15 LUGLIO 2013

Il bambino piange, ancora

Ovvero analisi di un articolo di Maria Teresa Meli sulle regole del congresso Pd e sul vittimismo preventivo, sulla strategia sciocca e sulla morale lassa dei renziani.*

*: prima e ultima volta che ne scrivo, giuro.

Le regole sono il metodo prescelto da Bersani e dai suoi, come fu anche la volta scorsa. Ieri era Nico Stumpo, oggi è Davide Zoggia, attuale responsabile dell’organizzazione del Pd, che è incaricato di bloccare Renzi, o, meglio, di renderlo inoffensivo.

Falso. “La volta scorsa” i renziani in assemblea nazionale votarono all’unanimità per dare mandato a Bersani di contrattare le regole con le altre forze di coalizione. Io stesso – che fui tra i soli otto a votare contro di tutta l’Assemblea Nazionale – pregai alcuni dei renziani incaricati di occuparsi di regole di non votare quella norma. L’argomento usato, quello della fiducia, è inoltre risibile (Bersani preannunciava “aggiustatine” preoccupanti alle primarie da tre anni): equivale ad acquistare da uno sconosciuto incontrato in un autogrill un mattone, e poi giustificarsi dicendo che ci si era fidati della dichiarazione del venditore, che dentro al pacco ci fosse un iPhone.
Secondo, da giugno a dicembre, esclusi quelli commissionati dallo stesso Renzi, non c’è mai stato un solo sondaggio in cui Bersani non fosse davanti al suo competitor di almeno dieci punti. Se la tesi è che le regole hanno fatto perdere Renzi, è una sciocchezza.
Terzo: c’erano ben tre settimane, dicasi ventuno giorni, per registrarsi e votare regolarmente alle primarie e, fatto salvo per gli arruolati nella legione straniera, se qualcuno vuole così tanto votare alle primarie e non trova un momento per registrarsi, nemmeno on line, in ventuno giorni, forse non lo vuole così tanto.

Il segretario non sarà automaticamente candidato alla premiership.

Questa è facile: è la norma voluta da Renzi nel 2012, ed è quella su cui ancora nei primi mesi del 2013 moltissimi renziani hanno scritto, spiegando che in un partito moderno il leader è chi governa o si candida a farlo, mentre il segretario è poco più di un organizzatore. Io lo dico da sempre, che è un dibattito stupidissimo (dopo le ultime primarie, mi pare evidente che il segretario eletto dal popolo fa un po’ come gli pare, e che chiunque può sfidarlo), sono i renziani che l’hanno aperto. Tra l’altro è una roba sconfortante, perché le battaglie si fanno sui principi – e quelli, in genere, non cambiano così in fretta – non sulle necessità personali del proprio leader, è anche un modo di fare moralmente discutibile. Si decidessero.

I segretari regionali verranno scelti solo dagli iscritti, e prima del leader nazionale. Questo per impedire che vengano votati alle primarie, in collegamento con il loro candidato segretario nazionale, com’è stato finora.

Beh, e quindi? Non è meglio? Perché mai, da iscritto, dovrei votare il mio segretario regionale in base al tizio candidato al nazionale che compare con lui sui manifesti? Non abbiamo sempre detto che era sbagliato, fare le cordate dalla cima della piramide giù giù fino all’ultimo circolo di montagna? Il segretario regionale deve rispondere a un solo requisito, per quel che mi riguarda (e dovrebbe essere così per chiunque del Pd): che sia un buon segretario regionale. Che vada d’accordo col segretario nazionale, onestamente, non è così importante, anzi.

Già, perché se questa norma fosse mantenuta Renzi avrebbe la maggior parte dei leader regionali, e quindi il partito sarebbe interamente nelle sue mani.

Si, eh? Com’è successo nelle primarie romane con Gentiloni, per dire? Come è successo con Gori nelle parlamentarie?
Ho concluso, vostro onore.

E non finisce qui, per mantenere la presa sul Pd si stabilirà anche che l’assemblea nazionale, attualmente eletta alle primarie sulla base delle percentuali ottenute dai candidati segretari, verrà eletta per il 40-50 per cento dai territori.

Eh, perché invece le liste bloccate collegate ai candidati nazionali erano una figata, giusto? Soprattutto, da membro – Renzi, come ama ricordare, non lo è – avrei qualche cosa da dire, sul reale peso di quell’assemblea. Ma lasciamo perdere.

Ciliegina sulla torta: chi vorrà votare alle primarie dovrà iscriversi a un albo degli «aderenti», un modo, secondo i renziani di «appesantire il voto anche nei termini».

Albo, aderenti, elettori, attivisti. Se i renziani sono d’accordo li possiamo chiamare anche Enzo, ma segnalo che è sempre la stessa roba: che quando si vota alle primarie, sin dai tempi di Prodi, si firma un foglio in cui ci si dichiara elettori del Pd o della coalizione, nel caso di coalizione si tratti, e ci si impegna a sostenerla.
Francamente mi pare il minimo, e di nuovo: se chi vuole votare Renzi non è nemmeno disposto a firmare un cacchio di foglio – con un impegno il cui rispetto, per ragioni evidenti, nessuno verificherà mai – allora di cosa stiamo parlando, esattamente?

«L’idea, poi, che per i congressi locali votino solo gli iscritti sa tanto di volontà di costituire qualcosa di simile all’esercito egiziano, pronto a intervenire se il leader sbaglia…». (Davide Faraone)

L’esercito egiziano, ripeto: l’esercito egiziano. Gesù.
Primo, ai congressi locali votavano già i soli iscritti, anche nel 2009. Cambia solo il livello regionale. Secondo, i piangina sono insopportabili, a tutti. Anche ai propri elettori: «forte quel Renzi, peccato si lamenti sempre». Anche basta, dai.

Conclusioni. La notizia è vecchia di otto mesi, ma a qualcuno ancora non è giunta: Renzi ha perso le primarie a dicembre 2012. Fermate le rotative. Le ha perse lui, come peraltro aveva ammesso quando ancora non gli si poneva il problema di doversi nuovamente lamentare in vista di una nuova candidatura: lui, per colpa sua, non per colpa delle regole. Ha perso di seicentomila voti, e non c’era un sondaggio che lo vedesse davanti, non c’è mai stato: non ci sono seicentomila e uno elettori che sono rimasti a casa per colpa di Stumpo. Poi certo, è vero che con il giusto bombardamento mediatico si può far passare qualsiasi scemenza, ma ocio che dopo un po’ la gente si stufa.
Inoltre: il balletto sulle regole – prima la fiducia data a cazzo di cane, poi i piagnistei – non ha fatto bene a Renzi 2012, anzi: bisogna spingere la gente a votare, non va bene fargli credere che non potrà. Specie se non è vero (al contrario, la strategia è piuttosto demenziale). A meno che non si sappia già di perdere (appunto) e non ci si voglia preparare una scusa. Altro giro, altra primaria, e ancor prima che la sua candidatura sia ufficialmente in campo, ecco ripartire il coro delle prefiche, ma è difficile che rispetto al 2012 sia di qualche giovamento al candidato. A meno che non serva a mascherare lo stesso problema: che Renzi non ha la maggioranza tra gli elettori del Pd – questo il vero motivo per cui “si è preso l’estate per pensarci”, altrimenti staremmo parlando di una candidatura già ufficiale, e non fa testo la prenotazione della Leopolda per fine ottobre, perché ricordo che Renzi di Leopolde ne ha fatte tre, ma di candidature solo una – e quindi meglio partire subito a inventarsi complotti contro l’affermazione gloriosa del luminoso leader.
Che due palle, però.