E’ corretto premettere che quello che sto per scrivere è a titolo personale, e mi tocca dirlo perché faccio parte di un gruppo di persone che in questi mesi si è dannato e ha lavorato e ci ha messo il sangue, un gruppo in cui ognuno ha diritto alla propria opinione, che io in questa sede non rappresento, e le cui decisioni comunque rispetterò nel momento in cui verranno democraticamente prese. O me ne andrò se non potrò in alcun modo condividerle. Fine della premessa: da qui parte una cosa molto lunga, di cuisconsiglio la lettura a meno che tra voi non ci siano persone interessate a capire perché mi sono messo nel Partito Democratico, tutta la storia con tutti i dettagli, e cosa vedo succedere dal mio poco privilegiato punto di vista, che però è pur sempre più interno e a conoscenza dei fatti di quello di molti altri. Che sono molto complicati, e richiedono spiegazioni. Ma sono pure necessari, se si desidera esprimere su tutta questa faccenda delle primarie un parere che sia un po’ più che superficiale.
Era il 2007, e in vista delle primarie dell’allora nascente Partito Democratico un gruppo di persone nuove e diverse vide finalmente la tanto attesa occasione di mettersi assieme per formulare il progetto di un rinnovamento serio e moderno. Quelle persone – moltissime delle quali sostengono oggi la candidatura di Ignazio Marino – decisero di chiamarsi iMille, evocando un po’ l’iPod e un po’ quei garibaldini che riuscirono a conquistare l’Italia con molto coraggio e poche risorse. Alla base di quel movimento ancora piccolo ce n’era uno ancora più piccolo, quello che nel 2005 aveva sostenuto alle primarie del centrosinistra vinte da Romano Prodi la folle e ammirevole candidatura di Ivan Scalfarotto. Con mezzi suoi, e senza che a quattro anni di distanza questo impegno si sia trasformato in un comodo cadreghino, Ivan ebbe la capacità di esprimere esattamente tutte quelle istanze che poi si riversarono nei Mille e che oggi costituiscono le parti a mio parere più interessanti della mozione Marino. Nel tempo, per come la vedo io, Scalfarotto è diventato uno dei personaggi più autorevoli della sinistra italiana, e anche in questo momento sta lavorando a sue spese, mosso da un’incredibile volontà, perché si realizziquel cambiamento che nel 2005 era praticamente l’unico a chiedere e a saper definire con tanta chiarezza. Se un giorno quel risultato dovesse realizzarsi, bisognerebbe fargli un monumento, perché non è facile, sapete, fare quello che fa lui.
Ma torniamo al 2007. I Mille rappresentavano, rispetto all’esperienza kamikaze di Ivan, un passo in avanti: da un’esperienza personale o quasi a un gruppo di lavoro, che però ebbe l’onestà di contarsi, e decise che le forze non erano sufficienti per presentare un candidato proprio. E probabilmente era così: solo considerando firme e burocrazia, ho titolo per dire che se non si è sufficientemente organizzati e numerosi queste cose sono impossibili da gestire. Allora i Mille – con l’eccezione di Mario Adinolfi che se ne staccò per correre da solo – decisero di portare a Veltroni un elenco di temi sui quali gli chieseroun impegno formale, e presentarono una lista a sostegno dell’ex sindaco di Roma. Come per la candidatura Scalfarotto, seguii tutta la faccenda molto da vicino, per quanto mi era possibile non facendo materialmente parte né del gruppo né del partito, al quale -forse sbagliando - mi sono tesserato solo quattro mesi fa.
In quell’anno e mezzo di storia delle segreteria veltroniana del Pd, le cose andarono come sappiamo: non solo nessuno dei Mille ebbe lo spazio per venire minimamente valorizzato, ma nessuno di quei punti contenuti nell’accordo fu abbracciato dal segretario. Né avrebbe potuto: un uomo sostenuto contemporaneamente da un movimento spiccatamente laico e da uno che ha tra i suoi membri Paola Binetti non ha altra scelta se non l’immobilismo. Fine della lezione di storia, un po’ lunga ma necessaria.
