Adesso, per il Foglio, sono cazzi amari. Il Foglio diretto da Giuliano Ferrara, che si firma con l’elefantino perché tutti sanno che è proprio lui, il Foglio che riesce a fare opinione con 20mila copie di diffusione e parecchie meno di venduto, il Foglio che è scritto benissimo, il Foglio che pubblica articoli grandiosi, il Foglio che è di destra ma lo si legge a sinistra perché è il più intelligente, il più cristallino nella sua faziosità, il Foglio che fa le pulci a tutti gli altri giornali e quasi sempre ci prende, il Foglio che ha firme che qualunque direttore sveglio ma purtroppo non italiano strapperebbe a suon di dollaroni.
Quel Foglio lì.
Quel Foglio lì ha un azionariato, che dice: Veronica Lario Berlusconi, 38 per cento, azionista di maggioranza relativa. E mica per sfizio, ma per una legge che, all’epoca, tentò di mettere un tetto al cielo: non si possono avere tivù, radio, periodici, case editrici, e anche quotidiani. E’ così che il giornale Il Giornale finì a Paolo Berlusconi, quando tutti eravamo più giovani e ingenui.
Ed è per questo che Il Foglio si diede come linea editoriale "berlusconiano tendenza Veronica". Ora vedremo quanto, e vedremo se l’elefantino è di pezza. Anzi, lo si vede già: "Mettiamoci il dito" è una serie di articoli il cui contenuto si spiega da sè, entrando nella querelle domestica. Molto ben scritti, perché mica è Libero, niente foto della signora quando mostrava le grazie sparata in prima, niente bassezze, al Foglio. Ogni giorno una puntata, ogni giorno una firma diversa.
Giorno uno, 30 aprile, pezzo di Annalena Benini: la sfuriata è sui giornali, ma per il momento è solo una sfuriata, e quindi Veronica "conosce l’arte della tempesta coniugale, sa renderla epica e sa evitare, perfidamente, di chiamare il Cavaliere “mio marito” (significa che Berlusconi ha moltissimo da farsi perdonare), sa trasformare una vicenda quasi privata in questione nazionale".
Giorno due, primo maggio, pezzo di Andrea Marcenaro. Dopo il temporale l’arcobaleno tarda, anzi si profila una cazzo di tempesta, e pensare che al Foglio avevano già pronti i cestini da picnic. Titolo, "E’ successo qualcosa?", svolgimento: "Cos’è successo? E’ successo qualcosa? Quando? L’altroieri sera? E me lo dite ora? Che è? Lo fate apposta? Io? Commentare su domani una notizia dell’altroieri? Volete ammazzare il giornalismo, per quanto di nicchia? Cos’è successo? Chi? Veronica Lario? Quale Veronica Lario? In Berlusconi? Quale Berlusconi? L’unico che c’è?".
Giorno tre, 2 maggio, pezzo di Pietrangelo Buttafuoco: "Mettiamola come ipotesi. La signora Veronica ha ragione. E ammettiamolo pure: ha tutti i motivi per essere adirata con suo marito. Ha proprio ragione lei ma su una cosa però ha torto: non si dicono queste cose. Non si mettono in imbarazzo i mariti nel frattempo che questi fanno la storia. Quello, il Berlusconi, è uno che in quattro e quattr’otto ha fatto trovare la dentiera nuova alla nonnina degli Abruzzi". Tradotto: "non disturbate il manovratore", che sarebbe stato un titolo più banale ma più preciso di "Il torto nella ragione".
Giorno quattro, oggi, 3 maggio, pezzo di Francesco Forte, "I quattro autogol". Citazione: "Il primo autogol consiste nel fatto di mettere in piazza questioni domestiche. Se non è d’accordo con il marito, se è gelosa, arrabbiata o quel che si vuole, si armi di una pignatta di metallo leggero e la dia in testa al marito. Ma stia zitta in pubblico". Ovvero: Concetta, tieni gli occhi bassi, disonorata, donna di malaffare (da che pulpito, capito?).
Una bella escalation, tutta nei primi giorni, ben prima che gli avvocati abbiano ancora iniziato il loro lavoro: e domani, il giorno cinque? E dopodomani? Ce la faranno a chiedere la lapidazione entro il prossimo fine settimana?
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