coraggiosamente, nel suo ruolo di ospite che non ti aspetti, in una due giorni quasi omogeneamente di segno opposto, genere “pianti sulle macerie”. Di fronte a una platea ridacchiante a mezza bocca ma intimamente ostile – vedere gli altri interventi per credere – si ferma a un passo dal sacrificio estremo, quello di farsi esplodere toccando il tabù intoccabile e dicendo, finalmente, che al netto di tante cose meravigliose che ci ha lasciato, questi sono i danni prodotti da Pasolini, o meglio dalla Chiesa pasolinista che si è impossessata del suo verbo, nell’opportuna assenza del suo originale architetto che tanto, essendo nel frattempo morto, non può rinnegarla più di quanto non potesse fare Gesù con Torquemada: e che se fosse vivo forse oggi, chissà, farebbe l’opinionista dalla De Filippi.
Qui, dove il problema del tabù non sussiste, si ricorda infine, sommessamente, da radi frequentatori di una cultura che è maggioritaria ovunque tranne che nel partito in cui si milita, che i Beatles, Charlie Brown e i Simpsons sono popolari quanto pop, e ciò nonostante non li scambierei mai, per nessuna ragione al mondo, con l’ultimo saggio Adelphi scritto dal professor Castrocazzi.

  1. Penso che fare politica, sia anche saper stare in silenzio, quando non si hanno più argomenti di cui (poter) parlare. Mi sembra inutile portare avanti un monologo barocco moderno, che, ripeto, sfiora il gossip politico, mentre il PD è in procinto di votare la manovra di Monti e perdere una milionata di elettori, consolandosi, perché al PD+L succederà altrettanto, anche se in maniera meno devastante.                                                                                                                   Scrivo questo, perché la politica, per me è diventata come la pubblicità delle automobili, inutile e non credibile. I giovani e meno giovani, che si dedicano alla politica, dovranno sfogare le proprie passioni con impegni diversi, la politica è finita, è stata comprata dalla comunicazione e dagli interessi economici, è diventata un mestiere per lo spettacolo, per i giornalisti, per gli arrivisti e un hobby per i potenti. C’è solo un modo per combattere questo logo della politica, armata di guardie del corpo, auto blindate, intelligence, stampa d’opinione, sottoposti seduti nelle stanze dei bottoni e uno stuolo di umani leccaculi, la rivolta fisica e violenta, contro le violenze, che subiamo ogni giorno. La teoria dell fine del mondo nel 2012 è sicuramente una bufala, ma la teoria di George Orwell è molto più vicina di quanto la gente non percepisca. Quando ero giovane pensavo che Andreotti e la sua depravata immagine politica, fossero un brutto scherzo irripetibile, ebbene, quello scherzo, nel brodo primordiale del governo italiano, si è sviluppato come un’ameba ed è diventato così numeroso, da occupare tutte le poltrone del potere.

    Sei libero di cancellare quanto scrivo, in effetti questo spazio appartiene a te, non agli altri.

    Ciao Fausto

    fausto fabiano
  2. Io non cancello nulla, non ne ho motivo. Segnalo però che siamo tutti bravi, dal nostro salotto, a dire che fa tutto schifo, che ci vorrebbe la rivoluzione e che vivremmo meglio su Marte. Non che questo ci avvicini a Marte di un singolo millimetro, però. E il limite del tuo ragionamento è persino più piccolo. Quando sarai in grado di fare addirittura un passo, beh, nel caso ne parliamo.

  3. condivido in pieno paolo, e aggiungo che Pasolini adesso viene incensato ma in vita dal pci fu discriminato perchè non presentabile dato le cose che diceva e sopratutto per sua dichiarata omosessualità.

