14 NOVEMBRE 2011

One nation under reality show

Non l’avevo visto, Videocracy, e quando l’ho beccato su La7 ieri sera, scanalando, mi ci sono fermato perché mi sembrava quasi un dovere civico poter dire anch’io che so di cosa stiamo parlando. Purtroppo nessuno mi aveva avvisato del fatto che, per essere un tale freak show di postmoderne miserie umane, cinematograficamente parlando è invero palloso. Invero.
Così, al netto della grande emozione per la famosa scena in cui Corona si pastrugna il pomparuolo – che mi sono perso, causa irresistibile abbiocco – mi è venuto di pensare che tutta questa storia del collegamento causa-effetto tra reality e berlusconismo è una grande palla, o al massimo è una verità detta a metà. Che i reality sono un fenomeno massmediatico globale, ovunque, dal pionieristico Real World lanciato da Mtv nel 1992 all’attuale proliferazione di grooming live action di cui nessuno dei tot mila canali oggi disponibili sembra poter fare a meno. E’ comunque un segno dei tempi: i graffiti One Nation Under CCTV, quelli seminati per Londra da Banksy per protestare contro l’onnipresenza delle videocamere di sicurezza, ne sono l’intellettualizzazione, e i reality l’interpretazione più volgarmente popolare.
La differenza, semmai, sta nel fatto che solo in Italia quel modello – per niente real, e col passare delle edizioni sempre più fiction – oltre che sociale è diventato governativo. Ha a che fare con la questione del conflitto di interessi, certo, ma anche e parecchio con un uso del marketing politico molto spregiudicato, e che nessuno ha osato spingere fino a quel punto, tranne che qui da noi. Un’operazione culturale gigantesca, a dir poco, curiosamente orchestrata (e questo mi pare davvero argomento degno di analisi) da una truppa di omosessuali di estrema destra, cui è stato affidato il compito di prendere un fenomeno mediatico inevitabile e pandemico, nato e pensato con lo scopo di influenzare soltanto costumi e consumi, e di trovargli un utilizzo inedito. Le tivù italiane, anche se un po’ più volgari della media internazionale, non trasmettono affatto programmi così diversi da quelli che si vedono dappertutto, o che manderebbe in onda qualsiasi altro operatore dovesse mai subentrare agli attuali. E’ nel trovargli un uso politico, e fino a quel momento impensabile, che Berlusconi ha dimostrato una creatività unica al mondo.
Però, ecco, se davvero una stagione è finita – e lo sarà solo col riordino del nostro sistema dei media, lo dico per memento – allora anche questa faccenda dei reality andrà normalizzata: che sui nostri canali tivù ci sia finalmente roba bella, roba media, e roba brutta, purché libera da ulteriori livelli di lettura. Roba di nicchia fatta bene e appassionante, e roba di nicchia pallosa e autoreferenziale; roba popolare di qualità, e roba popolare bieca (al momento stiamo a due su quattro, indovinate quali). Come avviene ovunque, niente di più e niente di meno. Che se una ragazza vanesia e un po’ zoccola vuol far la velina e farsi il suo spazio nel mondo stando sulle ginocchia, e se un ragazzo vanesio e un po’ zoccola è disposto a mettersi a pecora per fare il tronista, beh, che sia in gran parte affar loro, o al massimo oggetto di studio per la sociologia: e mai più l’architrave di un progetto politico.

  1. Ciao Paolo, ma ricordo male o c’era un vecchio post in cui dicevi: “ho visto videocrazy. E’ brutto.” ? A parte questo, spezzo una lancia a favore del documentario in questione. Che non sarà un’iradiddio, ma per me è valido prorio sotto l’aspetto filmico. Se uno è in cerca di un doc alla Michael  Moore, allora rimarrà deluso: non è c’è nessuna rivelazione, nessuna verità giornalistica, niente che già non sapessimo. Ma se il genere documentario è, anche in italia da qualche tempo , percezione del reale e produzione di senso,  la qualità di Videocracy sta nei momenti senza voce fuori campo (quella, sì, didascalica): i provini per le veline nel centro commerciale, i casting per la tv, i volti della gente che sta a guardare le nipoti sul palco, le immagini di repertorio con i primi programmi pruriginosi della tv privata, Corona da vicino (il nudo è l’ulima cosa di cui mi frega, è il suo gangsterismo comunicativo – corpo e testa – a passare), l’ingenuità del ragazzo che vive con la mamma e che vuole sfondare… insomma il tessuto percettivo, le sensazioni, lo sfondo che dipinge (desolante e livido) sono proprio il controcampo -  estetico e quindi etico  – alla materia rappresentata. E’ lo sguardo con cui la materia viene fatta affiorare a essere valido (per la mia sensibilità). Detto questo, non è certo il Documentario dell’Anno (passato), ma un prodotto comunicativo “di cui c’è bisogno”. Chiedo scusa per la logorrea (crederai mica di avere l’esclusiva?).

    Beo Peraldo
  2. Pensa, me l’ero persino scordato: e mi ero addormentato esattamente allo stesso punto, mi sa.

  3. eheheheheheh……..

    Beo Peraldo
  4. Scusa, non ho risposto alla tua recensione, che sposo: quello che chiamo “freak show di postmoderne miserie umane” è anche secondo me il merito del docu, le didascalie invece lo ammazzano, e sono anche un po’ imprecise.

  5. Videocracy è guardabile se tagliato ad episodi, come gli spezzoni mandati in onda da “La Storia siamo Noi”, ma Erik Gandini è di sangue scandinavo, e film godibili non ne può fare per genesi…

    Io penso che Berlusconi abbia utilizzato più la fiction come progetto politico, ed il reality (figliastro degradato della fiction) come metodo di contenimento delle masse. Pure le macchine a fuoco a Roma tempo fa sono diventate una pagliacciata, perché ogni atto che scende dal basso (e quindi non derivi da una persona che non abbia passato almeno l’ultima decade a rubare per permettersi un completo, chessò, di Armani) viene ridimensionato in una trappola di ridicolo. Come fosse antani, almeno

    Theodore
  6. Theodore, Gandini ha anche realizzato questa cosettina qualche anno fa: http://www.youtube.com/watch?v=rreH4oOFKhs ; se tutti i documentari avessero in media   la metà del ritmo, dell’appeal e della freschezza di questo, ne vedrei uno tutti i giorni sgranocchiando popcorn.

    Beo Peraldo
  7. Concordo totalmente con la recensione di Videocracy, uno di quei casi in cui solo gli ostacoli alla sua promozione in TV hanno portato qualche sventurato a spendere 5 o 8 euro per vederlo. Non sono riuscito ad identificare la “truppa di omosessuali di estrema destra”: chi sono? A me ne viene in mente uno solo – anche se la sua malvagità e la sua ubiquità gli permettono di fare gli stessi danni di un battaglione.

    roberto
  8. I think this is among the most significant information for me.
    And i’m glad reading your article. But should remark on some general things, The web site style is wonderful, the articles is really great : D. Good job, cheers