16 SETTEMBRE 2009

Una o due cose che so sull’Auditel

bruno-vespa-massaggini-a-silvio-berlusconiAlcune delle persone che conosco su Facebook, e che non necessariamente sono le stesse che frequento nel mio tempo libero, ieri hanno compattamente usato il social network per annunciare che avrebbero boicottato Porta a Porta, invitando altri a fare lo stesso. Non sono certo del senso di questo boicottaggio, lo dico perché per boicottare una trasmissione televisiva bisognerebbe far parte delle 5.200 famiglie che l’Auditel usa per rilevare i dati di ascolto. Se sei fuori dal rilevamento, conta poco che tu scelga di sintonizzarti su Vespa piuttosto che su una televendita di materassi. Ovviamente dubito essere fortunato al punto da avere tra le mie conoscenze così tanti gruppi d’ascolto Auditel.
Io di certo non lo sono, e così la trasmissione me la sono vista tutta (tremenda, non penso di dover dire altro), aggiungendovi di mio un piccolo esperimento di sociologia spiccia: a dieci tra quelli che mi sembravano più decisi tra i protestatari di Facebook ho inviato un sms: "A me puoi dirlo che stai guardando Vespa, non lo racconto a nessuno". Nove su dieci hanno ammesso che sì, in effetti non avevano resistito, e solo uno stava invece seguendo l’ispettore Coliandro.
Poi, ho spedito altrettanti sms a conoscenti a cui so per certo che la politica frega molto, ma molto meno, e ho chiesto anche a loro se stessero seguendo lo show del Presidente su Rai 1, ottenendo un risultato uguale e contrario: otto su nove stavano facendo altro, uno mi ha esplicitamente risposto che aveva un rendez-vous sessuale, il decimo mi ha detto che ci era capitato per caso. Il soggetto, pur di area vagamente destrorsa, mi ha scritto che "la trasmissione è chiaramente una pagliacciata".
Un campione di venti persone non è ovviamente rappresentativo, ma del resto non lo è neppure uno di 5.200 famiglie, eppure a un certo punto della nostra vita l’Italia, con una grossa mano da parte dei giornali, ha deciso che l’Auditel era una cosa seria, e infatti siamo ancora qui a parlarne. Se il rilevamento dell’audience è così importante, allora dovremmo riflettere sul fatto che è affidato a una società per azioni equamente spartita tra Rai, Mediaset (La7 vi è entrata in quota minima solo da poco) e Upa, che è l’associazione che riunisce le aziende che investono in pubblicità. E’ un po’ come se gli alunni della scuola elementare firmassero gli stipendi delle maestre che devono dar loro il voto.
Quello che non capisco, e so che la mia è una riflessione che non mi rende simpatico tra le persone della mia stessa area politica, è perché anche nella parte di Paese che apertamente osteggia questo sistema di governance dei media si continua a dare tutta questa importanza a un apparato che è palesemente truccato.
Se fossi malizioso penserei che è molto più comodo controllare pochi canali di cui si è editori dall’alto del Parlamento, in cui si convogliano milioni di persone, e ci si fa ospitare per catechizzare e dire le proprie cose, che non mille canali e un milione di media diversi che frantumano e sparpagliano l’utenza rendendola così irrintracciabile. Poi però non deve stupire se arriva uno del mestiere, come nel caso del nostro Premier, e si mangia tutto.
Oppure, se il sistema non è truccato, qualcuno dovrebbe iniziare a fare due conti sul perché da qualche tempo Rai e Mediaset vivono una costante e ormai clamorosa emorragia di pubblico. Potrei tirare fuori le debite pezze d’appoggio, ma è sufficiente constatare che oggi un programma di medio cabotaggio è giudicato vincente se sfiora medie di tre milioni di spettatori, mentre solo pochi anni fa sotto i sei sarebbe stato chiuso. E questo vale per i reality, per i telegiornali, per la fiction, per tutto quanto: è un calo generalizzato, è costante ed è rilevante. Certo, internet non ha sostituito la tivù, e forse non lo farà mai, ma ogni nuova offerta mediatica si è mangiata una fettina di quello che fino a ieri era il moloch catodico. Sky, ad esempio, è ormai molto vicina ai 5 milioni di abbonati, con uno share molto polverizzato tra i tantissimi canali, ma che vale più del 7 per cento del totale e ben 14 milioni di spettatori. Al satellite vanno aggiunti il web e l’IpTv, minoritari ma comunque vispi, specie nelle grandi aree urbane, e un consumo molto più massiccio – perché più accessibile – di contenuti home video e on demand: che in italiano si traduce con "in tivù non c’è un cavolo, scarichiamoci un film". E di film, serial e quant’altro, garantito, se ne scaricano a fiumi.