  4. onestamente non mi convince questa analisi della Soncini, lo dico senza ostilità. Veniamo da un decennio in cui si è deciso che era cult il peggio della nostra produzione cinematografica, in cui non si è posto alcun argine serio alla proposta antropologica avanzata da mediaset. il lettore di repubblica che vede solo film iraniani e che mangia vegano non è anch’esso un esito laterale della produzione dell’immaginario di questo stesso mainstream? se provo un naturale orrore quando sento Ferrero che dice (oggi) che il partito deve essere un passo avanti alle masse (!!), non mi trovo a mio agio con chi mi dice che gli intellettuali devono star dietro alle masse, devono comprenderne il libero esercizio del gusto. Quanta libertà c’è, nell’esercizio del gusto, se i mezzi di informazione sono di fatto fuori da un regime di reale libero mercato e di reale concorrenza? Quanto il gusto è prodotto di uno spontaneo orientamento dell’opionione pubblica e quanto invece il prodotto orientato di un orizzonte di scelta ristretta? Il caso del Tg di Mentana non dimostra forse che la gente (il POP) voleva contenuti? Il caso di Fiorello non dimostra che la gente se può scegliere tra trash e un nazional popolare elegante sceglie il secondo? Non ci ricordiamo gli ascolti di Benigni quando leggeva Dante? Erano tutti i lettori vegani di Repubblica? Io penso che “gli intellettuali” anzitutto dovrebbero smetterla invece di avere sensi di superiorità o di inferiorità, e mettersi al servizio del reale. né stando “davanti” alle masse, né stando “dietro”, bensì piuttosto, come dovrebbe essere, stando a fianco, contribuendo con la propria voce a indirizzare la società, senza pretendere di determinarne le scelte.

  5. Brillante questa Soncini. Soprattutto se si riferisce al lungo sonno intellettuale del Pd e prima ancora della Quercia (si sa le ombre frondose ecc. ecc.). E però è assai dubbio che la Soncini riferisca le sue insofferenze ad altro che non sia pura strategia di mercato elettorale. Viceversa di cosa si parla? Del fatto che il paradigma culturale del millennio è Fabio Volo e che il modello è dato dalla condivisione, in tv o in libreria? Del fatto che siccome si prendono i voti se piaci, allora bisogna che gli intellettuali (organici e disorganici) facciano loro il palinsesto senza schifare l’isola dei famosi ma anzi, porgendo una versione capace di migliore fortuna? La Soncini ha dimenticato di dire l’unica cosa importante: che se oggi il pop ha (quando pure l’ha) attenzione culturale lo si deve agli intellettuali di sinistra: da Gramsci a Propp, da Umberto Eco a Barthes. Se invece si vuol dire che adesso Gramsci e Barthes saranno pure dei pilastri ma che rottura di coglioni…ecco, qui siamo ai deliri (falsi naturalmente) come falso è il Novella 2000 comprato con l’Internazionale (l’unico che potrebbe farlo, e a ragione, è appunto Umberto Eco). Sarebbe stato meglio invece che il Pd o la ‘Cosa’ avesse chiesto ai suoi intellettuali di riflettere sulle parole d’ordine del libero mercato e della concorrenza e la globalizzazione e del fatto che OGGI non si va da nessuna parte se….(perché se le cose stanno così tanto vale che la politica la si faccia davvero come gli Stati Generali alle dipendenze del Re Sole…). La cultura di massa – sarebbe il caso di ricordare alla Soncini – c’è sempre stata e ha sempre avuto audience. E’ una tautologia (chiedo scusa per la parola). A fine 700 c’era una schiera di romanzieri e romanziere che scrivevano libri di cui oggi non si conosce il nome ma solo la quantità tipografica sfornata; il feuilleton di Sue stava al pari del Fabio Volo di oggi (ed Eco ne ha scritto come diversi altri), ma a nessuno veniva in mente che Sue era meglio di Stendhal. E questo perché non era vero, come non è vero che Magris vorrebbe essere Volo. Quello che è cambiato è che mentre il pop oggi è non solo visibile ma rigurgitante, la cultura alta non lo è e pur non essendolo deve fare i conti con le proposizioni (per lo più un vuoto a rendere) che provengono dal piccolo schermo. Ma anziché celebrare l’isola dei famosi non sarebbe meglio chiedersi perché persino nella crisi più profonda dell’Occidente, le tv e i giornalisti di tutto il mondo possono solo raccontare le Borse e le parole d’ordine dei liberisti? Invece di intonare la solita solfa che gli intellettuali sono snob, non sarebbe meglio usare un’isola dei famosi qualsiasi, per stroncare tutte le stronzate e i luoghi comuni che mostrano come “il lusso sia un diritto”, come il meglio sia la moltiplicazione della propria immagine nelle case, o che Non mostrano come la cultura dell’immagine sia importante ma come quella letteraria e filosofica ci insegni ad analizzare, come la Storia sia sempre fatta dagli uomini e non un destino? E infine, da quanto mondo è mondo, che gli intellettuali (piaccia o no) sono per esempio quelli che (Habermas, Bordieu e Gallino e Chomsky) negli anni Novanta hanno detto quello che sta succedendo oggi. E che siccome carta canta, non c’è proprio niente da contestare, e che la loro opinione visto che è diventata un FATTO non vale quanto quella di chi non ci ha azzeccato un cazzo, come il Pd?