Veniamo al presente. Ho passato l’estate a friggere, quando sentivo parlare di Repubblica e di libertà d’informazione, per tanti motivi che hanno a che fare con il mio personale giudizio sul quotidiano fondato da Scalfari. Sarà anche antiberlusconiano, ma non mi piace per niente, scrive un sacco di cose inaccurate e superficiali e, soprattutto, quando parla della sinistra italiana lo fa come se fosse cosa sua, e per i miei gusti ne condiziona un po’ troppo gli equilibri interni. Da che io voto – e sono tanti anni – la sinistra italiana obbedisce a quello che viene scritto su quelle pagine, e quando non obbedisce viene schiantata un editoriale dopo l’altro. Forse avrei dovuto conoscerlo in tempi diversi, ma oggi Scalfari è per me il perfetto esempio di giornalista estremamente conservatore, il cui potere si estende fino a bloccare qualsiasi tentativo di modernizzazione nell’area politica in cui agisce. Per tutta l’estate, mentre altri secondo me un po’ troppo in buona fede si organizzavano per scendere in piazza a difesa della libertà d’informazione, ho aspettato che Repubblica si ricordasse, nei suoi articoi sul congresso del Pd, che oltre a Franceschini e Bersani, interpreti della continuità di questa classe dirigente anche se apparentemente contrapposti, c’era un terzo candidato, e dietro di lui forse non tutti stinchi di santo – vedi Goffredo Bettini – ma anche un sacco di volontari davvero nuovi e genuinamente motivati. E sì, mi ci metto pure io. Ho aspettato, invano, fino a ieri, quando Eugenio Scalfari ha lanciato il cosiddetto “Lodo Scalfari”. Ovvero: non tiriamo queste primarie ancora più lunghe di quel che già sono, chi ottiene la percentuale più alta diventa segretario senza dover convocare un’assemblea nazionale -per la quale sono candidato, per la cronaca – che potrebbe generare accordi poco rispettosi dell’andamento del voto. Il tutto perché improvvisamente qualcuno si è reso conto che questo regolamento – che nessuno della nostra mozione ha contribuito a scrivere – è demenziale.
Franceschini e Bersani hanno subito risposto di sì, mentre Marino ha invece detto che non si cambiano le regole in corsa, e nel caso nessun candidato raggiunga il 50 per cento più uno dei voti è prevista la convoca dell’assemblea e così deve essere.
Opinione che formalmente sarà pure corretta, ma che ha dato a Franceschini, Bersani e al capo di tutte le correnti Scalfari l’opportunità di accusare Marino di voler andare in assemblea per far pesare i suoi voti - probabilmente minoritari - per fare da ago della bilancia e ottenerne qualcosa in cambio.
E così, a metà ottobre, i lettori di Repubblica sono stati finalmente informati dell’esistenza di un terzo candidato, che fino a ieri era stato sistematicamente ignorato. E l’idea, a quelli di Rep, non gli garba: chi cazzo sono questi mariniani, che dicono e scrivono e fanno politica nel centrosinistra senza prima chiedere la benedizione del nonno dalla candida barbona? Come si permettono? E’ sempre stata Rep a decidere che oggi va bene Veltroni e domani D’Alema, tertium non datur. Inoltre Marino, con la suarisposta sprovveduta, fornisce un assist perfetto: ma come, tanto parlare di rinnovamento, e poi si vuole andare in assemblea per cercare l’accordicchio con una delle due mozioni espressione di quei logori apparati che così fortemente si è cercato di destabilizzare?
