17 LUGLIO 2011

Quei bravi ragazzi

l_99685_c1b19e09Che io mi ricordi, ho sempre voluto fare il politico. Per me fare il politico è sempre stato meglio che fare il gangster. Quando cominciai a bazzicare i partiti e a fare dei volantinaggi dopo la scuola ho sentito che volevo essere dei loro. Fu là che capii che cosa significa far parte di un "gruppo". Per me significava essere qualcuno in un quartiere pieno di gente che non era nessuno. "Loro" non erano mica come tutti gli altri, "loro" facevano quello che volevano, e nessuno chiamava mai la polizia. I politici arrivavano con le auto blu e me le lasciavano parcheggiare. Giorno per giorno imparavo come si campava a sbafo, una mazzetta qua, un incarico là. Vivevo come in un sogno.
Ero il ragazzo più fortunato del mondo, perché sarei diventato un politico. 
Per noi vivere in qualsiasi altro modo era da matti. Per noi quella brava gente che faceva lavoretti di merda per una busta paga di merda e andava a lavorare tutti i giorni con la metropolitana e stava sempre in pena per i conti da pagare, per noi erano dei cadaveri, erano fessacchiotti, gente senza palle. Noi, se ci serviva una cosa, ce la prendevamo. Se uno si lamentava più di una volta che l'avevamo pizzicato aveva finito di lamentarsi per sempre, era ordinaria amministrazione, non ci pensavamo due volte.
Eravamo bravi ragazzi, ragazzi svegli.
Ci trattavano come delle stelle del cinema, ma eravamo più potenti, eravamo tutto. Le nostre mogli, le madri, i figli campavano bene con noi. Io avevo dei sacchetti pieni di gioielli nella credenza in cucina, avevo una zuccheriera piena di cocaina sul comodino accanto al letto. Mi bastava una telefonata per avere tutto quello che volevo: macchine gratis, le chiavi di una dozzina di appartamentini in città. Scommettevo 30 mila euro ai cavalli di domenica, e sperperavo le vincite la settimana dopo oppure ricorrevo agli strozzini per pagare gli alibratori. Non aveva importanza, non succedeva niente: quando ero in bolletta andavo a riscuotere un altro po' di tangenti. Noi gestivamo tutto. Pagavamo gli sbirri, pagavamo gli avvocati, pagavamo i giudici: stavano sempre con la mano tesa, le cose appartenevano a chi se le prendeva
E adesso è tutto finito. È questa la parte più dura, oggi è tutto diverso. Non ci si diverte più, io devo fare la fila come tutti gli altri e si mangia anche di schifo.
Sono diventato una normale nullità. Vivrò tutta la vita come uno stronzo qualsiasi.


Sono stato come folgorato, quando mi sono improvvisamente accorto che bastava cambiare poche, davvero pochissime parole dei monologhi di Ray Liotta in Goodfellas, per dargli un significato completamente diverso. Qualunquista? Può darsi, anzi: probabile. Ma fate caso a questo: volevo togliere la faccenda della "zuccheriera piena di cocaina sul comodino del letto", perché mi sembrava eccessiva. Poi ci ho riflettuto, e in realtà non lo è per niente. E questo dice tutto.
Comunque la accetto, l'obiezione: anche se non era mia intenzione fare la morale, ma solo far notare una cosa. Perché intanto è questo, che sta montando nel Paese, mentre la sua classe dirigente continua a vivere come sempre, fingendo che dopotutto "non ha importanza, non sta succedendo niente".
Nel film, almeno, ad un certo punto "finisce tutto". E in Italia?

  1. Se continua così, bisognerà vedere con chi si schiereranno le forze dell'ordine!
    Fausto Fabiano

    utente anonimo
  2. voglio andare a roma , voglio tirargli addosso tutte le monete che mi sono rimaste!!
    non possiamo organizzarci?come si puo' fare?non ne posso veramente piu'!lo schifo ha superato ogni limite

    utente anonimo