Di tutto questo, che è un cambiamento mica da ridere rispetto all’Italia paleolitica del 1994, quando davvero si viveva in un duopolio dittatoriale, nelle opinioni degli analisti non vi è quasi traccia, e rimaniamo invischiati a parlare di Vespa e Floris come se da soli rappresentassero ed esaurissero tutto l’universo dei media. Ovviamente, per un politico di professione è molto più semplice pensare al Paese in termini di macrorealtà (lavoratori/padroni, ricchi/poveri, colti/ignoranti), ma sono ormai dati per acquisiti, ovunque tranne che da noi, studi che dimostrano che la nostra contemporaneità non è più composta di grandi blocchi contrapposti, ma piuttosto di piccoli segmenti che spesso si sovrappongono, più difficili da decifrare, ma col vantaggio di essere più facilmente intercettabili, perché più specifici, e che risultano numericamente importanti (direi decisivi) se sommati tra loro.
E quindi non si capisce perché ad esempio il Pd dedichi immani energie per badare alle faccende televisive – che pure contano, ma è come cercare di spostare una piramide con la carriola – e trascuri tutto il resto, anzi ne ignori completamente l’esistenza: sempre più giovani, appena mettono le mani su un computer e una connessione, salutano questo polveroso teatrino e vanno a cercar risposte alle loro domande altrove, creando così la più grande domanda di informazione della storia dell’umanità, completamente ignorata da chi teoricamente ha in mano l’offerta. E a nessuno – tra politici e giornalisti – viene in mente di interessarsene. Io trovo paradossale che Porta a Porta, che ieri sera ha fatto solo 3,2 milioni di spettatori (i dati sono arrivati mentre scrivevo questo fiume di parole), occupi nell’agenda politica molto più spazio dei restanti 57 milioni di italiani che ieri sera se ne sono bellamente fottuti di Vespa e di Berl. Presi i dati per buoni, cosa che come ho spiegato è discutibile in sè, allora qualcuno gentilmente mi deve spiegare il significato politico dei 5,7 milioni di italiani che hanno seguito un prodotto pessimo come "L’onore e il rispetto – Parte seconda", perché sono sicuro che un significato c’è, se si guarda al contesto senza ipocrisia.
Ad atterrirmi, soprattutto, è che a rinfocolare questo pensiero unico siano i giornali non direttamente sotto l’influenza del Presidente del Consiglio, in particolare Corriere, Repubblica e Stampa. In teoria, dovrebbero essere i primi a smontare questo alone di leggenda che circonda Auditel e il suo potere. In realtà basta andare a controllare i rispettivi proprietari e le composizioni dei Cda per accorgersi che non si tratta di conventicole di boy scout, e viene il sospetto che, aldilà delle campagne più o meno estemporanee di conflitto diretto con il Premier, sia comodo cercare di perpetuare l’immagine di una tivù generalista indispensabile e insostituibile, di cui si è spesso ospiti come opinionisti o scrittori di saggistica di consumo, per cui si lavora come autori ben pagati ed elencati nei titoli di coda, da cui si dipende per un meccanismo di visibilità e gestione del potere. Un intreccio che si ripercuote anche nel mondo dell’editoria cartacea, ad esempio nelle operazioni commerciali congiunte che di tanto in tanto questi giornali mettono in piedi con Mondadori – alcune in corso anche in questo momento – e che se io rappresentassi una linea palesemente ostile al gruppo di potere nelle mani di Berl. eviterei come la peste. Invece, evidentemente, pecunia non olet, ed è tanto comodo, se serve, appoggiarsi alla potenza organizzativa, produttiva e distributiva delle aziende del gruppo di Berl.: tanto, per farsi un’idea un po’ meno limitata del media system, ormai complicatissimo, occorre una voglia che la maggior parte delle persone non ha, è molto più semplice e divertente farsi appassionare dalle finte risse e schierarsi a favore di Floris o a sostegno di Feltri.
Qualcuno potrebbe dire che uno spettacolo come quello visto ieri sera non sarebbe possibile in nessuna parte del mondo. Falso: quando Obama vuole andare in tivù non fa altro che mettersi d’accordo con un network, e state pur certi che ad aspettarlo in studio non troverà un plotone di oppositori, ma solo l’intervistatore. La differenza fondamentale, invece, è che Obama non è l’editore di quel giornalista, ma "solo" il suo presidente. E, quando si accende la lucina rossa della telecamera, in studio a comandare è il padrone di casa, non l’ospite. In Italia, invece, i giornalisti televisivi debbono il loro posto di lavoro ai politici che intervistano, e poco mi tranquillizza che a nominarli invece che Berlusconi sia stato Massimo D’Alema, perché il problema rimane esattamente il medesimo. Lo dimostra anche il fatto che solo in Italia i programmi di approfondimento sono pieni di parlamentari, mentre all’estero si fanno invitando analisti, esperti e altri giornalisti.
Invece, molti tra quelli che conosco non vogliono neppure sentire parlare di articolazione dell’analisi, a loro interessa solo parlare del problema Berlusconi. Hanno ragione, intendiamoci, ma allora non si spiega come il centrosinistra abbia vinto le elezioni due volte, perdendo il potere soprattutto perché si è messo a segare il ramo su cui era seduto, mica per colpa di Minzolini: l’alibi dei telegiornali avversi fa molto comodo ed evita di dover spiegare perché la prova del governo è stata clamorosamente e vergognosamente fallita, ma personalmente trovo che come scusa sia sempre più campata in aria.