Curiosamente, Repubblica non ha scritto una riga quando i comitati mariniani hanno chiesto che venisse posticipata l’assurda scadenza dei tesseramenti. E curiosamente, non sono state così ferme e chiare le condanne quando in alcuni circoli calabresi da 50 iscritti è risultato che i voti fossero 100. E curiosamente, non si è levata nessuna voce quando le commissioni di garanzia, a Biella e in Piemonte e in molti altri luoghi, sono state nominate in modo illegittimo, senza tenere conto della rappresentatività delle tre mozioni. E curiosamente, nemmeno un rimbrotto quando qualcuno – il solito tribaffuto – ha detto che se il voto degli iscritti non fosse stato confermato dalle primarie sarebbe stata una tragedia. E curiosamente, neanche un fiato quando le commissioni hanno complicato, tutte le volte che hanno potuto, i folli procedimenti burocratici previsti, favorendo sempre e sistematicamente chi era più forte e penalizzando chi era numericamente in difetto. Tutto molto curioso, insomma, almeno fino al giorno in cui Babbo Eugenio si è svegliato con un’idea tutta sua, e ne sono immediatamente seguiti cazziatoni verso chi, pur col regolamento alla mano, non è d’accordo.
Bene, la mia risposta – finalmente – a tutta questa storia è la seguente: nessun accordo, punto. Andiamo all’assemblea nazionale, se vogliamo rispettare il regolamento, ma prima diciamo con chiarezza che non ci metteremo d’accordo con nessuna delle altre due mozioni (e questo non l’ho ancora sentito dire, purtroppo). Non mettiamo sul tavolo un elenco di punti irrinunciabili offrendo il nostro appoggio a chi li sottoscrive. Ci abbiamo già provato con i Mille, ed è andata come è andata: male. E non c’è nessun elemento di novità, oggi, in questi dirigenti, che mi illuda che le cose possano andare diversamente. Io stesso, a livello biellese, mi batterò perché il gruppo nato a sostegno di Marino non si accordi su nulla, non una segreteria, non una candidatura, a meno che dal cappello non escano davvero nomi nuovi e fuori da queste logiche. Ma posso dire con sicurezza sin d’ora che non succederà. Lasciamo che ad accordarsi siano Franceschini e Bersani, o Susta e Ronzani, e pensiamo a lavorare, a dare un valore al nostro impegno che non si incastri sin da subito in tutti quei meccanismi che vorremmo far saltare.
Oppure no, rinunciamo all’assemblea nazionale, ma senza chiedere niente in cambio. In soli tre mesi di lavoro abbiamo raccolto quasi un iscritto su dieci, e sono convinto che tra gli elettori saremo ancora di più: non buttiamo via tutto per la paura di non ottenere un riconoscimento, un incarico, uno strapuntino dal quale non faremo altro che diventare esattamente come tutti gli altri. Chissenefrega dei loro direttivi e dei loro ruoli comatosi, abbiamo già aspettato 15 anni per avere l’occasione di cambiare questo centrosinistra, aspettarne qualcuno in più non farà differenza. Cedere adesso, invece, vorrà dire indebitarsi al punto di non poter più, domani, alzarsi e e invocare in piena legittimità il cambiamento, perché saremo anche noi tra quelli che vanno cambiati. Cerchiamo di fare un grande risultato alle primarie, e usiamolo per allargare una base che già c’è, lo abbiamo visto, è numerosa e lo sarà sempre di più col passare del tempo, in modo che tra un anno o quattro non dovremo ripartire da zero quando Pippo Civati o chi per lui avrà finalmente l’età giusta per riprovare la disperata impresa di cambiare le cose.
Le altre mozioni non vedono l’ora di farci sedere nelle loro salette per le riunioni, ben sapendo che così probabilmente la smetteremo di rompere i coglioni, contenti di far parte anche noi del sempre più misero banchetto. Non permettiamo che accada, non lasciamo che proprio in questi giorni, dopo che sulla questione dell’omofobia avremmo tutti i titoli per chiedere con ancora più forza lo sgombero di questa classe dirigenteinetta e conservatrice, l’attenzione si sposti sul sospetto – tutto da dimostrare – che le nostre intenzioni sono meno che cristalline.
