C’è stato un dibattito, ieri sera all’Infedele, più che altro una sorta di "uno contro tutti" con un Dario Franceschini abbastanza tonico, lucido e combattivo messo al centro del ring. Oggi, alle 15,30, viene a Biella per una tappa della campagna elettorale, e vado a sentirlo: la piazza è la stessa in cui si fermò Veltroni un anno fa, e da cui ricavai un’ottima impressione. Ma sappiamo che poi le cose non sono andate molto bene.
Uno degli spunti più interessanti della trasmissione di ieri – su cui è tornato oggi anche Luca Sofri – è il tormentone "capire o non capire Berlusconi". Berlusconi fa quel che fa, come lo fa, e intercetta il consenso, e si rimprovera al Pd di non comprendere che se non si agisce parimenti quel consenso non lo si ottiene. Al che Franceschini, giustamente, ha rivendicato il diritto di fare ciò che gli sembra giusto, e di non poter agire in modo che ritiene sbagliato pur di acchiappare voti.
Insomma, se il Governo intraprende la strada del segregazionismo razziale, pur se condiviso da tanti italiani, una forza all’opposizione non può trasformarsi in razzista pur di risalire nei sondaggi. Mi sembra abbastanza semplice, e sensato.
A ben vedere, un partito che in nome dell’antiberlusconismo agisce in questo modo c’è già: ed è il partito di Antonio Di Pietro. Certo, Di Pietro non si mette a gridare "dagli al negro", ci mancherebbe. E’ una similitudine più sottile: Berlusconi, si dice, è padrone del Pdl, che non è un partito democratico. Di Pietro, ugualmente, è padrone dell’Idv, soprattutto dove conta, nella gestione finanziaria. Berlusconi, come è verificabile dalla cartellonistica elettorale, si candida alle europee truffando i cittadini, perché in realtà non potrà andare a Strasburgo, essendo già un parlamentare italiano. E lo stesso fa Di Pietro, con la motivazione che "siccome lo fa Berlusconi". Tesi debole, che non cambia la natura disonesta dell’operazione.
A me sembra un tipo di contrapposizione semplicistica che fa molto comodo, non dimostra molta fiducia nell’intelligenza dei cittadini, e soprattutto è malinconicamente vuota di contenuti, di significati un po’ più profondi: come è capitato un paio di settimane fa, quando Berlusconi a sorpresa si è augurato che il referendum abbia successo. Subito dopo Di Pietro ha ritirato il suo sostegno al comitato promotore del "Sì", senza nessuna motivazione politica se non quella per cui "se Berlusconi lo sostiene, allora noi no". E tanti saluti.
Questa paura di affrontare un’articolazione compressa è comprensibile, se si tratta di Antonio Di Pietro: non voglio fare dello specismo politico, ma sentendolo parlare non mi stupisco di questo suo modo di fare grossolano. Altro ci si dovrebbe attendere dal Pd, che sintetizza le eredità due delle più importanti componenti fondanti di questo Paese, portandosi dietro un bagaglio dialettico più raffinato.
Ad esempio, alla milionesima volta in cui viene posta l’obiezione che non si possono unire cattolici ed ex comunisti in una sola forza – obiezione giunta puntualmente anche ieri sera – sarebbe sufficiente ricordare che oggi il Pd aggrega esattamente quel tipo di identità che erano comprese nella Costituente Repubblicana. Basterebbe quindi rifarsi alla stesura della Costituzione, una volta tanto come esempio concreto e non solo come vago richiamo.
Ugualmente, di fronte a certe maliziose campagne di Sinistra e Libertà che puntano il dito contro la mancanza di laicismo del Pd, basterebbe far presente che l’Italia è un Paese zeppo di cattolici che sul testamento biologico sono a favore della libertà di scelta, che soffrono per il tipo di rappresentazione del mondo cristiano data dall’attuale Papa, che non vorrebbero davanti ai microfoni sempre e solo gli esponenti di posizioni minoritarie tipo Binetti e Bobba.
Nei fatti, gli argomenti su cui ci si dovrebbe mettere alla prova con maggiore impegno sono proprio quelli che per l’avversario rappresentano un punto di forza. Ad esempio l’immigrazione: è vero, il Pd non può mettersi a rincorrere il Pdl sul razzismo. E’ anche vero, però, che negli anni passati ci sono stati tanti segnali d’allarme che il partito avrebbe dovuto saper interpretare in tempo. Quando i sindaci di sinistra di mezza Italia lanciavano richieste di aiuto, segnalavano che nelle città si stava creando una voragine tra i quartieri per bene e le periferie prive di servizi, prive di sicurezza, prive insomma di Stato, Ds e Margherita avrebbero dovuto farne una battaglia cruciale.
Se c’è una cosa democratica e di sinistra, è intervenire dove c’è il disagio, dove l’immigrazione è forte e bisogna assolutamente evitare che chi già fatica a integrarsi nella società debba anche difendersi da aguzzini e delinquenti. Invece, schiacciato dalla paura di non saper articolare un messaggio abbastanza chiaro, pauroso di passare per razzista, il centrosinistra dell’epoca insistette nel dire che in Italia i problemi legati a sicurezza e degrado urbano non esistevano, salvo poi dover continuamente correggere il tiro di mese in mese. L’assist perfetto per il centrodestra.
Citare le statistiche per cui in Italia i reati sono in calo suona male a chi vive in un quartiere senza uno straccio di vigile urbano. E gli frega ben poco che fatta la media con il centro storico la criminalità sia molto bassa, ricorda molto il pollo di Trilussa: per uno che in un anno non viene mai rapinato, c’è un poveraccio a cui tocca due volte.
Argomenti simili a questo, su cui si è agito per contrapposizione ideologica salvo poi correggersi, dando l’impressione di inseguire l’avversario, quando sarebbe stato necessario essere più precisi e realisti sin dall’inizio, di certo non mancano:
- le tasse – le famose tasse che sono bellissime, secondo Padoa Schioppa – come se non si potesse pur restando fermi nell’intento di combattere l’evasione ammettere che sì, in Italia si pagano troppe tasse, tasse inutili, tasse ingiuste, spesso per servizi scadenti, quando non inesistenti, che gravano soprattutto sui lavoratori, e che penalizzano pesantemente le piccole e medie imprese;
- il rapporto coi sindacati, che non si possono seguire su tutti i terreni, anche quando difendono gli assenteisti o i facchini degli aeroporti che si fregano i bagagli;
- la giustizia, che è catalettica e si dovrebbe poter riformare non per questo vivendo ogni tentativo di modernizzazione come un attentato a uno dei poteri dello Stato;
- le riforme in generale, per arrivare a un Paese con iter legislativi più efficienti e catene istituzionali più corte, senza che questo venga interpretato come un attentanto alla Costituzione, anzi, cercandone una più concreta applicazione per i tempi che si vivono.
Tutte cose su cui c’è stata troppa timidezza, o peggio troppa sicumera ideologica, su cui bisogna poi smentirsi puntualmente un po’ di tempo dopo, ammettendo che "sì, non avevamo capito", lasciando però nel frattempo alla destra la possibilità di fare la destra, senza andare tanto per il sottile.