La vignetta è di Sergio Barletta, e risale al 1976. E’ raccolta in un libro, l’Enciclopedia della Satira Politica, che Panorama pubblicò trent’anni fa a cura di Claudio Sabelli Fioretti, ed è solo una piccola testimonianza di un fatto storico molto ben documentato: ovvero la neutralità, la prudenza, la distanza, l’indifferenza dell’allora Pci per i grandi referendum dell’epoca, divorzio e aborto compresi.
Distanza del partito in quanto tale, ma non dei suoi elettori, che ne decretarono il successo con una schiacciante dimostrazione di democrazia dal basso. Che fosse moralismo ideologico, calcolo (sbagliato, evidentemente), difesa della propria egemonia d’area o fastidio per ciò che avveniva al di fuori di Botteghe Oscure, assieme a tante altre cose belle e importanti il vecchio Partito Comunista era anche questo, che si trattasse di referendum o del movimento femminista (o dei diritti civili, si direbbe oggi). Le militanti dell’epoca lo sanno bene, e tante volte hanno spiegato come le conquiste di quegli anni siano avvenute malgrado il Pci e non grazie ad esso, superandone insomma dall’interno e dal basso le millenaristiche liturgie.
Ora, capita che tra un po’ si debba tornare a esprimersi, per difendere la gestione pubblica dell’acqua da una brutta legge di questo Governo, e per opporsi (di nuovo) al nucleare. L’esecutivo sta facendo del suo peggio, che poi è il suo solito, il trucchetto di sdoppiare gli appuntamenti elettorali e quelli referendari per fiaccare la partecipazione (al modico prezzo di una mezza miliardata di euro). Lo si sapeva, e la paura di mancare il quorum – come è regolarmente avvenuto in questi anni – era la mia unica perplessità su questi quesiti, il timore insomma che una consultazione andata semideserta possa incoraggiare, anziché demolire, la determinazione di chi ci governicchia. Fornendo un argomento di eccezionale faziosità, però efficace: siccome gli italiani non si sono espressi,evidentemente le cose gli vanno bene così.
Con quello che sta succedendo in Giappone, e con quello che non sta succedendo in Italia (il Governo non sembra prossimo alla caduta, per dire), i referendum potrebbero essere finalmente l’occasione giusta – il game-changing - per mettere in discussione non tanto le fregole del Premier – cosa che, spiacenti, non funziona - quanto piuttosto le sue idee per il Paese. Per ridare alla forza di governo momentaneamente all’opposizione un po’ di respiro e di prospettiva, e un po’ di quei contenuti che si stanno facendo attendere da troppo tempo: cosa di cui forse – si spera – si sono accorti pure i suoi leader, dopo lunghi traccheggiamenti.
E’ un obbiettivo forse impegnativo, ma promettente, ed è fattibile (come lo sarebbe stato nel 1976 potendo contare su un terzo del totale elettori, ricorda giustamente la vignetta), specie all’indomani di una raccolta di dieci milioni di firme che evidentemente non manderanno a casa Berlusconi, e che allora, per non dilapidare quella potenziale voglia di partecipare, avrebbero bisogno di un nuovo scopo, uno un po’ più concreto, su cui essere spese (letteralmente).
Basta volerlo: gran parte del lavoro è già pronto, perché oggi come ai tempi della vignetta di cui sopra, sono stati i militanti a mobilitarsi, i militanti ad allestire i banchetti, i militanti a creare l’occasione, mentre il partito, di suo, cercava di non farsi notare.
Ma questo è un nuovo millennio, è un nuovo mondo, e forse oltre ai nomi, alle sigle, alle sedi e ai simboli, di nuovo serve pure la prassi. Sarebbe ora, sempre che non sia troppo tardi.
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È anche vero che se poi andasse male ovviamente verrebbero rinfacciate al Pd colpe che non sono del tutto sue. Però anche far finta di niente per prendersi il merito se va bene o lavarsene le mani se va male non è il massimo.