Si fottano Scalfari e i dirigenti di questo Pd, fanculo gli accordi: nessun compromesso, nemmeno di fronte all’Apocalisse.
… quindi tanto rumore per nulla?
Come sempre, di una lucidità e di un’onestà intellettuale ineccepibile. Bravo, e buona fortuna.
Interessante lezione di storia (e di metodo). Sottoscrivo tutto.
ES
Post molto lungo, lunghissimo, però ammetto che ne vale la pena. A chi chiede “molto rumore per nulla”: non ho capito cosa intendi.
Condivido sostanzialmente quello che scrivi.
Il metodo nella (possibile) “nomina” del segretario da parte dell’assemblea non mi piace, l’ho già e detto, e ritengo che sarebbe più forte un segretario eletto a maggioranza relativa nella consultazione piuttosto che uno “scelto” sulla base di accordi interni.
Il rinnovamento, che in tanti auspichiamo (certo non tutti quelli che lo nominano) è fatto anche di metodo chiaro e trasparente nella definizione della classe dirigente.
Detto questo è chiaro che l’obiezione al metodo fumoso andava fatto in tempi non sospetti e che le accuse a Marino di essere opportunista e mirare a “contare” in assemblea fanno veramente ridere!
Vedremo come andrà, spero solo che un partito già stressato e avvizzito non esca da questa fase completamente svuotato e screditato.
EN
intendo dire che se avete fatto tutto ‘sto casino e non portate a casa nulla, sperando di fare caccia grossa tra 5 anni, siete dei poveri fessi.
Meglio fessi che stronzi. Almeno per me.
Grazie del tuo argomentato contributo.
Standig ovation
Beh, mi pare giusto.
Mi pare evidente che non solo siete per il testamento biologico.
Siete oltre all’eutanasia.
Abbracciate il suicidio politico.
Accomodatevi pure, duri e puri.
Ci sarà chi salirà con entusiasmo sul vostro cadavere.
#9, fammi capire: c’è un bus lanciato a folle velocità verso il baratro, e mi fai capire che se non ci salgo sono io a lasciarci la pelle?
a lasciarci la pelle è il tuo progetto, non tu.
sei tu che ti sei presentato agli iscritti chiedendo il voto per salvare ‘sto autobus che va verso il baratro, mica io.
Adesso dici che l’autobus fa schifo, i sedili puzzano e l’autista è ubriaco, per cui ti lanci fuori in corsa.
dovevi saperlo da prima.
prova a intervenire, intanto evitando il baratro.
Sapevo che avresti risposto così. Vedi, tra te e me c’è una differenza fondamentale: secondo te il bus E’ il partito. Secondo me no.
Paolo secondo me vuole “allertarci” per non rischiare di farci “allettare”. L’idea principale mi sembra che vogliamo incidere con le idee e se questo non sarà possibile non si cercheranno accordi per le poltrone. Il rischio di farsi inglobare nel sistema è reale. Finalmente riconosciuti, in parte blanditi, qualche ruolo anche di rilievo “così vediamo come razzolano”…Naturalmente nella speranza che cadano… Questo non si può accettare. Invece il compromesso sì, purchè sia nell’ottica di “obbligarsi reciprocamente”, dove se uno cede su qualcosa è perchè riconosce nell’altro un interlocutore privilegiato e con il quale si impegna a mandare avanti qualcosa di comune nel quale ci si riconosce entrambi. In assenza di questo e scopiazzando un “padrone che decide per tutti”, allora nessun accordo con l’obiettivo di restare in mezzo alla gente finchè non sarà questa a decidere anche con il voto. RB
Fabrizio, qui stiamo parlando di altre cose, ma ti rispondo lo stesso.
