Lunedì sera, vincendo perplessità che si sono poi rivelate fondate, sono andato ad assistere al ring, e mal me ne incolse perché è dal rientro dall’amena serata che sono a letto febbricitante, e sarei portato a credere che le cose non siano scollegate. Ma prima va spiegato cos’è il ring: è un ciclo di serate organizzato da Noi Biellesi, inquientante nuova forma associativa nata recentemente in zona, di cuiscrissi ai tempi della sua nascita.
Il primo ring si era consumato l’8 febbraio, e aveva avuto come protagonista nientepopodimeno che Andrea Delmastro, questa volta regolarmente tra il pubblico con il fido compagno di paideia Zappalà, mentre a questo giro hanno invece invitato Beppe Pellitteri, teatrante part time che da 25 anni dirige il Processo del babi.
Sull’evento non vi sarebbe molto da dire, se non fosse che una serata buttata così, a sfrangersi i maroni, in qualche modo va capitalizzata, e visto che ultimamente Popolino langue vada per la cronaca da bordo ring.
Per capire il contesto bisogna partire dai suoi ideatori. Noi Biellesi raccoglie un’accolita di soggettoni locali a metà fra l’estro preteso e il salotto buono, con buone dosi di vorrei ma non posso. In primis Omar Ronda, che ospita l’associazione nel suo spazio in Riva, l’artista degli animali di plastica che con quelli e con il sodalizio noto come Cracking Art ha conosciuto qualche fortuna, sul cui merito ancora si discute. Grande intenditore d’arte di cui si favoleggia il possesso di pezzi notevoli, capace di consolidare le sue fortune grazie a un matrimonio granitico, piacionesco e gentilissimo, vive in città in un attico così grande che per ricavarlo hanno dovuto collegare due palazzi confinanti. Fanno parte con lui del collegio dei saggi soggetti di vario e misurabile spessore che, come Ronda, prima di raggiungere età più vetuste ambirebbero venisse riconosciuto loro lo status di notabili locali. Gente come Giuliano Ramella, mercante in fiera qui più volte raccontato, che dopo un passato ormai remoto di politica e visibilità oggi è tornato alla ribalta come presidente del Museo del Territorio, o come Mauro Vercellotti, architetto che della sede di quel museo, il chiostro di san Sebastiano, è stato il restauratore, lasciando in dubbio i posteri se fu vera arte o chi lo sa. C’è Patrizia Bellardone, in teoria direttrice della biblioteca civica, in realtà mostro creato da Barazzotto assessore prima e sindaco poi, che le concesse (cannando di brutto) lo status di factotum della cultura cittadina e che oggi, ad amministrazione cambiata, piange miseria e cerca nuova visibilità. C’è Massimo De Nuzzo, fondatore, direttore e amministratore della Nuova Provincia, che vorrebbe forse vedersi riconosciuto, dopo tanti anni spesi in tal senso, l’immane lavoro fatto nel radere al suolo etica, epica, etnica e pathos della professione giornalistica biellese.
La strategia messa in atto da questi personaggi in cerca di autore affinchè qualcuno si accorga di loro e della grandezza della loro opera, tributando il giusto omaggio, è mirabilmente sottile: si sono infatti dati la mission di ricercare per tutto il Biellese “le sueeccellenze umane e territoriali”, secondo criteri che sono chiari a partire dalle centinaia di volti appesi alle pareti della sede. Una galleria di umanità locale in cui ci sono tutti, dagli ex sindaci agli attuali usceri, evidentemente tutte “eccellenze umane”. E tra queste, in occasione del main event, è stato considerato anche Pellitteri, che con il suo processo carnevalizio fatto di sbeffeggiamenti ai vizi e ai viziati biellesi garantisce l’unico brivido obbligatoriamente calendarizzato per la stramorta Biella che conta.
E’ Pellitteri stesso a dirlo, citando il famoso “parlatene male, purché se ne parli”, ben conscio di far da fulcro in un meccanismo nel quale la satira non frega a nessuno, ci si sta tutti silenziosamente sui coglioni ma è tanto bello farsi prendere in giro, una volta all’anno, da un tizio travestito da rospo, significa che si è qualcuno. Mamma, ce l’ho fatta, il Babi ha parlato (male) di me.
