La politica non è uno sport per avvocati difensori, o almeno io la vedo così: come nella boxe, quella sì una pratica civile, i pugili menano entrambi o nessuno dei due, quando l’arbitro chiama il break: non esiste che meni solo uno dei due pretendendo che l’altro stia fermo o contestando vizi di forma e legittimità dei colpi altrui.
Per questo non approvo e francamente trovo abbastanza inquietanti le formule neutre rispetto alla posizione giudiziaria di Berlusconi, e non parlo di chi sta nelle istituzioni e ritiene di dover mantenere un certo aplomb – magari ci metterei meno entusiasmo, ecco – , parlo di quegli elettori di sinistra che oggi, improvvisamente, si scoprono garantisti e difensori della terzietà della politica rispetto al potere giudiziario. E’ un po’ tardi, per prendere questa posizione.
Sono stato scettico sull’antiberlusconismo per gran parte della mia vita adulta, e ho sempre pensato fosse sbagliato fare dei processi a Berlusconi un argomento di lotta e di campagna elettorale, anzi, lo penso ancora (ma non per questo ho mai pensato che uno Stato civile possa permettersi di venire guidato da un condannato). Ero in minoranza, nel centrosinistra, minoranza culturale tra gli elettori, peraltro poco rappresentata, perché nella classe dirigente tutti o quasi tutti trovavano molto più facile, molto più popolare, molto più comodo adeguarsi alla vulgata giustizialista piuttosto che doversi spremere le meningi per tirare fuori uno straccio di idea convincente per il Paese e superare la propria palese inadeguatezza. C’è stato un tempo non lontano – anche se tendiamo a dimenticarcene proprio oggi – nel quale se andavi a cena con gli amici e non facevi a gara per risultare più antiberlusconiano degli altri commensali venivi ghettizzato, anzi, persino guardato con sospetto.
Tutto questo per vent’anni, poi ti svegli una mattina d’agosto, e improvvisamente scopri che un sacco di gente che conosci ha iniziato a distinguere: le questioni politiche da quelle giudiziarie, il Berlusconi capo del Pdl dal Berlusconi imputato, l’esito dei processi dalla tenuta del governo in carica. E se la condanna a Berlusconi dovesse risultare confermata, non è il caso di festeggiare, che è la straordinaria premessa, almeno per me, per dire subito dopo che quindi non è nemmeno il caso di modificare lo status quo, l’attuale in particolare.
E invece no, è sbagliato. Il Governo Berlusconi, l’ultimo, è stato costretto a dimissioni alle 21 e 42 del 12 novembre 2011, per molti motivi: per la crisi economica, per lo spread, per la sfiducia dei mercati e per il crollo della credibilità italiana nei confronti del mondo intero, quello finanziario, quello politico, quello del tassista di Manhattan che ti carica, ti chiede se sei italiano, dice “Berlusconi bunga bunga ” e si mette a ridere. Giustamente: perché oltre a tutti i macrofenomeni e la Trilaterale e Bilderberg se siamo arrivati a un certo punto molto basso tutto questo è dovuto (non solo ma) anche grazie a un fenomeno molto micro: un fenomeno legato a una piccola persona, che per vent’anni ha costantemente spinto per l’imbarbarimento generale del nostro Paese, e che giunto quasi al culmine del suo lavoro ci ha messo in cima una ciliegina – o forse un capezzolo – ovvero una epocale faccenda di ragazze con le quali si intratteneva facendo saltare gli impegni istituzionali, e con cui parlava al telefono di questioni di Stato, tra un commento e l’altro sulla prestazione della sera prima. E a me la Merkel non sta simpatica per niente, ma che non voglia parlare di equilibri internazionali con uno tanto coglione e malato da farsi beccare in simili squallide pratiche lo capisco perfettamente, altroché.
Per questo, oltre che per tutto il resto, abbiamo avuto un governo tecnico, per questo a febbraio il governo uscente non era quello di Berlusconi, come avrebbe dovuto essere se fosse giunto al termine della legislatura, e per questo quel 12 novembre in tutta Italia e a Roma in particolare la gente era scesa in piazza, a festeggiare e a improvvisare caroselli, con animo liberatorio e soprattutto comprensibilissimo. E senza nemmeno aspettare una sentenza, pensate un po’. E certo che le sentenze non c’entrano con la politica, ma non c’entrano a meno che qualcuno non ce le trascini strumentalmente dentro, ed è esattamente questo che ha fatto Berlusconi, da sempre, pervicacemente. Ora è un po’ tardi, per pretendere di distinguere, soprattutto è un po’ troppo pretendere che lo si faccia noi, quando non lo ha mai fatto lui: abbiamo già dato, e in abbondanza.
Per tutti questi motivi, perdonatemi se oggi attenderò la sentenza della Cassazione augurandomi (fortissimamente) che la condanna a Berlusconi venga confermata, perdonatemi se trovo lunari i giornali che in questo momento aprono col redditometro dopo aver passato giorni e giorni ad abbassare scientificamente le aspettative, perdonatemi se un rinvio o nemmeno un annullamento mi faranno cambiare idea su cosa è successo e per colpa di chi, perdonatemi se immediatamente dopo mi metterò a chiedere che il mio partito faccia cadere questo governo allucinante o, se proprio non posso pretendere tanto (non sia mai che a qualcuno si debba chiedere di rinunciare all’auto blu), che almeno lo faccia per me la Santanché con il Pdl; perdonatemi se, nel caso così sia, non me ne starò impassibile nel mio club del golf bevendo earl grey col mignolo alzato, perdonatemi se manderò al condannato un vaffanculo e crepa con tutto il cuore.
Perché sono passati vent’anni, perché se non si può avere giustizia nel senso stretto del termine a un questo punto mi accontenterei anche solo di giustizia poetica, perché non se ne può più e perché, perdonate la chiosa un po’ divisiva, alla lunga mi sono abbondantemente rotto i coglioni.