Né si spiega perché in un momento come questo i grandi giornali citati prima perdono copie e soldi, mentre Libero e il Giornale vanno sempre meglio. Né è chiaro perché l’ultima innovazione capitata in Italia nel settore della stampa quotidiana risalga agli anni Settanta, e da allora nessuno sia stato in grado di lanciare un giornale di area moderata in grado di fare grandi numeri e raccontare la realtà in modo meno semplicistico, meno superficiale, più moderno e meno sensazionalistico di quanto fanno quei giornali italiani di grande tiratura – compattamente allineati su una visione profondamente conservatrice del mondo – che rappresentano il peggio di tutta l’informazione cartacea occidentale, e usano il web per pubblicare anteprime di calendari scollacciati intercettando così quei lettori che altrimenti sarebbero andati a farsi le seghe davanti ad altri siti. In questo sfacelo, per esser chiari, la responsabilità di Repubblica è pesantissima: un gruppo editoriale – e non un’accolita di liberi pensatori, come qualcuno si illude – la cui linea politica sovrasta completamente il centrosinistra italiano, in particolare il partito di cui sono tesserato, e una dialettica finta e strumentale viene usata per perpetuare all’infinito e controllare la stessa classe dirigente di vent’anni fa, che aggrega il consenso popolare in nome dell’anticraxismo ieri e dell’antiberlusconismo oggi, e fa di tutto per impedire l’emersione di un’idea di Paese che sia realmente nuova e alternativa. Una manica di tromboni maneggioni che non solo non si merita accorati appelli, ma che è parte del problema molto più di quanto non ne sia la soluzione.
Per rendersi conto di questa situazione complessiva, molto più indecifrabile di quanto non dicano le apparenze, basta leggere qualche testata straniera su internet: costa un po’ di fatica, bisogna imparare almeno l’inglese, ma se si vuole partecipare a un discorso sull’informazione senza dire solo banalità leggere Repubblica non è sufficiente, bisogna guardarsi intorno, il percorso è quello e non ve ne sono altri.
A furia di discuter sempre e solo di Berlusconi, Santoro, Repubblica e il Giornale, mi sono fatto l’idea che questa sorta di ossessione miope derivi da quello che personalmente considero un equivoco culturale: ovvero, che l’informazione sia un pubblico servizio. Se stessimo parlando di massimi sistemi ne potremmo anche discutere. Siccome invece l’argomento è l’Italia, la questione è completamente mal posta: l’informazione non è, e non è mai stata, un servizio pubblico, paragonabile all’istruzione, alla sanità, e a tutto il resto. Di certo non lo è ora, ma se siamo sinceri non lo è mai stata, a prescindere da Berlusconi, a meno che non si voglia far passare il concetto che un canale ai democristiani, uno ai socialisti e uno ai comunisti sia servizio pubblico. Non è neppure pluralismo, e bisogna avere il coraggio di chiamarlo col suo nome: lottizzazione. Chi pretende che a informarlo sia il Tg1 farebbe bene a scendere dal pero, e in fretta, e chi addirittura pensa che la Rai abbia il dovere di produrre informazione corretta evidentemente ha la memoria corta, e non si ricorda o fa finta di non ricordarsi cosa sono stati i tigì nazionali nel mezzo secolo di televisione pubblica.
Quanto al conflitto d’interessi e al monopolio della televisione commerciale, oltre a segnalare che, come tutti ricordano, i governi di centrosinistra scelsero semplicemente di non sfruttare l’opportunità di porvi rimedio, ricordo che negli anni Ottanta, agli albori di questo fenomeno, Rete 4 e Italia 1 erano in mani molto più potenti di quelle dell’allora limitatissimo Berlusconi. I colossi editoriali Mondadori e Rizzoli furono invece un disastro nell’interpretare quel nuovo modello di business in cui al contrario Fininvest era molto vocata. Si ritirarono dal mercato vendendo le proprie reti al concorrente, fuggirono a leccarsi le ferite provocate dai pesanti passivi di bilancio con la coda in mezzo alle gambe, e finirono per passare di mano e venire acquisiti: per colmo dello spregio, nel caso di Mondadori, proprio dal nemico Berlusconi.
Il tutto mentre lo Stato italiano usava la magistratura per affermare che i privati non potevano trasmettere su tutto il suolo nazionale, non potevano avere la diretta e non potevano fare i telegiornali: fu quel mix letale tra statalismo bipartisan – con la benedizione di Dc e Pci – assenza di editori puri non compromessi dall’essere parte di più ampi portafogli industriali e debolezza imprenditoriale condita di mancanza di visione a gettare le basi della crisi che viviamo oggi.
