4 MAGGIO 2010

La Resistenza, Gim e la superpippo

c600d8e858cc81b159f65db4b2ef4008_mediumPer essere uno che è nato e cresciuto a Tollegno, che non solo non è il centro del mondo ma non è neppure degno di definirsi periferia, ho avuto una grande fortuna.
Ci ripensavo poco fa, leggendo sull'Unità dell'ennesima riforma Gelmini, quella che nel programma delle Superiori chiude il capitolo sulla Seconda guerra mondiale senza mai citare la parola "Resistenza", ci ripensavo perché molto prima che arrivassero la Gelmini e Berlusconi, io la Resistenza non sono mai arrivato a studiarla, semplicemente si accumulavano troppi ritardi, un anno su un altro, e non ce n'era il tempo. E allora, mi dico, forse la sinistra italiana avrebbe dovuto iniziare a difendere quella memoria già molto tempo fa, senza accontentarsi che fosse semplicemente ricordata in un programma ministeriale, e forse oggi quei valori sarebbero un po' più concreti, in questo Paese. Che poi questa è anche la mia posizione a proposito di tutti i simboli di questo tipo: la Costituzione, il 25 aprile, il Primo Maggio appena passato. Che sono simboli, appunto, che siamo troppo impegnati a difenderli in se e che si bada troppo poco a preoccuparsi che abbiano un po' più di riscontro nella realtà.
Ma, come dicevo, io sono stato fortunato. Ho avuto un nonno, e zii, socialisti prima che il termine diventasse un insulto, che erano scappati dalla Sardegna a Miagliano nel 1938, privati di tutto perché mio nonno aveva rifiutato di prendere la tessera del Fascio, "e i figli di un antifascista possono anche morire di fame", così gli avevano detto. Mi raccontavano, mentre cercavano di applicare quei valori antifascisti nel sindacato e nell'amministrazione del paese, in cui si erano fatti coinvolgere, dei partigiani che si nascondevano alle Case Nuove – una volta, uno, in una grande pentola, di quelle che servivano a cucinare per tutto il caseggiato – dei tedeschi che entravano per le perquisizioni con le armi spianate, motivo di incubi per i decenni a venire, e degli scontri a fuoco. Se capitate a Miagliano, c'è un palazzo all'angolo tra via Veneto e via De Amicis: in alto, vicino al cornicione, fino a non molto tempo fa c'erano ancora i fori di una mitragliata. Piccole storie, frammenti che colmavano le carenze della scuola, e fortunata la mia generazione che quei nonni ha fatto in tempo a conoscerli.
Anche a Tollegno: malgrado sia un bastardo posto, vi abitava la famiglia Tempia, e in particolare vi studiavano le nipoti di Elvo detto Gim. Io ero in classe con Camilla, che non vedo da molti anni, e questa fortunata coincidenza portò il suo celebre nonno in classe un paio di volte, e da lui ascoltammo qualche aneddoto dei suoi rocamboleschi trascorsi di partigiano. Una volta ci raccontò di quando si nascondeva, in una cascina, con alcuni compagni. Arrivò all'improvviso una squadraccia nazista, e mentre si accendeva uno scontro a fuoco ci disse di come riuscì a scappare da un'uscita sul retro, ma senza braghe, perché erano rosse e avrebbero fatto da bersaglio. Dati i tempi, la povertà, il freddo e la Storia, a quei tempi era normale portare sotto i vestiti la cosiddetta superpippo (anche se certo all'epoca la si chiamava diversamente), ovvero una tuta di lana integrale, in tutto simile a quella del buffo supereroe disneyano. E quindi Gim ci raccontò di questa sua corsa a perdifiato attraverso i campi, con indosso solo quei mutandoni, una macchia in fondo comica – ne rideva persino lui – tra gli sterpi secchi e ingialliti dalla luna, con i nazisti alle calcagna.
Avevo forse 13 anni, e quella storia aveva il senso perfetto di un film, di un romanzo di Salgari in cui anche lì, dopotutto, c'è un eroe che si ribella all'invasore. Forse è per questo che mi è rimasta dentro, e forse come tutte le testimonianze ha bisogno di una narrazione che, semplicemente, dentro i fogli della burocrazia ministeriale sta troppo stretta. Dopotutto, anche Elvo Tempia aveva capito che, se la sua avventura aveva avuto un senso, non era certo quello di esser riassunta in un santino eterno e immutabile, ma andava spesa per realizzare quella società migliore che a rischio della sua vita aveva contribuito a fondare, ma che sapeva bene essere molto di là da venire, nella scommessa sul futuro più che nel ricordo del passato. Con la creazione del Fondo Tempia, che il genitore Elvo ha dedicato alla memoria del figlio Edo, alla ricerca e alla lotta contro i tumori, quel valore maturato facendo la Resistenza è stato investito per un profitto futuro, impedendo che la paura di metterlo in gioco lo lasciasse ad ammuffire nel buio di qualche cassaforte.
A questo pensavo oggi, leggendo della riforma scolastica, dell'applicazione futura dei principi che mi pare molto più importante della sua semplice difesa, quando mi è tornato in mente Gim e ho trovato questo: "In definitiva mi accontentavo come i più, convinto di avere ragione perchè in ogni elezione il Pci andava divenendo in questo modo una grande contraddizione, sognando una società socialista, che fosse il massimo di libertà, senza rendermi conto – disinformato – che era una strada costruita sotto la guida dell'Urss. (…) I fatti del 1989, con il crollo del comunismo sovietico mi hanno travolto. Eppure ero convinto di andare al superamento del Pci e delle sue ambiguità, senza svendere la sua storia. Contavo sulla costruzione di un partito democratico del socialismo europeo. Sono stato deluso dal Pds e troppe cose non mi piacciono dei Ds".
Chissà cosa direbbe oggi.

