L’articolo è uscito sull’Eco di lunedì, e me lo ero messo da parte perché ho un po’ di cose da dire: andrò lungo, lo dico subito.
Primo. Un articolo di queste dimensioni, dedicato all’andamento di un centro commerciale, è puro marchettume. Punto. Sottintende rapporti pubblicitari, come minimo, ma anche un’ingerenza inaccettabile della struttura commerciale del bisettimanale sulla linea editoriale. La notizia, poi, è discutibile. Gli Orsi crescono? Non mi risulta: la Coop interna fattura circa quel che fatturava prima in una struttura ben più piccola. Esselunga, diretto concorrente, in compenso cresce, segno che la nuova location, il mostro edilizio alle porte della città, col suo parcheggio costruito secondo i criteri dei labirinti per cavie, non piace. Il personale lavora in base a contratti a tempo talmente determinato che resta a casa ancor prima di iniziare il turno. E poi, basta farsi un giro su settimana: prima o poi lo faccio, scatto un po’ di foto e scrivo un post dal titolo “Cronache del dopobomba”.
Secondo, l’Eco è un giornale ormai completamente allo sbando. La proprietà, l’Unione Industriale Biellese, da tempo ha detto chiaramente che non ha più intenzione di ripianare i debiti. Il bilancio quindi è sostanzialmente sano, ma la palese mancanza di investimenti la dice lunga su come l’Uib vede l’Eco: la verità è che non ci crede più, non crede che il giornale possa essere ancora uno strumento efficace nel fare opinione sul territorio. E ha ragione: specialmente se fatto così, un giornale non serve a un cazzo.
Marco Atripaldi, nominato amministratore delegato qualche anno fa, sull’onda dell’importante successo ottenuto con Pallacanestro Biella, dopo una brillante fase iniziale sembra aver perso slancio e interesse. Del resto, nel frattempo, gli è piovuto in mano anche un palazzetto la cui gestione non sarà facile. Ha ben altre cose per la testa, insomma, e poi deve aver capito che le promesse di assoluta libertà d’azione fattegli in origine dall’Uib non erano prive di clausole vessatorie. Era immaginabile, ma capisco che per un ex giornalista che proprio dall’Eco era stato allontanato, vedersi consegnare le chiavi della baracca deve essere stata una bella tentazione.
Una delle prime mosse di Atripaldi era stata quella di pensionare il direttore in carica e nominare al suo posto Andrea Finotto, già direttore della Nuova Provincia e giornalista del Sole 24 Ore. In pochissimo tempo, Finotto era riuscito nell’impresa di riorganizzare la redazione – per quanto possibile – migliorare il venduto e la pubblicità, e soprattutto fare un giornale più moderno, più strutturato e ricco di approfondimenti: un giornale migliore, insomma, che aveva anche il coraggio di insistere sui temi importanti della città, creando quell’opinione tanto cara all’Uib, e di lasciarsi dietro le spalle certo vecchiume tipico della stampa locale, senza rimorsi. Funzionava, e non lo dico solo perché Finotto è un caro amico: la differenza c’era, si notava e si nota ancor più oggi, con tremenda nostalgia.
Richiamato dal Sole per più attraenti posizioni, Finotto ha poi lasciato l’Eco, sostituito da Roberto Azzoni, che nel giornale è cresciuto e che del giornale è da sempre l’uomo macchina: in gergo si dice “culo di pietra”. In un processo di restaurazione non immediato ma costante, a un paio di anni dall’inizio della sua direzione, Azzoni ha riportato l’Eco dove era, anzi molto più indietro. Ha ridato spazio al vecchiume, ne ha tolto all’approfondimento, e ha dimostrato di possedere quel difetto che molti sospettavano avesse: la mancanza di visione.
