Sì, forse un po' pesante, il post di stamattina. Mi sono alzato presto, ho visto la notizia, poi ho aperto Facebook, dove uno degli aggiornamenti diceva più o meno: "E Berlusconi quand'è che lo fanno fuori?". Così, ho preso la prima del Nyt, l'ho modificata e l'ho pubblicata, c'ho messo appena due minuti. Non sono stato lì a pensarci.
Niente di che, anzi direi in linea col mio auspicio di sempre – accennato pure di recente – che intervengano i marines ovunque ci sia un bandito. La versione americanista dell'opinione di Asor Rosa che tanto ha fatto discutere, con gli yankees al posto dei carabinieri, questo perché onestamente io dei carabinieri non mi fido, mai fidato. Troppe perquisizioni moleste quando avevo vent'anni, sapete com'è: questione di piccoli rancori, di simpatie personali, ognuno c'ha le sue.
Ma questo non c'entra niente. Invece, mi sono immaginato la puntata di Ballarò di domani sera, l'apertura cabarettistica di Crozza che inizia con "Avete visto che hanno seccato Bin Laden?" e prosegue con "Lo sapete che Berlusconi…".
E via tre ore di diretta a esplorare la possibile lettura berlusconiana della morte del più ricercato terrorista del mondo. Come se fosse normale, come se le due cose avessero davvero un legame: e se non lo vedo è colpa mia, immagino. Poi magari non la fanno, una puntata così, apposta per smentirmi: ma posso immaginarmi come sia andata la riunione di redazione del programma, stamani.
C'è un bel passo di Mao II in cui De Lillo descrive il funerale di Khomeini, nell'89. Qualcuno dice che vi parteciparono addirittura 11 milioni di persone, non so se mi spiego: un milione in più delle firme che il Pd ha raccolto – forse – per cacciare Berlusconi. La calca fece addirittura schizzare il cadavere fuori della bara (e sarebbe imbarazzante se il nostro cercasse di scappare pure da lì). Ma quel che mi chiedevo è: voi ci andreste, al funerale di Berlusconi? Io me lo domando, e la cosa mi stupisce. Nel caso, dubito che mi lascerebbero sparare qualche sventagliata di Ak47. Questione di abitudini culturali, credo. Sarebbe bello, però.
Nello stesso romanzo, De Lillo si sofferma sul ritratto di Mao fatto da Andy Warhol, una delle tante famose serigrafie dedicate a icone di quel tempo, rocker, attrici, zuppe, tutta roba che abbiamo visto mille volte, che fanno parte del nostro patrimonio culturale condiviso. Su Mao, in particolare, perché già così onnipresente nell'iconografia cinese, e in quella rivoluzionaria in senso più ampio. Anche se oggi non più, per la cronaca: la nuova Cina liberista-comunista ha fatto piazza pulita di tutto il merchandising. Un lavoro immane, vista la quantità di materiale che ha circolato per decenni, ma portato a termine con rigore certosino: e lo dico perché io c'ho provato, a Pechino, a cercare un po' di pataccame pop-ideologico di quel genere, ma con scarsi risultati. I cinesi quindi ci sono riusciti, a spazzare via dal loro presente il ricordo di Mao, lo hanno rimosso in tutte le migliaia di forme materiali e non che aveva preso, e se non ci sono riusciti, beh, fingono davvero molto bene.
Il fatto è che non sempre sono a disposizione miriadi di cinesi certosini e dediti da sguinzagliare alla ricerca di residui iconografici e imprinting culturali. E così, l'icona sopravvive al modello originale, resta a prender polvere sugli scaffali delle chincaglierie che ognuno di noi ha nella testa. Soprattutto, contribuisce a comporre l'immaginario di tutti. Il problema con l'immaginario collettivo è che si tratta di un meccanismo complesso e delicato, e una volta che una nuova figura entra a farne parte è difficile cancellarla, anzi: opporsi ad essa rischia di radicarla ancora di più, e ciò nonostante è impossibile non averci a che fare, pro o contro, per molto tempo a venire.
Scrivendo di Mao e della sua immagine, De Lillo parte dal concetto stesso di pop art per fare alcune interessanti riflessioni su cosa succede quando un essere umano diventa icona, e poi idea astratta, quando viene ritratto in un'immagine replicata milioni di volte. Anche, si chiede cosa resti del suo significato, quando si diffonde tanto da venire usata in contesti completamente diversi da quello iniziale. E soprattutto, cosa succede nella testa della gente, quando questo accade.
Ovviamente non è questione di se, è questione di quando, ma di certo lo scopriremo anche a proposito della nostra personale, anomala icona nazionale, e non credo che la risposta ci piacerà. Per quel che mi riguarda penso di conoscerla da un pezzo, e tanto mi basta per sapere che, alla fine, a quel funerale non avrò motivo di andarci.
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Se ho ben inteso, delinei, dopo le magliette col Ché e gli accendini col Presidente Mao, una possibile linea di goldoni con l'icona di Silvio ?
lbb
caro lbb, Mao non aveva le tivù, altrimenti, altro che magliette e accendini… Hai presente quelli che "il berlusconismo del Grande Fratello e dei reality"? Ecco, non bisogna essere Aldo Grasso, per rendersi conto.
Pop, a volte tu mi prendi troppo sul serio.. Anche quando minchioneggio. Cmq il problema c’è, è lì da vedere. Tipo la tizia che fuori dal tribunale di Milano lo definiva “un bel passerottino che vola di qui e di là e fa tanto del bene”. In un paese normale, a una così non mettono il microfono davanti, ma la accompagnano all’ospedale più vicino perché è probabile abbia preso un colpo di sole.. Saluti cari, lbb
Popo mi piace il tuo blog, ma il grande timoniere, a Pechino, si ve(n)de ancora
un sito per tuttti
http://www.plasteredtshirts.com/
Sarà che io ho cercato al mercatino delle pulci, mi avevano detto che era il posto migliore.