Il Times on line pubblica un articolo secondo cui l’idea che il web stia rivoluzionando le nostre vite non solo è falsa ma è anche pericolosa. Contiene quel tipo di posizioni che di norma sono così comuni in Italia, tra sedicenti sociologi da salotto televisivo, quelli che premettono "non uso internet, non so niente di internet" e subito dopo passano a spiegare che internet è il male, senza trovare contraddizione alcuna tra premessa e svolgimento.
Gli esempi portati a dimostrare la tesi del pezzo sono la solita fuffa superficiale, con qualche aggiunta dal sapore vagamente surreale: la pedofilia e i predatori sessuali – come se fossero geni in bottiglia che escono dalla presa del telefono, e non membri della società – le telecamere di Google che filmano le strade per conto di Street View, e il fatto che L’Oreal non sia riuscita a impedire a venditori iscritti a eBay di vendere suoi prodotti a prezzi ridotti. Surreale, come dicevo.
Poi si passa al web 2.0: il web 2.0 è una cosa che non esiste se non quasi esclusivamente nelle menti dei giornalisti dei media tradizionali, che hanno così entusiasticamente pompato il concetto in questi anni. Secondo il pezzo, il 2.0, aveva promesso di traghettarci in un mondo post industriale in cui tutto sarebbe stato smaterializzato in un flusso di elettroni, e invece oggi siamo inguaiati dalla crisi economica. Dalla crisi economica – cogenerata dal crollo del sistema immobiliare e dei mutui – e dal prezzo del petrolio: e questo perché internet non ha mantenuto le sue promesse. Già.
L’articolo prosegue sfoderando tutto il repertorio: Wikipedia che non è più quella di una volta, Twitter usato dalle celebrità, i flash mobs che sono una forma di settarismo libertario. Infine, a dieci righe dalla fine, l’autore svela finalmente dove voleva andare a parare:
And, finally, the everything-free, massively deflationary effects of the web may be over. Rupert Murdoch, head of The Sunday Times’s parent company, has said he is thinking of charging for online versions of his papers. The hard fact that somebody, somehow, has to pay for all this is breaking into web heaven.
Se le rondini avvistate in questi giorni fanno primavera, le grandi corporation dell’informazione e dell’intrattenimento si stanno preparando a una guerra, con uno scopo chiaro: trasformare la Rete facendola diventare uguale a tutto il resto della merda che ci circonda (la tivù e i giornali, ad esempio) un posto in cui pochi decidono, in base ai propri interessi economici, e lo fanno per conto di tutti gli altri. Se così dev’essere, come diceva Clemenza nel Padrino, prepariamoci ad andare ai materassi. Materassi duepuntozero, ovviamente.
La “first objection” mi ha decisamente convinto! Non frequenterò mai più il tuo blog! eh sì Paolo ti devi vergognare! Non ti rendi conto che contribuisci a distruggere gli organi istituzionali?
…
A parte tutto, senza forzare ulteriormente l’ironia, questo articolo del Times è veramente delirante. Ciò che però mi rattrista di più è che c’è tanta (troppa) gente che lo troverebbe perfettamente condivisibile e molto fine.
Riccardo
Infatti, se ci fai caso, nei commenti al pezzo c’è una certa condivisione di fondo. Non ci potevo credere.
Non mi trovo d’accordo con ciò che scrivi; non mi pare che l’autore dell’articolo riporti il solito repertorio di idee luddiste per cui l’internet è il male, anzi: l’analisi è proprio il contrario, tende a rivedere l’idea dell’internet come mero strumento, sul quale si sono costruiti un mucchio di sogni, e di affari, senza che le basi siano quelle solide.
Nell’articolo si parla di paure irrazionali e di sogni irrealizzabili, e in modo molto lucido: il blogging ha appiattito la qualità delle informazioni, ed è vero. Ha svilito la qualità delle informazioni, oggi, per fare un esempio banale, gli studenti fanno le ricerche su wikipedia, che ha dimostrato più volte di non essere poi così affidabile, mentre una volta quanto meno ci si rivolgeva alle enciclopedie “serie”…
Per quanto riguarda l’aspetto economico, il web 2.0 ha dato molto poco rispetto quello che prometteva. E forse parte della crisi è anche causa di questo: molti speculatori, per ignoranza o per furbizia, hanno investito in questo fantasma: e non è la prima volta che si critica il fatto che le dot-com hanno una capitalizzazione enorme rispetto la solidità reale: se le grandi aziende a fortissimo capitale “reale” (fabbriche, strumenti di produzione) sono in crisi, come possono reagire le aziende che hanno una valutazione altissima ma mezzi “reali” praticamente nulli?