Inviso a tutta la redazione, che non lo sfiducia per paura di veder chiudere l’azienda e di ritrovarsi a piedi in una città che non offre occupazione ai giornalisti, ne ha depresso e demotivato anche le migliori risorse umane: gente come Gabriele Pinna o Enzo Panelli, professionisti capaci, seri e moderni che ogni direttore vorrebbe avere, e qualsiasi editore illuminato dovrebbe saper valorizzare. Invece, ragazzi che hanno più o meno la mia età passano le giornate a spararsi nei coglioni e a contare i giorni che li separano dalla pensione.
Un direttore così, in un contesto simile, non può non essere debole anche nei rapporti con la parte commerciale dell’azienda, che all’Eco è incarnata da Michele Porta. Porta è entrato al giornale portando i computer: letteralmente. Da allora, nel tempo, ha acquisito un potere ormai quasi assoluto, che gli permettere di mettere mani e piedi su quel che il giornale deve – o non deve – scrivere. E siccome i danè li procura lui, è intoccabile. La filosofia di Porta si riassume nella sua offensiva opinione, espressa più volte, sulla direzione Finotto: con lui l’Eco andava bene perché è stato fortunato. Traduco: fare un giornale bello o uno pessimo non fa differenza, è la pubblicità che conta. E quindi, se Porta organizza la Notte Bianca, il giornale va appaltato alla Notte Bianca, non importa se nel frattempo crolla il Comune con tutte le autorità dentro. E se il centro commerciale Gli Orsi compra pubblicità, il giornale deve parlare degli Orsi.
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Tre giornali in una città in cui la pagina più letta è quella che parla della pallacanestro è una cosa ridicola. Non si può approfondire, non si può scrivere niente che vada contro a questo o a quell’interesse… d’altronde avrei dovuto capirlo quando mi dissero ” le pagine della cultura non le legge nessuno. Le notizie che tirano a Biella sono quelle relative alla cronaca dei paesi”. Tutto detto
Biagioni
Mi spiace, ma le pagine più lette sono sempre quelle dei necrologi…
ara
Dimenticavo…la morte ha sempre il suo fascino.
Biagioni
E quando saranno morti quelli che leggono i necrologi?
Due scenari: o i giornali biellesi chiuderanno i battenti che di per sè potrebbe essere una buona soluzione o i giovani biellesi, così abituati alla lettura dei necrologi dagli avidi genitori, continueranno la tradizione dando vita ad una tradizione che terrà in vita la stampa biellese.
Biagioni
ad una proprietà in bambola, corrisponde una totale assenza di organizzazione interna, dove il commerciale si permette di entrare a piedi pari nella linea editoriale (seppure labilissima, a tratti invisibile) ma secondo me non si tratta di “signoramia di questi tempi l’informazione è un mondo difficile”. Il difetto sta nel manico, ovvero nelle persone.
I lettori si appassionano di sport perché lo sport, magari, è pure scritto bene…gli interessa la cronaca perché, a volte, il giornalista racconta e coinvolge, la politica si fa anche con retroscena, domande approfondite (conoscendo ciò di cui si scrive e fottendosene del rapporto personale col “potente”…).
Ci sono maestranze che avrebbero qualche numero, ma sono frustrate e vanno di pilota automatico…non ci sono commentatori credibili, autorevoli, disallineati.
Chissà se leggeranno, i diretti interessati?
Chissà se gli riporteranno quanto scritto da queste parti (e bravo ad avere scelto proprio giovedì, che è giorno di uscita e sono a riposo e possono con più calma considerare la questione)?
Chissà se avranno ancora quel briciolo di capacità di comprensione per intuire e poi confermare a loro stessi che qui è più il dispiacere che l’irrisione, a muovere i polpastrelli sulla tastiera?
mc
Qualcuno legge, qualcuno ha “ben altro da fare”. Testuale. Indovina chi.
Primo. La Coop agli Orsi fattura il 30 per cento in meno di quello che fatturava nella vecchia sede. I milioni di visitatori sono un calcolo da…portoghesi. Gli Orsi crescono ? Fra qualche mese finisce il primo anno, e le disdette dei negozi specie locali che hanno sottoscritto contratti capestro, e che stanno piangendo lacrima di sangue, fioccheranno.
