- Trovarsi al Lingotto per rifondare un partito politico è come celebrare la messa di una nuova religione dentro la chiesa di un vecchio Dio: “qui, un tempo, lavoravano gli schiavi delle divinità dalle teste d’agnelli. I vecchi Dei morirono, e come succede a tutti gli idoli quando nessuno più li ricorda nelle preghiere, il loro tempio fu sconsacrato e usato per fare altro”.
- La gente arriva con calma. Troppa calma: ad un certo punto i ritardatari vengono bloccati fuori, perché la Sala dei 500 è piena. Qualcuno mi dice che gli iscritti a parlare sono una quarantina. Sono l’unico che non si è procurato l’elenco dei relatori, mi sa: il tavolo dei moderatori promette di far rispettare la regola dei cinque minuti a testa. Mi pare difficile, e infatti. Ma va bene così.
- Durante i primi interventi, con comodo, arrivano alla spicciolata i big: il candidato segretario Bersani, il padrone di casa Chiamparino, il segretario Franceschini, Sassoli, Fassino e la famosa bimba, ora cresciuta, che faceva da testimonial della pubblicità Coppertone, quella col cagnolino che le tira le mutande. Ah, no, scusate: è Giovanna Melandri. Qualcuno segnala anche Marco Travaglio: io però me lo sono perso.
- Michele Merola, nel suo blog, è riuscito a fare quella cronaca live che avevo intenzione di fare pure io, e ne consiglio la lettura, da questo post in avanti.
- I big sono venuti in pace, come disse Cortez agli indios. Se ne sono rimasti per un po’ ad ascoltare la teoria di relatori, ognuno dei quali, però, li ha indicati come fonte di tutti i mali. E non in modo generico: ognuno ha portato esempi noti a tutti e circostanziati: a sentire l’elenco è davvero difficile credere che in solo due anni di vita i dirigenti del Pd abbiano potuto fare così tanti errori. Hanno tenuto un ritmo febbrile.
- Quasi tutti, invece, contestano lo stesso errore di metodo: l’incapacità di rispondere ai grandi temi della politica nazionale con una voce sola, e con una linea chiara, che rispondesse al pensiero, se non di tutti, almeno della maggioranza dei tesserati e degli elettori. Questo è il famoso punto della questione.
- Ad un certo punto, a furia di venire tirati in ballo, Franceschini e Bersani hanno risposto: avevano detto di essere venuti ad ascoltare, ma sono piovute loro addosso tante di quelle domande che è sembrato giusto concedere loro qualche minuto per argomentare. Che dire: le loro dichiarazioni sono già state raccontate dai giornali di oggi. Anzi, sono state quasi le uniche a trovare spazio. Come se fossimo lì per loro, come se si trattasse di un appuntamento nel corso della campagna per l’elezione al prossimo segretario.
- Anche le telecamere non hanno avuto occhi che per loro. Una scena invero buffa: chiunque fosse a parlare in quel momento, i cameramen davano loro le spalle e inquadravano la prima fila di poltrone, pronte a cogliere qualsiasi bisbiglio. E infatti a un certo punto la platea si è incazzata, parecchio. Ma è normale, funziona così: dopotutto anche in Abruzzo Berlusconi è stato inquadrato molto più del terremoto. Giornalisti, vil razza dannata.
- Pur strappando qualche applauso, Franceschini e Bersani non si trovavano esattamente davanti a un pubblico disposto a farsi imbonire. Franceschini – non me ne voglia – ha il talento del paraculo. Indubbiamente sa cosa dire, e lo dice bene. In maniche di camicia, informale e diretto, usa un linguaggio molto spontaneo, ed è dotato della persuasione bonaria dell’oratoriano che spiega al bambino che è meglio andare a messa. Non chiede un sostegno a prescindere, ma dice che presto presenterà una squadra, uno staff che lo affiancherà alla guida del partito: dice che la riempirà di persone nuove e capaci, e chiede di giudicarlo in base a quello. Per alcuni, è come sentire Vanna Marchi dire “vi assicuro che questa volta vincerete davvero al lotto”.
- Bersani non è paraculo, questo è evidente. Ha quell’aria da “adesso vi spiego io come si fa” che ho già visto altrove, per la precisione nel suo mandante Massimo D’Alema. Il discorso è vago, e il tono – impressione mia – è di disprezzo assoluto per il tempo che l’abbiamo costretto a perdere. La cosa è reciproca: mentre parla, cerco di mantenermi vigile contando mentalmente tutte le piastrelle che ci sono nel bagno di casa mia. Ma è un bagno piccolo, per cui sono costretto a contare anche quelle della cucina.
- Prima e dopo di loro, invece, la mia attenzione non ha avuto bisogno di incentivi. Finalmente ho avuto la possibilità di sentir parlare persone i cui blog e i cui interventi in rete seguo da tanto tempo. Non sono rimasto deluso, anzi, ho aggiunto molti nomi nuovi alle mie conoscenze. Il tempo di riorganizzare gli appunti, e pubblicherò un post a parte in cui, senza bisogno di alcun commento, tutti si potranno rendere conto di quanto alto fosse il livello delle cose dette.
- L’impressione generale che ne ho ricavato è che, per chiarezza di argomenti e capacità di dire le cose come vanno dette, uno qualsiasi dei ragazzi che hanno parlato al Lingotto, in un dibattito con uno a caso dei big del partito, lo prenderebbe a calci nel sedere per tutto il cortile. Ecco una scena che mi piacerebbe vedere.
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Vi siete divertiti come matti, eh?
Certo che quando la tana del leone è quella in cui si riuniscono i tuoi stessi tesserati…
Franci
Vuoi dire che con i numeri di Vanna Marchi NOn si vinceva DAVVERO al Lotto?
Roby
E’ facile elencare gli errori. Vorrei vedere uno qualsiasi di quei quarantenni a farne meno.
Che poi scusate, eh, ma nei grandi partiti catalizzatori come il PD, il dissenso e la pluralità sono una cosa ordinaria. Guardare gli Stati Uniti (e le feroci primarie) per credere.
E’ proprio questo il punto: che pure io vorrei vedere. Il fatto è che non mi lasciano.
Capisci?