E infatti c’erano tutti, o almeno tanti, della vecchia o della nuova giunta, a partire da Barazzotto stesso che certo non è celebre per l’autoironia, e il suo successor Gentile, che ride ride ma si capisce benissimo che lo sberleffo non garba neppure a lui. Da un certo punto di vista pare più sincero Delmastro, che se ne sta a pacioccare il cellulare per tutta la serata chiarendo nei fatti che non è lì per piacer suo: peccato che anche lui ultimamente abbia imparato a far buon viso a cattivo gioco, magari sguinzagliando Zappalà da sotto il tavolo, perché quando si incazzava era tutto molto più divertente, signora mia quelli eran tempi.
In ogni caso, tutta gente che si detesta, e neppure amabilmente, un ambientino impestato di feromoni d’odio che si annusa sin dall’entrata e sul quale coltivo un solo dubbio: ma davvero li fa ridere la roba che scrive Pellitteri, o ricambiano semplicemente la cortesia d’essere citati, e quindi certificati d’esistenza? Insomma, va bene il teatro popolare, ma sono proprio così spassose, nel 2010, le battute su “quei cupio degli stilisti”, o il mio è un eccesso di politically correctness?
Per quel che mi riguarda, la serata è stata preziosa soprattutto per aiutarmi a ricordare il motivo che mi ha sempre tenuto lontano dal Processo del Babi, anche quando per lavoro mi toccava scriverne, telefonare a Pellitteri e sentirmi rispondere, anno dopo anno, sempre con la stessa battuta sulla tonalità sarda del mio cognome. Cosa che, per carità, sarà umorismo, ma siamo in zona Bagaglino, ed è un quartiere che non frequento.
Comunque, nel tripudio di pompini a vicenda, falsi ma cortesi come da imprinting territoriale, che non mi ricordavo essere prerogativa dei ring, l’apice si è toccato quando Pellitteri ha ricordato di aver studiato dialettologia – o qualcosa di simile – al che Vercellotti si è precipitato a chiedere tre volte, come i soldati romani a san Pietro, se fosse propriovero. Capito che finezza? Come quelli che quando ti stringono la mano, sorridendo, cercano di spezzarti una falange. E’ comunque interessante che il merito dell’invitato fosse quello di curare uno spettacolo che ha per protagonista un rospo che si crede uccello: chissà se gli organizzatori si sono resi conto dell’analogia.
Non so se davvero i Loro Biellesi riusciranno nell’intento di tramandare alla posterità una qualche grandeur, ma lo spettacolo di lunedì è stato pietoso e non mi sembra promettente per i futuri scopi.
A meno che, e non lo escludo, quelli che oggi già celebriamo come grandi non fossero in realtà altro che mezze figure, mediocri che però facevano fronte nel sopravvalutarsi a vicenda, pur detestandosi nettamente, in una sorta di istinto per la posteritàgeneticamente scritto. Qualche anno fa, parlando dell’ansia tutta biellese di passare dallo schivo amore per l’isolamento all’impellenza di veder riconosciuti urbi et orbi i propri meriti, anche quando non esattamente tali, qualcuno scrisse, mi perdoni se lo cito all’impronta, che possiamo dire che il vino biellese è ambrosia e la toma è roquefort, e convincerci che sia vero, ma solo fino a quando non troviamo qualcuno che conosca la differenza e non si faccia problemi a sbattercela in faccia.