  6. Marco, gli argomenti non ti mancano e quindi non li contesto. Però: ho tirato giù dalla libreria il volume che raccoglie il famoso saggio di Eco sui Peanuts, ed è datato 1965. Da allora, non solo gli integrati sono divenuti molto apocalittici – ma anche molto tromboni, se mi si consente la provocazione – e non solo, come capita a tutti quando si inizia a invecchiare, hanno perso un po’ il polso e il quadro generale di quello che nei decenni successivi è diventato cultura di massa, ma di fatto quel lavoro hanno smesso di farlo senza che peraltro si siano affacciati nuovi intellettuali abbastanza coraggiosi da farsi carico di quella lettura, che è una lettura fondamentale. Lettura, lo ripeto, poiché lettura non è, per forza, condivisione: comprensione però sì, almeno quello. Si è consumato un apartheid che è dannoso, oltre che ridicolo, e visto che stiamo discutendo di un contesto politico lo è il doppio perché produce elettori che si credono molto intelligenti ma che in realtà non sanno, o fingono di non sapere, in che mondo vivono, e leader che inevitabilmente non fanno altro che rappresentarne i limiti. E no, la soluzione non è il veltronismo, ovvero quell’impostazione, quella pesantezza che vorrebbe attribuire a cose diverse la stessa gravità intellettuale, non è l’unica grande chiesa che parte da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa, queste sono stronzate tragiche e a questo punto direi che lo sappiamo con certezza. Ma neanche gli elzeviri di una stampa che ormai parla solo ai suoi defunti ex professori universitari, però. Piuttosto, un po’ più di leggerezza, di laica leggerezza, quella sì, e di curiosità.

  7. Concordo. Sia in ordine alla curiosità, sia in ordine alla leggerezza. Ma nello stesso tempo credo che non mi piacciano le pagine culturali di oggi per ragioni diverse. Come del resto non mi piace l’omogeneità dei giornali e delle tivù, dove si parla sempre  DALLO stesso punto di vista, dove sembra che un programma di approfondimento giornalistico che non mostra una audience di qualche rilievo sia un retaggio del passato, dove si censura a priori (senza telefonate dei Masi e dei Berlusca) quel che non è istituzionale e omologante indipendentemente dal fatto che ci siano alle spalle un Consiglio Rai oppure  degli azionisti.  Ecco, è questa marmorizzazione degli eventi che oggi definisce la Censura. Ma come….milioni di persone in tutto il mondo mostrano pollice verso alle politiche liberiste e i Tg di tutto il mondo se ne occupano come se si trattasse della crisi di pianto del ministro Fornero?! Per tre giorni di seguito  ci dite cosa è successo ai 12 arrestati del 15 ottobre e nient’altro? La storia delle borse ma, prima ancora, le vicende di Berlusconi dicono il resto. Adesso è chiaro a tutti, credo,  che il governo dei berluscones era un problema in più, ma non il cuore del problema. Eppure le prime pagine dei maggiori quotidiani (e molto altro) sembrano seguire un palinsesto proponendo gli stessi argomenti nella medesima ottica, esattamente come i notiziari televisivi. L’epoca che ha il maggior numero di fonti di informazione è quella che produce le informazioni più povere. L’effetto per la ricezione è però tutt’altro che scontato: a forza di ripetere un messaggio, questo diventa vero anche se non lo è. L’oggettività si ottiene attraverso la moltiplicazione del linguaggio. Lo stesso - io credo – accade rispetto alla dittatura ( dittatura pretesa e ideologica) dell’audience. Il punto è che non si capisce o non si vuole capire come sia la diffusione del tema e il suo mezzo a fare il pubblico e non il pubblico a determinare la tivù e i gusti. Non credo che una trasmissione che si occupi di approfondimento giornalistico debba essere collocata alle 23 di sera e una volta sola la settimana; che una trasmissione sui libri debba interessare una certa fascia di audience come requisito minimo per la diffusione, che si debba parlare di Auster ma non di Fabio Volo…ecc.ecc. Basta guardare la storia della tv. Viceversa il tema che corre sottotracciaè che il presente è immodificabile: o ci si adegua o si resta nell’eremo. E’ esattamente uno dei temi del liberismo e della globalizzazione. E’ il tema del Mercato, è il tema dell’Audience.  La storia degli uomini, secondo questo pensiero non scritto ma alluso, è  nel presente immodificabile, è un destino, è complessità irriducibile. Invece io penso che la storia di oggi non sia diversa (rispetto a questi temi) di quella di cinque secoli fa. Anche per questo (e qui correggo una cosa scritta in fretta ieri, alla fine del commento, e che non si capisce più di tanto) dico che il pensiero intellettuale più alto non può stare sulla stessa panca, confondendo la democrazia con la qualità. Non si può dire che l’opinione di Habernas e Bourdieau  che dieci e vent’anni preconizzavano con le loro interpretazioni la crisi strutturale di oggi, sia sullo stesso piano dell’analisi dell’economista liberista o del commentatore giornalistico. I fatti si sono incaricati di dimostrare che non è così. Infine, a proposito, della cultura pop… Può essere che i giovani intellettuali non vi si dedichino. Fanno male. E’ sempre lo sguardo intellettuale che dice la qualità del lavoro, non la luce riflessa dell’oggetto, io credo.