Nel 2009, l’Italia è ancora un Paese in cui lo Stato controlla la metà della televisione in chiaro, cosa che non sta né in cielo né in terra né da nessun’altra parte, e in cui per legge il Governo ha diritto di nominarne le principali cariche direttive, allungando la sua mano fino ai direttori delle testate giornalistiche. Che per consuetudine cortese in genere il Governo sia generoso e scelga di spartire questa torta lasciando qualche fetta all’opposizione, mentre Berlusconi tende a mangiarsela tutta, è un argomento sul quale non ho intenzione di scalmanarmi, perché è semplicemente ridicolo. Se davvero Floris, Santoro, Gabanelli e compagnia ritengono ingiusto il trattamento riservato loro dall’editore si facciano una ragione del fatto che la loro presenza in Rai non è impressa a fuoco sul cavallo di bronzo di viale Mazzini. Scegliere di non occupare due canali su tre con programmi di approfondimento è una normale decisione editoriale, e se subodorano altri motivi di natura politica inizino prima di ogni altra cosa a contestare che la televisione di Stato debba essere pagata da tutti i cittadini in base a un obbligo di legge di natura spiccatamente medievale. Canone che non basta, ovviamente, che va integrato con la pubblicità (con tutti i problemi derivati dal legarsi agli interessi degli inserzionisti, alla faccia del servizio pubblico), e che in ultima analisi non evita passivi rilevantissimi e assunzioni di massa di raccomandati pagati da tutti che rendono le redazioni dei tigì pubblici le più grandi fabbriche di maglioni del mondo, nel senso che molta gente è assunta in Rai per far nulla, e quindi sferruzza. Vadano su un canale satellitare qualsiasi e, se davvero ne sono in grado, dimostrino che sono capaci di fare opinione e informazione anche senza sfruttare l’utile potenza di fuoco di quella Rai politicizzata che tanto criticano: se ci è arrivato Fiorello ce la possono fare pure loro. In caso contrario sono complici del sistema come tutti gli altri, Vespa compreso, e quindi ci risparmino il piagnisteo.
Quindi, mi spiace per le anime belle che non vorranno crederci, ma chi oggi invoca mobilitazioni popolari lo fa col palese interesse di prendere il posto di chi al momento ha il controllo dell’informazione televisiva, non certo per liberarla. E se anche un giorno Mediaset venisse smembrata, nessun capo di Governo, fosse anche De Gasperi redivivo, dovrebbe mai più avere il potere diretto o indiretto di governare metà dell’emittenza nazionale. La nostra libertà non può dipendere dalla presenza o dall’assenza in onda di un giornalista Rai, cooptato da chissà quale ministro del passato in applicazione del manuale Cencelli, perché allora siamo fottuti, questo è meglio chiarirlo subito.
Dirò di più: se in questo Paese c’è un problema di libertà d’informazione – e c’è di sicuro, per questo alla fine scelgo di aderire a proteste e iniziative varie – per prima cosa mi piacerebbe che il partito in cui milito, quando è all’opposizione, ovvero per la maggior parte del tempo, la smettesse di rivendicare il diritto di nominare il direttore di Rai Tre, cosa che invece spetterebbe a qualcuno che abbia le competenze del caso: e non mi si risponda che è necessario per arginare l’emergenza Berlusconi, perché da Andreotti a Craxi questo paese non è mai uscito dalle emergenze, tanto che sono diventate il comodo alibi per mangiarci esattamente come tutti gli altri. Vorrei che il Partito Democratico disertasse i salotti catodici (o che almeno non ci mandasse sempre gli stessi quattro stronzi), che siano di Vespa, Floris o Santoro, e si impegnasse, nel caso che dovesse tornare al potere, mentre contestualmente regola e di brutto il conflitto d’interessi di Berl., a rinunciare a mettere le mani sulla Rai e a liberalizzarne la gran parte. Non ho mai sopportato chi fotte e chiagne, non lo tollero dagli avversari e a maggior ragione non mi piace che lo facciano i leader che sono costretto a votare e a sopportare.
Dopotutto, è vero che il fenomeno del berlusconismo è entrato nella sua fase terminale. Che duri ancora un anno o dieci, saranno comunque meno di quelli che sono già trascorsi: ma pensare che con la sua fine l’Italia si trasformi in un paese idilliaco è un errore micidiale, peraltro già fatto in passato. Ci sarà dato a bere come acqua fresca il riposizionamento impazzito di tutta una serie di personaggi, anche apparentemente non riciclabili, così come già ci siamo trovati ad applaudire Montanelli quando in un tempo non così lontano non ci spiaceva leggere che lo avevano gambizzato. Anche dopo Tangentopoli in molti avevano coltivato la speranza di poter ripartire da zero superando gli sbagli del passato, invece è successa una cosa che nessuno credeva possibile: la situazione è peggiorata. Ebbene, siccome al peggio non c’è mai fine, può succedere ancora, e succederà di sicuro se invece di pensare lucidamente e in prospettiva ci facciamo trascinare unicamente dall’emotività del momento, senza considerare adeguatamente non solo le persone a cui diamo il mandato, il permesso e il potere di decidere in vece nostra, ma anche il rischio di appaltare sempre e comunque a qualcun altro la nostra capacità di giudizio.

