Domenica Ignazio Marino era a Torino, in una visita che si sarebbe poi prolungata in una cena, a cui gli organizzatori hanno invitato anche un paio di rappresentanti del comitato biellese. Il quale comitato, bontà sua, mi ha gratificato dell’opportunità di andarvi, accompagnato dalla più giovane e decisamente brillante delle nostre militanti.
Visto il contesto democratico, ho optato per jeans, camicia e giacca scura, trovandomi invece circondato da invitati tutti incravattati e in tiro. Ammetto che il mio primo pensiero è stato: oddio, come ci siamo imborghesiti. Poi ho pensato a mio padre, che è sarto artigiano, e che considera un taglio elegante come una cosa perfettamente normale pur non essendo di suo per nulla borghese. E mi sono un po’ vergognato di questo giudizio.
Per Marino si trattava evidentemente dell’uniforme da lavoro, ma ho notato che indossava un paio di mocassini all’apparenza morbidi e comodi, solo che non erano per nulla coordinati con l’abito: evidentemente, in questi mesi di congresso di chilometri ne ha percorsi, e quindi pure lui ogni tanto ha bisogno di indossare qualcosa di meno soffocante di un paio di scarpe di boa constrictor (in cui il boa è ancora vivo, però).
Location, come dicono i fanatici, il ventesimo piano di un palazzo di corso Mortara, luminoso di una luce blu e fredda, con un terrazzo e una vetrata su tre lati “sulla capitale sabauda dominata, come potete vedere alla vostra destra, dalla Mole Antonelliana”.
Non che stessi friggendo per la tensione, ma di certo ero un po’ su di giri, e mentre tutti si aspettava l’ospite d’onore mi sono abbondantemente servito di gustosi canapè – salmone, carne cruda, tomini, uova di qualchecosa, chissà – e di brut. Cosa che, per un ormai quasi astemio che poi deve guidare fino a Biella, non è la scelta più opportuna.
Poi, arrivato un sorridente Ignazio – “piacere”, “piacere, ciao, grazie”, finis – ci siamo accomodati ai tavoli.
Al mio c’erano i rappresentanti dalle altre provincie piemontesi, già visti nelle numerose riunioni torinesi di questa estate. Persone squisite come Giuseppe, uno tra gli esseri umani più sani di mente tra quelli che ho incontrato da quando mi interesso di politica, e altri all’apparenza a posto, tutti esaltati per il record di consensi che la candidatura ha fatto nella nostra regione. C’era la mia compagna di mozione, la più giovane della sala, che è stata sollecitata a parlare un po’ come si chiede al bambino di recitare la poesia davanti ai nonni: e invece lei ha fatto un discorso bellissimo sul serio, e li ha stesi tutti.
C’era pure una signora, rappresentante di un centralissimo e pieno di intellighenzia circolo del Pd cittadino, moglie di avvocato per sua stessa ammissione, che parlando dei concorrenti alle primarie si lamentava di Bersani, di quand’era ministro, e del suo tentativo di liberalizzare il settore dell’avvocatura. Al che, non avendo molto in simpatia l’odiosa casta e i suoi privilegi, e il fatto che anche la mozione rappresentata dall’ospite d’onore della serata non ci va leggera su questi temi, ho pensato: “cara signora, mi sa che ha sbagliato cena”. Sfortunatamente ero già al terzo bicchiere di vino, per cui gliel’ho pure detto. Ma l’ha presa con grande fair play, o almeno così mi sembra, non ricordo bene. Il piccolo incidente mi ha ricordato che più cara è la cena che stai mangiando, più è necessario limitarsi alle cazzabubbole nella conversazione con gli azzimati commensali: io in questo sono un disastro, temo sia colpa del poco allenamento e di una maggiore consuetudine con le cene frugali.
Tornando all’elaborato desco, avevamo nel frattempo la formidabile fortuna di poter finalmente gustare i celebrati piatti del recensionatissimo chef locale Kaka… Uku… Aki… Niente, ammetto che non so chi sia e che, complice il vino, non riesco a ricordarmelo. Comunque, gamberi lardellati per entrée, una sorta di plin (più o meno dei raviolini, purtroppo non saprei dire sul ripieno, ma credo che banalmente fosse carne) con tartufo e una crema misteriosa, e una specie di tagliata di qualcosa che, dopo consultazione collettiva, abbiamo stabilito per convenzione essere pesce spada, con patatine uguali a quelle dei sacchetti, ma fatte sul momento. O almeno credo, dai.Tutto molto buono, a parte la salsa troppo acida sull’ipotetico spada, e buono pure il dolce, con panna, frutta e pan di spagna, ma elaborato in un modo molto più fico di quel che sembra a leggerlo qui. E con questo chiuderei la parte sulla cronaca enogastronomica.
