Avevo sbagliato previsioni, e alla fine penso che anche chi che le ha azzeccate sia comunque rimasto sorpreso da quel che è andato in scena. Anche quelli che stavano seduti intorno a Berlusconi, quando ha preso la parola, forse son rimasti stupiti da quel che ha poi effettivamente detto. E non è una scusa, però.
Ora, l’importante – almeno per me – è capire cosa è successo. Perché le previsioni si possono sbagliare, ma almeno sull’esistente qualche idea è meglio farsela.
Primo, da quel che capisco questo si conferma un governo con l’ambizione di non avere scadenza. Non vuol dire nulla, perché gli incidenti succedono, possono succedere anche domani: ma di fronte alla crisi di questi giorni Letta poteva presentarsi e dire una cosa del tipo “rilancio per sistemare i conti e cambiare legge elettorale, poi al voto”. Invece no, ha puntato al colpo grosso, anzi, ha ribadito di non voler porre nessuna scadenza. E il colpo pare riuscito, per ora.
Secondo, la natura politica, diciamo così, del governo non è cambiata. O meglio, certo: si è inflitto un duro colpo a Berlusconi, durissimo. Ma tutta l’operazione è avvenuta tra il campo del Pdl e quello del Pd. Letta non si è appellato al Parlamento in senso largo, anzi, in un certo senso ha ratificato l’esistente come sola maggioranza possibile. Avrebbe potuto lanciare almeno una mollica a Sel, se non a quei grillini che sembrano oggi sempre più isolati e screditati come possibili partner di qualsiasi tipo. D’altro canto, attrarre Sel significherebbe perdere il Pdl, e non avere più la maggioranza, o almeno così sembra pensarla Letta.
Terzo, poche se non nessuna novità dal punto di vista dei programmi. “Ci siamo liberati di Berlusconi, e quindi adesso poniamo rimedio a questa follia dell’abolizione dell’Imu”, per dire: ma no, queste parole non sono risuonate. Anzi: con sincerità apprezzabile ma devastante, Letta ha placidamente ammesso che non c’è una maggioranza possibile con cui cambiare la legge elettorale. E che se non c’è una maggioranza d’accordo, ma questo è ovvio, la legge non si può cambiare. Una presa d’atto, tipo.
Questo è quanto, credo. Detto questo, si tratta solo di capire che cosa ci facciamo noi, in questo partito. Come nelle barzellette, “un tizio entra in un governo delle larghe intese”, e chissà come finisce. Chissà se fa ridere. Chissà se, per dire, al congresso ci sarà qualcosa di cui possiamo ancora discutere, o se dovremo limitarci a prendere atto di quanto detto sopra.
Alcuni esempi.
E’ legittimo, per Civati, insistere nel dire che questa operazione, pur dettata da necessità, è innaturale, che va limitata nel tempo, nel peso politico, nei compiti, e che a marzo si deve tornare a votare? O sarà inclusa un’apposita clausola nel regolamento? E’ legittimo che chi vota Matteo Renzi lo faccia perché vuole vincere le elezioni con lui candidato premier, e insomma non è che gli vada proprio a genio aspettare fino al 2018? E’ legittimo, nelle mozioni congressuali, scrivere – per limitarci a un singolo esempio, ma molti potrebbero essercene – che levare le tasse sul patrimonio è una fesseria, che bisogna levarle sul lavoro; e sarà legittimo pretendere che quelle idee, se dovessero vincere il congresso, non restino solo parole ma siano applicate al Governo, con coerenza, anche a costo di metterne in pericolo la tenuta? E’ legittimo preoccuparsi di un governo che – Berlusconi a prescindere – potrebbe fare da anticamera a un nuovo e diverso e definitivo posizionamento del nostro partito? E’ legittimo chiedere che quantomeno prima se ne possa discutere con calma, già che ci siamo proprio durante il congresso, e non solo a Montecitorio?
Ecco, qualcuno ci faccia sapere.