  1. Ciao.

    1) sei un masochista

    2) fatti assumere da qualche

    agenzia di sondaggi e rilevamenti.

    3) complimenti.

    ciao

    filemazio

  2. I post “incazzati” sono i migliori, sottoscrivo tutto. Ho l’impressione che come al solito rimarranno parole al vento, figuriamoci se qualche riflessione simili arrivi ai vertici del Pd

    utente anonimo
  3. Scopro ora di essere una cavia nelle mani di popolino…io ieri ho pubblicato sul mio profilo di FB l’invito a non guardare Vespa e a gustarsi l’Ispettore Coliandro, un telefilm per gli amanti del genere fatto veramente bene. Ieri poi con le apparizioni di Evangelisti e le citazioni di Deluze abbiamo toccato davvero l’apice.

    Il tema dell’auditel l’ho inserito nel profilo perchè conosco un biellese che è un “rilevato” e so che moglie e figlia sono su FB come è possibile ve ne siano altre tra i miei “amici”.

    Dico questo perchè ieri sera la televisione pubblica, quella che noi siamo obbligati a pagare con il canone è anche cosa nostra e quindi, se mette in visione programmi di qualità è giusto che questi vengano conosciuti e magari apprezzati.

    Il tema dell’informazione è cosa lunga da affrontare in un commento e a volte rischia di essere relegata in dibattiti d’accademia se è vero, come è vero ciò che scrive Daniele Luttazzi oggi su “il manifesto”. Certi signori della politica che usano e abusano del servizio pubblico a loro esclusivo interesse, dimenticano che sono da almeno nove anni che il copione non cambia.

