Odio gli italiani, popolo di cazzari incorreggibili, e odio questa politica che non può essere altro che un’espressione di questo sentimento nazionale: una politica cazzara.
In questo momento, a poco più di due mesi dalle elezioni europee, non c’è una sola forza politica tra quelle in campo che non si proponga di rivedere i nostri vincoli di bilancio, cambiano solo i termini e gli ordini di grandezza: si va da chi più modestamente, ma comunque con difficoltà, chiede solo di poter spendere un po’ di più, a chi si propone di tagliare la testa al toro e di rinegoziare unilateralmente il debito nazionale.
Sono ipotesi che personalmente mi terrorizzano, e non capisco come sia possibile che non terrorizzino tutti quanti.
Non è colpa mia, non sono io a essere pessimista, semplicemente è molto diversa la storia che mi era stata spiegata in precedenza, e in particolare alla fine del 2011, quando un Paese intero si svegliò scoprendo il significato della parola spread, e con essa la nozione per cui un accumulo senza fondo di debito nazionale, alla lunga, beh, poteva essere un cazzo di problema.
In quel cupo Natale scoprimmo che l’Italia era considerata un Paese talmente indebitato e talmente inaffidabile che nessun grande investitore era disposto a rischiare i suoi quattrini per acquistare i nostri titoli, e che per venderli stavamo alzando i tassi d’interesse a un ritmo tale che certamente non saremmo stati in grado di pagarli alla loro scadenza, e infine che di lì a un mese ci saremmo impegnati così tanto che non avremmo potuto pagare la mensilità successiva agli impiegati statali. Un economista amico mio in quei giorni mi disse: se hai liquidità, apri un conto a Berlino e sposta tutto lì. Era serio.
Solo due anni dopo, senza che questo Paese si sia dato, a onor del vero, nessuna riforma particolarmente epocale – esclusa quella pensionistica della primissima fase del governo Monti, ovviamente – la narrazione è completamente cambiata: l’austerità è fallita, dicono ormai praticamente tutti, il 3 per cento è solo un numero, una convenzione, il fiscal compact è una follia imposta dalla troika.
Ed è tutto vero, intendiamoci, così come è vero che lo strozzino venuto a spaccarti le gambe con una mazza da baseball è odioso: ma i debiti si rimettono solo nel Padre Nostro, e peraltro solo a parole, è così che vanno le cose.
E quindi io mi chiedo se non siamo veramente impazziti, in questa escalation a chi la vuole sparare più grossa. Se non siamo più furbi che smemorati, a far finta che sia cambiato il mondo da quando il giornale di Confindustria titolava a caratteri cubitali “FATE PRESTO”. Su ogni italiano anche appena nato, ci ripetevamo ossessivamente solo due anni fa, grava un debito di 30mila euro: cosa è cambiato da allora? Che oggi la cifra è salita a 34mila, ecco cosa è cambiato.
Che discutiamo di come gestire il 3 per cento entro cui far stare il rapporto deficit/Pil, ma intanto il rapporto debito/Pil è al 132,6 per cento: centotrentaduepercento, percentuale più alta dal 1990, e se non vi fa impressione questa cifra, beh, dovrebbe.
Ma la colpa è della troika, degli speculatori, della culona tedesca, degli immigrati, delle coppie gay, dei padroni di cani che non raccolgono le cacche ai giardini, dei graffittari metropolitani, di Sorrentino e di Tony Servillo, di Allegri che ha ceduto Pirlo e dell’ira di Dio: di chiunque fuorché nostra.