     

    Marco Conti
  8. La televisione non fa e non vuole fare informazione, la televisione rappresenta i politici, che vogliono apparire senza esprimere nulla. Io, comune cittadino in pensione con molta dignità, per aver strapagato quanto mi stanno restituendo, ho cercato di capire questa finanziaria.

    Prima è stato detto che noi pensionati sopra i 1000,00 euro al mese (una ricchezza) non avremmo ricevuto l’adeguamento 2012 (speriamo che non sia come le accise sulla benzina), che sarebbe aumentata l’IRPEF sopra i 50/70,000 euro, poi hanno deciso che noi pensionati non siamo consumatori, ma i ricchi si, e hanno deciso di non aumentare l’IRPEF, che però può essere aumentata dalla province. A questo punto mi sono chiesto: la provincia può aumentare l’IRPEF….. ma a chi? Sono già stato inchiappettato una volta, il mio deretano è occupato, come fanno ad inchiappettarmi due volte?

     

    fausto fabiano
  9. Onestamente ho un po’ perso il filo delle vostre risposte. Davvero non capisco la necessità di perimetrare l’offerta culturale a tivù generaliste e quotidiani tradizionali, in una fase storica in cui l’offerta televisiva è sterminata e la rete permette di coltivare le nicchie d’interesse con molta più efficacia di quanto i canali soliti permetterebbero mai. Anche perché, se si teorizza che quelli sono i confini dell’universo cui ci riferiamo, poi è ovvio che ci si trovi a lamentarsi del fatto che in prima serata ci vanno solo le cagate. E’ tutto un modello – come del resto lo è la pubblicità – che ha peso soltanto finché gli si presta attenzione. Basato su misurazioni discutibili, come lo è molto ampiamente l’auditel, ed è sostanzialmente irriformabile, o almeno lo è nel senso che intendete voi. Io non ci credo più, che la soluzione stia in più servizio pubblico, limitato e unidirezionale. Piuttosto mi pare evidente che la soluzione sta nell’aumento dell’offerta, e nella diffusione di una cultura laica e curiosa, come ho scritto mille volte: ci sono prodotti (culturali) di massa orribili, e prodotti di massa eccezionali, e prodotti di nicchia molto intelligenti, e altri solo pretenziosi e mal fatti: né la massa esiste più, di fatto, mentre esistono le frammentazioni, il proliferare dei target, che si incrociano più di quanto gli studiosi sono disposti ad ammettere. Non si risolve mettendo Augias in prima serata e cancellando i talk show, si risolve scegliendo di più, sperimentando i pulsanti del telecomando oltre il settimo, esplorando la rete e le sue capacità d’informazione che vanno ben oltre Corriere.it, e cercando però di non isolarsi nella convinzione della propria intelligenza, mantenendosi un po’ attenti al mondo in cui si vive. Cosa che gli intellettuali, mi spiace, fanno molto male da molto tempo: intellettuali il cui mondo inizia e finisce nel salotto di Gad Lerner, tra altri simili autocompiaciuti, con la contrapposizione di una De Filippi a due canali di distanza che li mantiene in vita, e li illude della loro esistenza, mentre in quel momento altri 50 milioni di italiani fanno molte altre cose molto diverse di cui ostinatamente non sanno e non vogliono saper nulla.