    Peccato che oggi, siccome a pagare non è più il volgare e scomodo Luttazi ma il raffinato e piddino Floris, si indignano assai.

    A queste urla scomposte risponde il monopolista Berlusconi e le sue fregate d’attacco che con una miscela di populismo, uso sapiente delle “inchieste stampa” e molti soldi, stanno facendo le fortune del loro stesso editore.

    Se la mia anziana vicina di casa che è donna pia e anche cortese, decide di abbuffarsi di “Studio Aperto” e Emilio Fede vuol dire che la tanto amata “egemonia gramsciana”, quella che faceva entrare in connessione sentimentale la sinistra con il popolo è oramai cosa relegata ai libri di storia.

    Con buona pace dei sit-in dipietristi, degli strilloni di Repubblica e di tutta questa opposizione che a vederla fa solo piangere lacrime di rabbia!

    *appuntamento quindi a martedì prossimo su Rai 2, che Floris ci ha davvero rotto le palle!

    rp

    utente anonimo
  4. … ho ancora il fiatone per la lettura, ma bel pezzo.

    Complimenti.

  5. Io onestamente mi son gustato l’ispettore Coliandro,cercando di evitare RAI1 durante la pubblicità,ma verso le 22 circa durante una fase ri ricoglionimento (concedimi la parola) mi son dimenticato è ho beccato il PAPI mentre diceva:

    SE CAMMINO SULL’ACQUA LA SINISTRA E REPUBBLICA DICONO CHE NON SON NUOTARE!!!

    Essendo che non avevo voglia di sentire una “parabola del Vangelo” ho subito cambiato.

  6. Avviso eventuali ri-lettori mossi dall’improbabile voglia di rimettere gli occhi su tutta questa mappazza che ho fatto e forse farò ancora integrazioni, perché l’argomento è vastissimo e francamente sono stufo di sentire pareri da bar. Non pretendo di esaurirlo, ma almeno al prossimo che mi chiede perché non mi batto il petto per quel che trasmette la Rai potrò dirgli di venire qui per sapere come la penso, evitando così di trasformare una pausa caffè in un forum su due piedi.

  7. Quando arrivi a cento cartelle ti aiuto a trovare un editore. Straniero.

    (scherzi a parte, notevole)

    utente anonimo
  8. Il post in progress, la nuova frontiera del blogging.

    Maledetto.

    utente anonimo
  9. Per l’amor del cielo fermati.

    utente anonimo
  10. gentile blogger,

    ho scritto un post sul nostro blog e vorrei, se ti farà piacere, che tu lo commentassi: il pezzo si chiama “ducetto” così non ci siamo proprio!

    saluti, ethan lesath

  11. Oh, misericordia!

    Ho letto tutto religiosamente…

    Mi batto il petto: anch’io ho invitato su fb a non vedere papino a PaP, ma la verità è che non guardo mai né PaP né Ballarò né San Toro, salvo leggerne sui giornali pseudo liberi (che tu impallini) il giorno dopo… leggo alcuni giornali stranieri sul WEB ma francamente non mi sembra scrivano che in passato la tv italiana fosse un cesso come adesso… forse non era perfetta, ma è evidente che allora come oggi l’errore stava nel manico. Finché il CDA sarà di nomina politica col cavolo che ne veniamo fuori. Evidentemente, però, così come un tempo c’era modo di essere almeno appena meno indecenti – anche se chiaramente lottizzati – si può puntare al meglio.

    Temo però che se anche ci arrivassimo, a quel punto mitico, non ci sarebbe più nessuno davanti alla TV. Già oggi NESSUNO dei miei allievi adolescenti segue le trasmissioni per cui noi ci facciamo le seghe mentali…

    utente anonimo
  12. A parte le premesse statistiche non ineccepibili (se il campione statistico costituito dalle famiglie auditel è statisticamente corretto, dovresti trovare una percentuale di persone che hanno letto l’invito su FB che sono rilevate – a meno che il numero di persone che hanno letto l’invito non sia davvero basso – mettendo in conto anche il passa parola e lo starnazzare di tutti – vuoi che se lo 0,2% delle famiglie è rilevato, non sia passata voce per almeno 500 persone??), comunque, a parte ciò, direi che l’analisi e la prognosi sono assolutamente lucide e, a loro modo, terrificanti.