Non è affatto vero che i principi di fondo dei democrats americani sono gli stessi. Sbagliatissimo. Ci sono molti più antiabortisti nel Pd Usa che nel nostro: tu portami un antiabortista pidino italiano e io te ne trovo cento che non lo sono, ma ti garantisco che in America quella proporzione è molto meno diseguale.
I grandi partiti pluralisti sono fatti così, tante idee diverse al servizio di una comune idea di Paese. Questo secondo me nell’elettorato del Pd c’è già, il problema è che manca tra i suoi leader, che di certo quando parlano non lo fanno mossi dall’ispirazione popolare. A me, l’idea di tornare a una situazione in cui chi è ambientalista si fa il suo partitino, chi è cattolicolo stesso, chi è laico lo stesso, chi è operaio lo stesso proprio non va giù, e farò tutto quello che posso per evitare che si realizzi.
La differenza con gli Usa, piuttosto, è che il mandato elettorale è sacro, e che se ti fai eleggere in base a una certa piattaforma e non la rispetti quando da Washington poi te ne torni a Bucodiculoville in Nebraska i tuoi elettori ti fanno un culo così.
Quanto al discorso generazionale, è vero, non è l’età che fa il nuovo, e bla bla bla: chissà perchè però intanto sono sempre i vecchi leader a dire questa cosa. Possiamo farla dire a qualcun’altro per favore? Ah, e l’idea che “il nuovo può essere portato anche dai soliti noti”. Un filo contraddittoria, no?
IO, NATURALMENTE, NON SONO PIENAMENTE D’ACCORDO CON PAOLO.
teto l’inciucione
Ti rispondo partendo dal basso:
contraddittoria direi di no perchè un nuovo modo di vedere la politica non ha età (che poi non si realizzi, o si realizzi a stento, è un altro discorso).
Sul fatto che l’operaio di faccia il suo partitino, il commerciante il suo, l’imprenditore il suo, hai travisato ciò che intendevo. O magari l’hai capito ma non vuoi ammettere qual è il problema di fondo. Gli Stati Uniti non hanno nulla a che spartire con l’influenza della regligione cattoica, noi non supereremo mai il concetto di libera chiesa in libero stato. E la laicità dialoga poco e male con la chiesa. L’esempio sull’omessualità di questi giorni ne è un esempio calzante: non c’è condivisione di valori. IO temo, spererei come te di no, ma lo temo molto, che se ci trovassimo in tre, esponenti di tre mozioni che poi sono un pretesto dietro al quale si collocano i laici, i cattolici e quelli che vogliono “il nuovo”, e ci confrontassimo sui grandi temi saremmo d’accordo su poche cose, rasentando quasi il paradosso da barzellette: ci sono un franceschiniano, un bersaniano e un mariniano che si trovano a parlare di gay. Il primo dice che i gay sono male, il secondo che i gay sono bene, il terzo che vuole un gay come segretario e il resto non conta. E’ un’iperbola ovviamente, ma temo l’affermarsi di questa “condizione d’essere” che fa sì che l’alternativa alla destra sia sempre più lontana. E queste differenze, questa convivenza forzata, la gente la avverte. E non ci si riconosce più. Mentre il Pd si cannibalizza, le masse votano la lega.
Dico questo con tristezza, sia ben chiaro, ma andando avanti di questo passo lo scenario che vedo è cupo. E il Pd destinato allo scioglimento e alla separazione a cause delle troppe differenze, che qui da noi separano e non uniscono, da una serie di regole e statuti assurdi e incomprensibili, da una serie di rappresentanti più attenti alle poltrone che agli argomenti
L’Italia è un paese che ha scelto l’aborto con l’80 per cento delle preferenze, e il divorzio e ha fatto mille altre scelte molto più laiche del suo status teorico di stato a magioranza cattolica. Certo, a dar retta a Rutelli uno può anche credere che non sia così, e che far decidere a un malato se è come curarsi sia una questione che spacca il Paese. Ma la realtà è che su queste cose gli italiani hanno le idee molto ma molto chiare, da trent’anni, sanno separare chiesa e stato e lo sanno fare a prescindere che siano di destra o di sinistra. Viceversa, se uno vuol dar retta a quel che dice Rutelli, alla sua visione delle cose, beh, che dire, ognuno si sceglie i punti di riferimento che preferisce, son gusti.