Agli altri tavoli – saremmo stati trenta o quaranta in tutto – altri protagonisti della campagna congressuale e una serie di big donors: quanto big? Parecchio, almeno per le mie tasche. Sofia, la gentilissima e minuta ragazza che mi aveva spiegato i dettagli dell’appuntamento, mi aveva anticipato che si sarebbe trattato di una serata per raccogliere fondi, un invito a cena con profitto. A un certo punto della serata, qualcuno si è alzato, e nel salutare i presenti ha voluto ringraziare “la persona che ha organizzato questa bella serata, Sofia Grande Stevens”. Ha detto proprio così, mentre a me andava di traverso il moscato da dessert. Perché vedete, come molti di quelli che sono cresciuti negli anni Ottanta, quando Berlusconi nessuno lo conosceva e la Fiat era la padrona del Paese, la Juve vinceva tutto e il Milan era in serie B, mi ricordo bene di Franzo Grande Stevens, noto anche come l’avvocato dell’Avvocato.
Non sono stato così sfacciato da chiedere alla diretta interessata se la parentela fosse effettiva (dubito che equivalga a chiamarsi Pautasso, per citare un cognome molto comune a Torino). Però, improvvisamente, mi sono reso conto che quella che poteva sembrare l’iniziativa politica di un gruppo di sfigati – e in cui per questo io mi trovo molto a mio agio – non si riduce a un fiero buffet delle nullità (con tante scuse a Tom Wolfe per l’assonanza), in cui l’etichetta ha in fondo un peso irrilevante, ma è anche una cena di gala che conta tra i suoi invitati pure alcuni dei cosiddetti poteri forti, anzi fortissimi. Non so dire se sia un bene, spero solo che non sia un male.
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Secondo me il tuo palato non era sufficientemente educato ad apprezzare la salsa acidella.
Guarda, malgrado tutto mi sembra che comunque il vostro sia il gruppo meglio assortito, gli intenti sono più chiari e le intenzioni più nobili. Sta anche a persone come te impedire che il tutto si trasformi in qualcos’altro.
Intanto faccio notare che qualcuno ha scelto di commentare nel chiuso del quartierino di Facebook.
Grande Stevens fra le altre cose è anche stato ed è un giurista coi controfiocchi che ha insegnato diritto (almeno nei fondamentali) a una intera generazione. E non parlo di avvocati… per quanto possa essere o meno un simbolo di una certa “intelligentjia”, ha di certo un bagaglio di valori più che condivisibili.
Tradotto: meglio lui che un Ghedini tutta la vita!
Marco B.
Comunque, come pare abbiano detto alla Cei dopo il caso Boffo, “nulla sara’ piu’ come prima”. Nel caso la carica eversiva di una presa diretta sulla vita politica, qualunque essa sia, e’ una novita’ salutare. Siamo al mix tra cronaca e fiction, vedo da lontano spuntare il “blog dell’avvenire”. Credo sia meglio allacciarsi le cinture.
EZ
Mi sembra si sottovalutino le argute capacità di Popolino in qualità di critico enogastronomico. Trema Raspelli, trema.
Sono stordito dalla quantità di citazioni. E mi stupisce, per farne un’altra, che l’autore non abbia abboccato il tavolo vicino per chiedere “quanto vuoi per dona bionda, io compro tutta tua dona bionda”.
Credo che al tavolo vicino ci fosse un’anziana senatrice, altrimenti…
l’avvocato Franzo Grande è pure quello che fece da consulente per i vertici dello Ior quando i giudici di Milano arrivarono trulli trulli con le rogatorie per capire come fosse stata smazzata la maxitangente enimont, e se non erro, dovrei controllare, era presente anche per la storia dell’ambrosiano
uno che ne sa insomma….
A.
anch’io sono avvocato ma non mi ero accorta di avere dei privilegi di casta
Nicoletta Verardo
No? Un settore bloccato dalla rigidità dell’ordine professionale, in cui non c’è concorrenza, non ci si può fare pubblicità, non si possono accettare clienti pro bono, la class action è ammessa solo come azione istituzionalmente determinata e non dal basso: cose dette e stradette, più volte sanzionate in sede europea e di antitrust, che creano rendita di posizione, poca accessibilità e privilegi di casta “de facto”, rispetto ad altri settori già liberalizzati.
Forse qualcuno vuole tirare in ballo la supposta “diversità” dell’avvocatura, che in quanto unicum a se stante non dovrebbe rientrare in quei principi di regolazione del mercato che valgono per gli altri ambiti. Comodo, e sbagliato.
Un collega.