-
- aprile 2014
- marzo 2014
- febbraio 2014
- dicembre 2013
- ottobre 2013
- settembre 2013
- agosto 2013
- luglio 2013
- giugno 2013
- maggio 2013
- aprile 2013
- marzo 2013
- febbraio 2013
- gennaio 2013
- dicembre 2012
- novembre 2012
- ottobre 2012
- settembre 2012
- agosto 2012
- luglio 2012
- giugno 2012
- maggio 2012
- aprile 2012
- marzo 2012
- febbraio 2012
- gennaio 2012
- dicembre 2011
- novembre 2011
- ottobre 2011
- settembre 2011
- agosto 2011
- luglio 2011
- giugno 2011
- maggio 2011
- aprile 2011
- marzo 2011
- febbraio 2011
- gennaio 2011
- dicembre 2010
- novembre 2010
- ottobre 2010
- settembre 2010
- agosto 2010
- luglio 2010
- giugno 2010
- maggio 2010
- aprile 2010
- marzo 2010
- febbraio 2010
- gennaio 2010
- dicembre 2009
- novembre 2009
- ottobre 2009
- settembre 2009
- agosto 2009
- luglio 2009
- giugno 2009
- maggio 2009
- aprile 2009
- marzo 2009
Bravo Paolo, ho letto per ben tre volte il suddetto articolo:parole sagge hai
centrato in pieno come agiscono i nostri SIGNORI biellesi che sono convinti di essere i benefattoti del nostro territorio: poveri…ma soprattutto poveri quelli che hanno a che fare con la loro etica, scienza,buona creanza ecc.ecc
Tieni duro e continua informarci:è un vero piacere leggerti!!!Edda
Biellesi, popolo di incompresi che tanto hanno dato e tanto avrebbero da dare? O piuttosto che tanto prendono e tanto vorrebbero prendere? Sempre per maggior gloria dei biellesi stessi, sia chiaro, per l’esattezza di quelli che vedono allo specchio.
Meno male che ci sei tu a conoscere la differenza tra la toma e il roquefort: a me fanno schifo entrambi, ma chi se ne intende sostiene che tra i due vince la toma. Magari è l’erborinato, per le prospettive che apre, a darti lo sballo. Comunque bello il quadro di questi sbiellesi che al pompino con l’ingoio sostituirebbero quello con il morso: carampane sderenate ricche di attici multipli e metalcrilati taroccati, con un passato ambiguo ed un presente autoreferenziale. C’è forse un filino di bava di troppo nel tuo descrivere quel mondo polveroso e fetido, la sensazione di un dispiacere di non farne parte, quasi a voler dire: non mi volete, non vi accorgete di me ? e io vi piscio nel culo. E’ un’impressione sbagliata ?
B.
Bell’articolo, Paolo complimenti!!! Un’unica osservazione, anche a beneficio dei commenti postati: la cosa tragica è che questo teatrino, in un modo o in un altro va avanti da almento vent’anni. Le succitate persone un ventennio fa erano agli stessi posti e facevano le stesse cose. Me li ricordo bene. Noi altri, anche noi, comunque, se non altro per nascita, biellesi, in tanti li abbiamo sempre liquidati semplicemente come ammalati di provincialismo. Con un unico, non da poco, difetto: una chiusura da parvenu con annessa paura che qualcuno gli rubi la merenda che non ha lasciato spazio alla novità, al cambiamento in nessu ambito. Voglio dire: sono passati 20 anni e Vercellotti (è solo un esempio) è ancora lì, ad essere chiamato in causa quando serve un Vercellotti di turno. Hanno tutti cognomi ormai eponimi. Tra poco li chiameremo “maestri”, ci saluteranno a mani giunte, come fanno Amedeo Minghi e Battiato. Come De Andrè non avrebbe mai fatto. Una risata…
c
Bravo #4, m’hai beccato, lo confesso, sto a rosicare come un adolescente che non viene invitato a una festa. Tutta colpa della mia predilezione per il pecorino.
Esimio Cosseddu, a volte seguo il suo delirante BLOG, nell’ultimo, e non è merito suo, i divertenti video del grande Aldo Busi che avevo perso in tv. L’attenzione che lei riserva all’associazione NOI BIELLESI evidenzia un’acredine e una frustrazione esagerata….. ma possibile che nessuno le sia simpatico ? tutti rozzi, tutti mostri, tutti furbacchioni, tutti mediocri, eccetto lei ! Non è per caso che lei sia affetto da un grave complesso di superiorità ? Io sono uno dei tanti ” TAPINI ” nati a Biella, in mezzo a tutta questa misera e stupida gente, gente che lei disprezza cosi’ apertamente. Ci sono nato e ci stò bene, sono moderatamente orgoglioso di questa povera terra, non è il massimo ma però c’è di peggio, ne stia certo. Quello che non capisco di lei, che al contrario la odia, lei che ha cosi’ forte nausea di chi la popola, si sia trasferito dalla meravigliosa Sardegna proprio in un posto cosi’ merdoso ?