  1. Così, mentre gli altri scrivono una nuova storia, e seminano e fanno attecchire nel subconscio collettivo nuove espressioni ("i morti di entrambe le parti"), la nostra memoria si sgretola nella confusione tra il simbolo di un valore e il valore stesso.
    Bella storia, per inciso.

    utente anonimo
  2. Cosa dire: un nuovo post da urlo.
    rp

    utente anonimo
  3. anche oggi ci hai fatto piangere

    utente anonimo
  4. Notare che nel mio Circolo perfino i rapporti con l'ANPI si erano affievoliti (quelli fra i singoli e l'associazione fortissimi, quelli del gruppo con la stessa debolissimi), a livello politico e di azione, a scapito del rapporto fra amministrazione e ANPI,  è stata una sorpresa non gradita.

    Riannodare quello e altri fili spezzatisi è stato necessario: un segno è stato l'aver donato all'ANPI 100 volumi che a sua volta essa donerà alle scuole nel corso degli abituali incontri che l'associazione svolge. Facendo didattica laddove il ministero non arriva per colpevole lassismo. Ostacolando il lavoro di quegli insegnanti che con normalissimo coraggio si ostinano a proporre radici culturali e ideali condivise ai bimbi che sono già oggi l'Italia di domani.

    Scivoliamo, vittime di un lassismo strisciante nei confronti di quello che è "storia" "resistenza" "valore fondante" e che viene sapientemente e volutamente fatto passare per vecchio, obsoleto e stantìo. Tanto sapientemente da sembrare innocente e naturale conseguenza del mutare delle cose…

    C'è ancora qualcuno che ha voglia di diventare "freno" in questo scivolo?
    Io qualcuno ne conosco. Uno lo vedo allo specchio al mattino.

    Marco Barbierato.

    utente anonimo
  5. http://www.youtube.com/watch?v=dqt4vVnXxWE&feature=player_embedded#!

    Cosa penseranno di questo filmato, alcuni nostri assessori?

    utente anonimo
  6. mi sono scordato…….
    Fausto Fabiano

    utente anonimo
  7. Paolo, mi hai veramente commosso.

    Fav1

    utente anonimo
  8. Noi abbiamo avuto fortuna.
    Io ho avuto fortuna. Quella, ad esempio, di avere avuto un nonno (classe 1898) che si è sciroppato la I guerra sul Carso e poi Vittorio Veneto, lasciandoci un polmone e guadagnandosi una medaglia d'oro. Il decreto di assegnazione, a firma Mussolini, fa il paio con le botte che ha preso dagli sgherri fascisti di paese per essersi rifiutato di far fare la divisa da piccole italiane alle due figlie, asserendo che le bimbe erano già, appunto, piccole ed italiane, e che per testimoniarlo una divisa era inutile.
    Ho la fortuna di averlo spremuto come un limone, quand'era in vita, facendogli un milione di domande.
    Ho ancora la fortuna di insegnare.
    Mi faccio un baffo dei programmi monchi della Gelmini, mi basta mio nonno.

    p.s. io alla Resistenza ci son sempre arrivata… e molto oltre!

    mm

    utente anonimo
  9. Sulla resistenza, sul movimento operaio e sindacale, ci ho fatto la tesi di laurea. A volte mi dico, meno male che non insegno storia… poi però mi dico anche peccato che non la insegno… Quando sarà abbastanza grande, a mio figlio potrò spiegare qualcosa e aiutarlo ad avere per lo meno una visione critica della storia e dei testi scolastici che si ritroverà in mano (non che i nostri, di libri, non ne avessero bisogno… forse esagerava chi criticava il Camera Fabietti a suo tempo, ma una qualche ragione c'era). Fortunati quelli che hanno avuto nonni e genitori a raccontare (anche per me è stato così). Peccato per gli altri…

    utente anonimo
  10. bravo Paolo! per chi, come me, ha studiato storia per passione (una laurea in lettere è ormai "passione") è confortevole leggerti. Credo che la "cultura" della Gelmini si fermi al secondo anno di asilo nido (e mi scuso con tutti i bimbi di età compresa tra gli zero e i due anni). Benedetta

    utente anonimo
  11. post veramente profondo. c'è da pensare….

    utente anonimo
  12. …..Pelle

    utente anonimo