direi che la tua posizione è perfettamente condivisibile
(considerando, tra l’altro le passate vicende che riguardano l’assemblea costituente e fanno perdere ogni
briciola di sospetto democratico che la possa anche solo riguardare da lontano)
, perchè mai vendersi per un piatto di lenticchie?
Capisco quelli che la politica la fanno di mestiere e tirando al business, per cui devono cacciarsi nello sfintere del candidato forte per poi diventarne nel tempo i delfini (avrei potuto dire sotto l’ala… ma non rende altrettanto bene l’idea del sacrificio che talvolta ciò può comportare) , capisco coloro che a tutti i costi devono difendere affari personali, appartenenze vaghe, nostalgie
benaltrismi, che votano turandosi il naso, obtorto collo, incazzandosi appena usciti dal seggio etc etc
scelte, punti di vista
preferisco pensare che esistano anche solo mille cellule dormienti
che lavorano piano, con criterio, senza vendersi il sederino…
implacabili….
A.
Allora è proprio un problema intrinseco alla sinistra tutta quello di continuare a parlarsi addosso senza motivo? Scusate, ma il dibattito sorto da questo post mi sembra terribilmente simile a quelli che nascono continuamente all’interno nel pd “nazionale”.
MA possibile che non sia chiaro ciò che Paolo dice?!? Semplicemente sostiene che se le cose non vengono gestite con onestà, meglio non partecipare proprio, altrimenti si finisce di diventare esattamente come quelli che si criticano. Esatto ed elementare. Lo capirebbe anche mio figlio di tre anni.
Paolo hai perfettamente ragione, grazie.
SA
aggiungo i miei 2 cent
mi convince abbastanza questa idea di Paolo per molti motivi oltre a quelli già esposti da lui
come dice RB vogliamo “incidere con le idee” e sarà più difficle farlo se partiamo già con dei compromessi, scenario tipo: ne mettiamo giù 10 il segretario ce ne “concede” 2, a patto che non rompiamo i coglioni sulle altre otto
già in questi mesi sul piano delle idee qualcosa abbiamo “portato a casa” (per citare #6) c’è stato uno spostamento netto di Franceschini sul (contro il) nucleare, si fa la gara a chi è più laico, la Binetti è diventata un pacco ingombrante che si palleggiano a vicenda (Binetti tua! no Binetti tua! ah ah) etc., io credo che altro si potrà portare a casa anche senza vincere il congresso lavorando come dice Paolo, avendo conquistato quella consistenza numerica che ne’ Scalfarotto ne’ iMille avevano neppure lontanamente (parlo per esperienza diretta avendo partecipato ad una riunione de iMille piemontesi prima delle primarie di Veltroni).
considerazioni tattiche: se scegliessimo di appoggiare il perdente tra i due, apriti cielo! tradimento del voto popolare! se scegliessimo di appoggiare chi è già in vantaggio … a che pro? hanno già dichiarato che si metteranno d’accordo e che il secondo cederà il passo al primo, quindi di che parliamo in fondo?
Il prossimo segretario dovrà dare attenzione alle idee sostenute dalla mozione e, IMHO, anche spazi di rappresentanza ai vari livelli, ma non per effetto di mercanteggiamenti e scambi ma per svolgere al meglio il suo ruolo che comprende anche il fatto di ASCOLTARE quelli che rompono i coglioni e non di zittirli con qualche strapuntino.
Beppe