SUCUNNU CHE DA’ CODDAU….. COSSEDDU
Esimio #7, iniziamo dal fondo. Sono biellese quanto lei, non mi son affatto trasferito dalla Sardegna ma sono nato qui: e non è la prima volta che mi tocca ripeterlo qui su Popolino, nella lettura dei miei deliranti post deve esserle sfuggito. Ho vissuto anche altrove, a Milano per la precisione, e lì ho trovato una vita così scadente che sono tornato a casa, quindi evidentemente non la disprezzo, tutt’altro. Quanto alla Sardegna, un giorno magari racconterò qualche cosa della zona in cui sono nati i miei, che è abbastanza lontana dall’immagine da cartolina della regione, come del resto lo è il 90 per cento di tutta la Sardegna.
Infine, l’acredine e la frustrazione: la mia impressione è che il ceppo genetico biellese sia finito in un vicolo cieco evolutivo, e che i viventi che oggi aspirano a grandezza cerchino di costruire benessere a loro esclusivo beneficio, senza che vi sia un riflesso neppure accidentale sulla comunità. In questo modo riescono a mantenere stili di vita discretamente lussuosi, e gli altri vadano pure affanculo. Non ho conosciuto i loro avi, ma non credo che il modello Biellese sia stato costruito secondo questi criteri.
Con un po’ di fatica si può arrivare, con simili personaggi, a una faticosa convivenza, persino a una superficiale simpatia o frequentazione, perché molti di loro sono banditi picareschi simpatici finchè si resta all’aneddotica da dopocena. Ma di celebrarli non se ne parla, almeno per quanto mi riguarda, e comunque nel caso se ne occupano già molti altri.
PS: a dimostrazione di quanto ho scritto sopra sulla mia denominazione d’origine, dovrò chiedere a mia madre il significato di quanto scritto al commento #8.
Non posso che condividere parte dei suoi pensieri, dove è finito il genoma imprenditoriale di chi dava lavoro a migliaia di persone ? Certo non è facile fare concorrenza a un un miliardo e mezzo di cinesi che lavorano 12 ore al giorno per quaranta dollari al mese ! Penso che ci sia ancora qualche cervello pensante a Biella e che alcuni possano riservare delle sorprese positive. Certo che la cuccagna è finita, siamo in un declino spaventoso e difficilmente reversibile. Lei però non si scagli contro tutti, non faccia il comunista con gli occhi foderati di pelle di salame. Metta la sua testa e la sua brillante penna in qualche cosa di più utile che un blog da casalinghe e lavadaie frustrate, cordialità. p.s. è meglio che non chieda la traduzione proprio a sua madre !
Mi sfugge se non ci capiamo o proprio mi prende per il culo. Primo, comunista sua sorella. Secondo, blog da casalinghe sua sorella. Terzo, in cosa devo mettere la mia brillante penna? E a Biella, poi. Guardi, non so come funziona per lei, ma a me quando faccio la spesa chiedono in cambio vile danaro, e non versi in rima sciolta. Di conseguenza, io per il mio lavoro terrei a essere pagato: non tanto, ma il giusto. Qui in città io un contratto in regola non l’ho mai visto, e non sono il solo, tanto che lavoro per case editrici milanesi che avranno tanti vizi ma non quello di dimenticarsi i bonifici; inoltre come ho scritto più volte siamo al punto in cui l’Uib vuole cassintegrare i giornalisti di Eco. Però vedo che alla guida di queste società editoriali sui generis sono tutti “imprenditori” belli grassi. Veda un po’ lei se ci sono le condizioni per fare qualcosa “di più utile”.
Mi spiace, ho solo due fratelli maschi ! Comunque le faccio i miei più sinceri auguri, in fondo…. in fondo…. è anche simpatico.