Secondo. L’Eco è, di fatto, controllato da Sonae Sierra, la società anglo-portoghese che ha costruito gli Orsi e ha “regalato” alla città il palazzetto dello sport per farci giocare la squadra di cui è presidente Atripaldi, amministratore delegato di Eco. Per cantare le serenate al centro commerciale serviva forse un direttore più disponibile di Finotto. L’UIB ha le sue gatte da pelare, e sul “fare opinione” occorrerebbe che ne avesse una, a parte quelle della famiglia Zegna. L’Eco diventa pertanto un depliant propagandistico a supporto di attività editorial-commerciali a cui dell’informazione/formazione importa una sega se non fa vendere più biglietti al basket e più carciofi alla Coop. Le frustrazioni dei bravi giornalisti sono nè più nè meno di quelle degli altri bravi giornalisti che lavorano negli altri quattro (c’è anche “La Stampa”) giornali locali e che si fanno la guerra a colpi di ribassi, sconti e estrogeni per vendere la pubblicità e continuare a fare assurdi faldoni di 64 pagine e oltre.
cp
L’ultimo commento è scritto con evidente competenza, immagino da un addetto ai lavori, e ora mi spaccherò la testa a pensare a chi è “cp”.
pensa a una specie di wu ming, ma dentro a uno solo.
Sono un po’ basito.
So, per conoscenza personale, che Paolo è un grandissimo rompicoglioni. Forse il più rompicoglioni che ho mai incontrato, e parlo per esperienza. Talvolta immotivato, ma altre volte motivatissimo. So anche, e l’ha scritto anche qui, più volte, che buona parte della sua non semplice vita lavorativa è stata spesa proprio dentro i giornali locali, e pure con Eco con cui credo abbia chiuso una collaborazione importante da pochi mesi.
Tutto questo per dire che quando scrive cose come queste, senza mezzi termini, unico a Biella – ripeto, UNICO in tutta Biella – si assicura di alienarsi la parte di Biella che, banalmente, avrebbe potuto dargli da mangiare.
Insomma, non stiamo parlando di un libero cittadino, fuori dal sistema, che nel tempo libero si diletta a fare il polemista, tanto fa l’impiegato di concetto e la paga sicura gli arriva da lì. No: questa è una persona che si esprime liberamente PROPRIO su cose da cui dipende il suo benessere.
La faccio più semplice. Paolo se non sbaglio scrive per case editrici milanesi, e sfrutta questa sua autonomia: ma, prendendosi la responsabilità, non solo giornalistica ma anche civica, di scrivere quello che scrive, molto probabilmente a Biella non ci lavorerà PIU’. Non penso che l’editoria cittadina l’abbia mai arricchito, ma pensateci un attimo, e chiedetevi quanti farebbero lo stesso.
Ci vuole un bel pelo.
#10: sono un disastro con gli indovinelli. Aiutino? Ti preeeegoooo…
Franci
Franci: io lo so ma non lo dico…
#11: Popolino non lavorerà più a Biella, a meno che Panelli o Pinna non facciano carriera. Non sarebbe poi un male.
che il giornale dell’uib non abbia un cazzo da dire e faccia marchettoni per quello che sospetto essere un gigantesco mostro col fine unico di riciclar denaro non mi stupisce, che rispecchi l’opinione di chi, in sostanza, si è espresso con “industria biellese? Cazzi vostri, sono anni che produco in outsourcing ed investo sul marchio, voi fate pure la muffa qua” nemmeno, il professor Gallotti buonanima aveva idee chiare in proposito, in ogni caso non posso che esprimere solidarietà a chi, gratis et amoris dei, il culo se lo giochi per pura coerenza.
A.
Da profondo disilluso della città di Biella e dei biellesi, faccio i complimenti all’autore del blog e a chi ha commentato. Forse qualche speranza c’è ancora, e Biella potrà finalmente sentirsi presa sul serio, in modo a volte duro ma sincero, senza giochi politici o economici. Bravo! Alessandro S.