9 MARZO 2009

Chissenefrega

So che mi rimangio una parola data ma non resisto. Per cui voglio dire la mia su Watchmen, il più brevemente possibile (ma non è possibile, come vedremo). E’ un pacco, o meglio, chi se ne frega del film Watchmen? E trattandosi del film di supereroi tratto dalla graphic novel suprema sui supereroi, è un pacco supremo.
E con questo non voglio nemmeno entrare nell’ambito del giudizio stilistico: non perché non ci sia niente da dire, ci sono cose imperdonabili in Watchmen. Ma perché proprio nonostante cose tremende e cose meno, Watchmen non merita quel tipo di analisi. Merita solo un chissenefrega. 
Noi lettori di fumetti siamo già abbastanza bistrattati, specie chi di noi legge di tizi che vestono le mutande sopra ai calzoni. Tutta la vita ad aspettare che i nostri beniamini arrivino al cinema, tutta la vita a sopportare i sorrisetti degli “adulti”, e ora che pure loro vanno a vedersi Spiderman, beh, chissenefrega.
Non so se avete mai notato, ma nei fumetti i costumi degli eroi non sono disegnati realisticamente: è come se fossero dipinti sulla loro pelle. Bodypainting. Questo perché, come diceva Will Eisner, il fumetto è un’arte essenzialmente espressionista: è nemica della realtà, ci siamo capiti? Neal Adams, che è uno dei più grandi di sempre, disegnava Batman con la fronte corrugata: la si vedeva da sotto la maschera, e funzionava. Ma secondo Scott McCloud, basta disegnare un costume con un pizzico di realismo, con le pieghe e le cuciture e tutto ciò che prima definiva l’icona di un grande eroe diventa immediatamente ridicolo. Chiunque parli di fumetto dovrebbe farsi un po’ di base, di certo leggersi McLoud: “disegnato bene” e “disegnato male” sono giudizi che non bastano, mi spiace per chi crede che essendo il fumetto una bambinata non ci voglia poi chissà che scienza per parlarne. E disegnato “bene” o “male” come criterio di giudizio di un fumetto equivale a dire che il filmino delle vacanze di quel meraviglioso tramonto al mare è un gran bel film. Ma non è così, dico bene?
Questo è il motivo, essenziale, per cui dopo averne visti una carrettata posso dire che è impossibile fare grandi film sui supereroi: perché quando vedo arrivare Batman in carne e ossa sullo schermo non penso “uh, anvedi Batman”.
No, penso: “ma guarda quel coglione con le mutande sulle braghe”. La sospensione dell’incredulità svanisce, puff.
Ora, io capisco che questo si scontra con molte aspettative diverse: quelle delle major di far soldi, tanto per iniziare. Quelle dei consumatori di popcorn movies a cui non frega assolutamente niente del fumetto (“ma lo fanno i computer o sono disegnati ancora a mano?”). E infine quelle di noi poveri quattro stronzi rimasti a comprarli, i fumetti. Ed è chiaro che il nostro cuore di bimbi li vuole vedere, quei maledetti film. E il cuore non sente ragioni, neppure quando vengono da Alan Moore.
Alan Moore, per quelli di voi che credono che i fumetti li facciano i computer, è uno dei più grandi sceneggiatori di fumetto viventi, ed è l’autore di Watchmen. Tra gli appassionati è indiscutibile, diciamo: andate su un forum di comics fans e scrivete “Alan Moore è scarso”, e poi state a godervi gli sputi in faccia che vi arriveranno da qui all’eternità.
Eppure, da quando questa moda cinematografica delle calzamaglie è iniziata, Moore ha sempre detto la stessa cosa: chissenefrega. Secondo Moore sono due media incompatibili, uno non è traducibile nell’altro: e fine delle discussioni. Non si è mai opposto alla trasposizione in film di una sua opera ma ha sempre detto “non citatemi, non datemi soldi, non voglio saperne nulla”. Deve essere convinto sul serio, perché immagino che alla Warner per mettere il suo nome in tabellone come imprimatur di Watchmen sarebbero arrivati a dargli, non saprei… un milione? Cinque? Tantissimi per uno scrittore di fumetti, briciole per una produzione che alla fine incasserà intorno al miliardo di dollari (se tutto va bene). E lui ha detto “grazie, ma no, grazie”.
I casi sono due: o è completamente pazzo – e può essere, conoscendolo – oppure ci crede, ragazzi ci crede davvero tanto.
Del resto, quando morirà, cosa resterà di lui? La sua opera di fumettista, probabilmente, e magari non ci tiene che qualcuno dica “grande autore” aggiungendo poi “peccato per quei film di merda che aveva autorizzato”. Sembra niente, ma non mi vengono in mente molti autori in grado di applicare questo tipo di onestà intellettuale (vero, Frank Miller?).
Ebbene, con tutto il rispetto che i lettori hanno per Moore, i suoi avvertimenti sono rimasti inascoltati. Il cuore di bimbo. “Peccato che Moore non approvi, ma vedrete questa volta, questa volta sarà un capolavoro. Sarà fedele. Sarà bello. Saremo tutti felici, e poi faremo merenda col Ciokorì”.
Una volta, due volte, tre volte.
E mò basta però.

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