  13. Happy, la tesi era proprio che un rilevamento pagato dai rilevati non è attendibile, e soprattutto non dovrebbe condizionare la vita di un Paese. Da cui l’esperimento spiccio che era, appunto, spiccio. Secondo te stavo cercando di far statistica o di dimostrare che uno con due cifre in mano può appoggiare qualunque pezza? Suvvia.

  14. Caro Popolino, ti ringrazio per l’analisi più che azzeccata, che sinceramente mi ha fatto riflettere su aspetti a cui prima forse non avevo dato il giusto peso.

    Non ho seguito la trasmissione di Vespa come d’abitudine, non per aderire agli appelli di fb né per boicottarla, semplicemente perché da tempo non reggo questo genere di trasmissioni. Non sopporto nemmeno Floris, per cui sulla carta non mi tocca la monumentale diatriba sullo spostamento del programma. Ritengo inoltre che queste ridicoli tentativi auto-agiografici del nostro triste presidente del consiglio non giovino più di tanto alla sua immagine né servano a lunga scadenza a spostare il voto, almeno quanto ritengo inutile a tal senso il Tg (se così si può chiamare) di Fede. Generalmente chi sceglie di seguire tali programmi è già scherato: chi ci crede (peggio per lui!) e chi vuol farsi due risate (o più spesso una sana incazzatura).

    Che dire allora del mastodontico conflitto di interessi, se nemmeno la sinistra con tutti i suoi bla bla bla negli anni in cui ha governato è stata capace (forse nemmeno ha tentato) di risolverlo?! Niente, ce lo teniamo e ci conviviamo,come facciamo ormai da quindici anni!

    Infine che dire della libertà di stampa in Italia? Hai già detto tutto, giustamente, tu.

    Tuttavia, poiché stupidamente pago il canone, anche se per scelta da anni non guardo i canali in chiaro (escluso qualche raro film o qualche programma di RaiTre) mi INDIGNO al pensiero che i miei soldi vengano utilizzati per l’autocelebrazione ridicola e falsa di un uomo ridicolo e falso come il nostro presidente del consiglio.

    Mi INDIGNO inoltre per la prosopopea con cui crede di prendere in giro il mondo intero fingendosi un eroe e mi INDIGNO per la semplicità con cui riesce a mettere a segno i suoi propositi senza avere veri avversari né qualcuno che seriamente si opponga.

    E ho il grave timore che se non ci INDIGNAMO per una prevaricazione così semplicemente maleducata e arrogante, finiremo per non INDIGNARCI per altre cose ben più gravi e ci ritroveremo sempre di più in un mondo dove l’opinione pubblica avallerà certi comportamenti e li definirà “vincenti”. Allora saremo in una società molto povera e discutere sarà un bla bla bla ancora più sterile di quanto lo sia oggi.

    Grazie. SA

    utente anonimo
  15. Caro Paolo,

    le statistiche e i sondaggi vanno interpretati, nel metodo e nei numeri.

    Premesso che ho trovato la tua analisi sostanzialmente veritiera e condivisibile, quel che volevo dire è che l’auditel, così com’è, è uno strumento discutibile, ma il tuo piccolo campione è un campione che potrebbe essere, nel metodo, valido dell’auditel.

    Tutte le statistiche a sondaggio (come l’auditel, appunto), di fatto, sono soggette a variabilità, l’ha dimostrato molto bene nella storia il flop degli exit-poll. E’ quindi assurdo dar loro un crisma di validità: è quello, né più, né meno, che fa Berlusconi continuamente.

    Questo perché i numeri hanno un’ombra di infallibilità: se ho due pecore, quelle sono, né una di più né una di meno. Purtroppo non è così nelle statistiche.

    Il fatto è che Berlusconi usa questo strumento (“ho il 64,8% dei consensi”, non dice “più di metà, perché quel “virgola otto” sta a sottintendere un metodo, anche se nella realtà se l’è inventato), così lo stesso strumento può/viene usato contro di lui. Non ha senso, ma sul popolo questo fa colpo.

  16. 68,4% di ammirazione, non cominciamo a strumentalizzare la parole del miglior utilizzatore finale degli ultimi 150 anni , comunista&farabutto

    A.

    utente anonimo