Sono ovviamente consapevole del fatto di non coincidere col target tipico del pubblico della Passione di Sordevolo. Sapete, la plurisecolare e sacra rappresentazione di teatro popolare di cui proprio in questi giorni è in corso l'edizione 2010.
Blando il mio interesse per il teatro, nullo il mio legame con questo genere di tradizione spiccatamente locale. E poi, non sono credente, e non è un dettaglio, perché immagino che il contrario sia d'aiuto a far sentire un certo trasporto.
Per questi motivi, mi ci sono avvicinato con una certa diffidenza, ostacolato, lo ammetto, dalla lunghezza della messa in scena e dal testo originale in rima. Col tempo – molto tempo, anni – devo dire che ho preso ad appassionarmi, anche se confesso che in questo percorso è stato importante un aiuto giunto dall'alto (ma non nel senso che si potrebbe intendere).
L'aspetto umano che sta dietro alla Passione, infatti, rivela storie formidabili. Un esperto del ramo potrebbe spiegarvi per bene che il bello del teatro popolare è la spontaneità con cui, nel caso della Passione, un paese intero si ritrova in scena, organizzando una macchina rappresentativa gigantesca, con tutti i limiti derivanti da una recitazione che non è mestiere, e che (capita) ruzzola su clamorose inflessioni piemontesi malgrado il sistematico lavoro preparatorio fatto sulla dizione da alcuni che hanno titoli sufficienti a dirigere lo spettacolo. Io non sono un esperto (malgrado abbia scritto di teatro per anni, purtroppo il giornale non poteva permettersi di pagare un collaboratore più competente di me che se ne occupasse), e quindi il mio divertimento deriva da motivi non particolarmente tecnici.
Prendiamo Gesù: nell'anno della messa in scena, a Sordevolo convivono più Gesù – quelli attuali mi pare siano tre – perchè le repliche sono molte e serve un turnover. Tre Gesù, tre Madonne (immagino, e sia detto con rispetto), tre Erodi, tre Giuda, e così via. Mi vedo i sordevolesi che si incontrano per le vie del paese: "Stamattina ho visto Gesù". "Ah sì? Quale?"
Il Biellese non si lascia mai scappare la possibilità di intervistare tutto questo ben di Dio (letteralmente), e così un paio di settimane fa è uscito questo pezzo in cui uno dei tre figli del Santissimo spiegava che lui, il ruolo di Gesù, l'aveva sempre trovato deboluccio. Ora invece ha scoperto che possiede un certo carattere. Ricorda un po' l'attricetta svampita e di facili costumi che aveva accettato il ruolo di Maddalena senza sapere che il personaggio aveva, come dire, certi costumi morali a cui lei non voleva essere ulteriormente accostata.
A un altro Gesù, uno di lungo corso, la pia giornalista ha rivolto speranzosa, come ogni santa volta negli ultimi quindici anni, la solita domanda sul perché avesse accettato il ruolo, sperando magari di sentire una risposta che avesse a che fare con la vocazione. Lui, come ogni santa volta negli ultimi quindici anni, ha risposto che la vocazione non c'entra, non è credente, ma la parte lo appassiona. Lo trovo fantastico, perché quando lui entra in scena, ispirazione divina o meno, a detta di molti che se ne intendono lui è Gesù. Se ne deduce, come ha detto il Gesù precedente, che davvero il personaggio ha un suo perché.
L'anedottica sulla Passione è quindi secolare quanto la sua messa in scena, specie tra chi vive in paese, e lo è anche ora pur essendo lo spettacolo diventato più ricco, ma anche più complicato: l'avere a disposizione mezzi importanti ha tolto qualcosa alla spontaneità, ma non l'ha cancellata tutta. Prendete la faccenda delle frustate: quando Gesù viene flagellato, tutta la finzione scenica del mondo non cambia il fatto che gli fanno male sul serio. Il verismo c'è, pur con tutte le cautele, e a volte non ci sono neppure le cautele, perché capita che qualche aguzzino si faccia prendere un po' la mano, diciamo. Un dettaglio che, una volta che lo si conosce, penso renda impossibile guardare quella scena con distacco.
La parte che preferisco in assoluto è quella dei calci in culo. Sapete – sì, immagino lo sappiate – ad un certo punto Gesù, uno dei tre, deve inerpicarsi verso il Golgota con la croce in spalla, seguito dai due ladroni ugualmente carichi. Il popolo che assiste, così racconta la storia, infierisce sui tre poveretti con spintoni, insulti, sputi. E calci, calci in culo.
Gli insulti sono insulti, un vociare indistinto dal tono minaccioso, e vabbè. Gli sputi sono sputi veri: lasciate perdere che dal punto in cui vi siete seduti, se siete un po' miopi come il sottoscritto, non cogliereste la differenza. Fidatevi, volano certi lupini che ci andrebbe l'ombrello, ma i poveri bersagliati sono impegnati con la croce e non possono ripararsi da quella pioggia di saliva. I calci in culo sono proprio dannatissimi calci in culo.
Non è mera esigenza scenica – il verismo, appunto, e la spontaneità – è più sottile di così, e può saperlo solo un sordevolese. Se qualcuna tra le calcianti comparse ha qualche faccenda in sospeso con uno dei tre poveretti, quella è l'imperdibile occasione di pareggiare i conti nella totale impunità. In modo completamente legittimo, poiché lo dice il copione. Gesù, in qualche modo, è tutelato dal fatto stesso di essere colui che è. Ma per i ladroni è tutta un'altra faccenda. Un po' per caso un po' per divina provvidenza, di tanto in tanto capita che i due ruoli siano assegnati a individui poco amati dal popolo, quello vero, esattamente come quello recitante poco ama i personaggi che interpretano. Un paio di edizioni fa, ad esempio, era toccato all'allora sindaco di un Comune vicino: dell'idea di calarsi in quel ruolo si è pentito di certo, perché mai avrebbe creduto che la sua gente avesse tutta quella voglia di prenderlo a calci in culo. Leggenda vuole che sia arrivato in cima al monte senza mai toccare terra.
Verrebbe da prenderla a modello, questa cosa dei calci in culo. Intravvedo numerose possibil applicazioni.
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Ma porca, adesso passerò tutto il giorno cercando di capire chi è l'ex sindaco che era stato preso a calci!
per quanto continui a preferire Jesus Christ Superstar
(e se questo fa di me un provinciale, pazienza)
si potrebbe avanzare la proposta di togliere il limite di due ladroni -
la partecipazione popolare aumenterebbe in maniera esponenziale -
se poi capitasse qualche assessore intra di quei, immagino ci sarebbe la richesta di deroga al sempice calzare, in favore di un anacronistico, ma ben più robusto, anfibio con punta rinforzata…
A.
Devo ammettere che neppure io ero mai stata molto tentata da questa rappresentazione. Certo che raccontata così ammetto che mi hai fatto venire voglia di vederla…
franci
è ovvio che il sindaco scalciato era dellarovere…