Fermatemi se l’avete già sentita.
Giorgio Napolitano fu eletto il 10 maggio del 2006 da un’assemblea di 1009 aventi diritto, con quorum a 505, aggiudicandosi 543 voti su 990 espressi. Si erano appena svolte le famose elezioni in cui l’Unione di Prodi aveva vinto per poco più di 20mila voti, oggetto in quei giorni di ricorsi e contestazioni. Non essendo possibile, in quel clima, nessun accordo con il centrodestra, pochi giorni prima l’Unione si era eletta Marini presidente del Senato, e Bertinotti della Camera. Poi Napolitano, che fu votato compattamente dalla (esigua) maggioranza, mentre i delegati del centrodestra votarono quasi unanimemente scheda bianca (correndo attraverso la cabina elettorale, scena che abbiano rivisto pochi giorni fa e che vediamo sin dal 1992, quando Scalfaro introdusse il gabbiotto per cercare di evitare, senza successo, le sceneggiate tipiche del sistema precedente, quello en plein air), tranne la Lega che votò Bossi e alcuni dell’Udc che votarono comunque Napolitano.
La prima dichiarazione post voto fu quella di Calderoli, che a nome della Lega comunicò di non riconoscere Napolitano come presidente degli italiani, seguì Berlusconi che disse “C’è stata l’occupazione di tutte le alte cariche istituzionali da parte della sinistra” e aggiunse subito dopo “Tanti auguri a Napolitano: auspichiamo che svolga il suo ruolo con imparzialità”.
Il muro contro muro era iniziato con un tentativo di trattativa in cui il centrodestra aveva proposto di ridare l’incarico a Ciampi, ma Ciampi stesso aveva rifiutato un po’ per l’età, un po’ per la consuetudine che non prevede secondi mandati al Quirinale.
Il centrosinistra aveva tentato una controproposta, e il suo nome era Massimo D’Alema, giudicato però inadatto – allora – dalla Casa delle Libertà perché la sua forte caratterizzazione politica mal si sposava con il ruolo di garanzia del Presidente di tutti gli italiani. In un’intervista pubblicata dal Foglio il 6 maggio, Fassino cercava di far digerire il nome di D’Alema disegnando un accordo col Pdl che prevedeva, nell’ordine: elezioni anticipate immediate in caso di crisi di governo (che doveva ancora ottenere l’incarico); tavolo per le riforme istituzionali dopo il referendum del 25 giugno (quello sulle riforme della seconda parte della Costituzione, poi bocciato); garanzia di non interferenza politica del nuovo Presidente, in quanto capo del Csm, sulle questioni giudiziarie.
L’intervista, e lo schema di accordo illustrato da Fassino, suscitò reazioni violentemente contrarie, in particolare da parte del presidente emerito della Consulta: Valerio Onida.
Sfumato D’Alema, a quel punto il centrodestra mise sul tavolo un primo nome, quello di Gianni Letta, subito silurato e sostituito da una rosa di quattro possibili alternative, rispondenti ai nomi di Amato, Dini, Marini e Monti. Già.
Sfortunatamente, nessuno di questi proveniva dai Ds, che era poi l’unico requisito richiesto a sinistra, e non era possibile raggiungere in altri modi il quorum richiesto nelle prime votazioni, poiché i blocchi erano solo due (cdx-csx), e non tre (si è aggiunto il M5S) come invece è oggi. Così, l’Unione votò scheda bianca per i primi tre scrutini, senza bruciare il nome di Napolitano che poi spuntò, e venne eletto, direttamente al quarto.
Pochi giorni dopo Napolitano diede l’incarico a Prodi, e il resto è noto.
(Volutamente non ho inserito i link alle pezze d’epoca. Buona ricerca)
proprio vero, in italia passano gli anni e non impariamo mai
Rimettiamo indietro il calendario di sette anni
impressionante
La cosa comica è che siamo messi meglio oggi
e quindi? Eleggiamo prodi e poi tra qualche mese andiamo a elezioni e regaliamo le macerie del paese a Berlusconi?
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Ottimo e utile post Paolo, grazie.