All’inizio degli anni Novanta per un breve attimo sembrò che due pazzesche innovazioni tecnologiche dovessero irrompere nella nostra vita cambiandola per sempre: erano la realtà virtuale e i cd-rom, e la dice lunga il fatto che io debba linkare Wikipedia nel dubbio che almeno una delle due cose nessuno si ricordi più a cosa serviva. La prima forniva esperienze limitate dalla scarsa tecnologia dell’epoca, a costi irraggiungibili dall’utente medio, mentre i secondi avevano una dote, l’esplorabilità (posto che il termine sia ammissibile), che fu nettamente superata dalle ben più interessanti potenzialità del web. I giornali se ne occupavano con un misto di bambinesca eccitazione e sensazionalismo d’accatto, esattamente come fanno tuttora quando parlano di internet: ma non durò.
Andando ancora più indietro, di un quarto di secolo, si ricorda l’arrivo del cinema in 3D, e pure quello sembrava che da un giorno all’altro avrebbe trasformato gli spettatori in perenni indossatori di occhialini: ma l’effetto non era così stupefacente, ai miopi come il sottoscritto veniva mal di testa, e in casa non era riproducibile. Insomma, non era proprio uno scherzo come l’Odorama di John Waters, ma poco ci mancava.
Recentemente, una nuova ondata di film in 3D ha invaso i cinema: la tecnologia è migliorata di molto, e anche gli occhialini, pur restando fondamentali, si sono evoluti: chi è stato in una sala seria, ad esempio quella di Melzo, sicuramente ci ha già avuto a che fare in occasione di qualche cartoon. Stavolta potrebbe non trattarsi di una moda passeggera: i film in tre dimensioni in programmazione sono sempre di più, e a fine anno uscirà Avatar, che come quasi tutti i lavori di Cameron anche questa volta pare che costituirà un balzo in avanti dal punto di vista tecnico per tutto il settore.
La tecnologia in questione deriva in parte da strumenti nati per la progettazione industriale: la scorsa settimana sono stato a Stoccarda, dove i tecnici Mercedes mi hanno sventolato letteralmente sotto al naso l’animazione di un nuovo motore, e davvero mi sembrava di poterlo sfiorare. Un effetto che avevo visto anche alla facoltà di design del Politecnico di Milano, e che è interessente per le imprese quanto lo è per l’entertainment.
Nel secondo caso, però, la sfida è sempre la riproducibiità domestica, e a prezzi competitivi: specialmente se si incrociano le sue potenzialità con quelle del gaming e delle console per videogiochi.
Quelli di Popular Mechanics si sono posti il problema, e pur trattandosi di maneggioni in grado di customizzare i loro apparecchi a un livello non alla portata di tutti, sono riusciti nel loro intento senza il bisogno di ricorrere a passaggi troppo complessi, segno che anche le aziende potrebbero essere in grado di arrivarci in tempi abbastanza rapidi. Con risultati che pare siano sorprendenti.