Questo è, in parole poverissime, il sunto dell’articolo, il quale riporta anche diversi punti di vista culturali e sociali.
Mi sembra un’analisi lucidissima, tutt’altro che qualunquista, di quello che sta avvenendo oggi.
Non mi sento di esser poi così critico.
@HappyCactus: il problema di questo pezzo è che trasuda una certa malafede. Coloro che hanno “costruito su internet un mucchio di sogni e di affari”, come dici tu, sono soprattutto le aziende, e lo hanno fatto pensando di sbarcare in un paese della cuccagna in cui avrebbero facilmente sfilato soldi dalle tasche degli utenti per prodotti e servizi di qualità discutibile, ma su cui soprattutto esercitare un controllo assoluto. Se i loro sogni sono andati male è perché non possono concepire che gli utenti siano in grado di byapassarli e costruire da soli ciò di cui hanno bisogno. Questo ovviamente non riguarda tutte le persone collegate del pianeta, ma soprattutto le più consapevoli tra loro: ma è innegabile che chi in questi quasi vent’anni ha avuto idee funzionali si è trovato molto in fretta ad avere un vasto seguito anche tra chi di internet non sa poi molto. Non ti cito gli esempi perché sono evidenti e numerosi. Ti ricordi quando con l’abbonamento internet erano comprese un paio di caselle di posta con uno spazio di 50 mega, così piccole da doverle svuotare continuamente? Tutta roba che veniva pagata: ecco, poi sono arrivati quelli di Google e tutta quella politica è improvvisamente diventata storia. Ed è successo ieri, mica un secolo fa. E’ ovvio che questo destabilizzi chi conserva una certa idea di business.
L’iniziativa di L’Oreal contro eBay è lampante: gente che vuole il libero mercato, finché può tenerlo al suo guinzaglio. Certo, l’obiezione è che Google stessa si è trasformata in un moloch: ma il bello della rete è che domani può arrivare un altro Davide e buttar giù l’ennesimo Golia.
Quanto agli altri esempi, tutti i problemi elencati, lo ripeto, sono la solita fuffa di cui la società è già zeppa, ben più della rete, e far finta che nasca o si diffonda grazie ad essa è davvero madornale. Senza arrivare ai pedofili, basti dire che anche le enciclopedie non sono tutte uguali, ce ne sono di accurate e di raffazzonate, e altre sono vere e proprie truffe elegantemente rilegate. E contengono errori, come qualsiasi attività umana: anche voluti, e potrei citare esempi. La differenza con Wikipedia, è che un venditore non la vende furbescamente a tua nonna facendole firmare delle carte scritte in piccolo. Il Wiki rappresenta un modello di sapere condiviso ammirevole, che non ha precedenti nella storia dell’umanità. Certo, va tutelata da chi ci va a inserire stronzate, ma il problema sono gli stronzi, quelli in carne ed ossa decisamente 1.0, non Wikipedia.
Passiamo all’informazione: effettivamente è semplicistico pensare che i blog siano in grado di fare informazione “user generated”, probabilmente le cose sono più complesse di così. E’ pure vero che oggi con una connessione puoi facilmente scoprire che quello che ti raccontano i giornali non sempre è vero. Cosa che un tempo sarebbe stata più complessa.
Infine, la bolla speculativa, e il 2.0: tutta roba nata fuori dalla rete, sui mercati, sui media tradizionali. Io me li ricordo i tempi della bolla, e la rete era piena, piena di persone che dicevano “occhio a investire, attenzione che state comprando azioni di aziende che non hanno uno straccio di business plan”. Ma i giornali pompavano, i broker pompavano, i risparmiatori abboccavano… e dopo che tutto è finito a schifìo sarebbe colpa della rete? Stesso identico discorso per il 2.0: una cosa di cui si sono riempiti la bocca i pubblicitari, ma che secondo tutti gli esperti di cose della rete è solo uno slogan vuoto, senza definizione. Serve solo a far vendere progetti di siti pomposi: l’home page di un produttore di cucine, fighissima, piena di animazioni in flash, su cui però, cazzo, non ci sono le cucine. Non so se rendo l’idea
Ed ecco la malafede, la chiusura del pezzo con il rallegramento per la campagna con cui Murdoch spera di trasformare a pagamento ogni click del mondo: “fanculo tutto, l’importante è che aumentino i miei profitti”. Ci riuscirà? O semplicemente la rete gli farà il vuoto intorno? Io non ho dubbi su cosa augurarmi.
Sono d’accordo su quasi tutto. Infatti a mio parere il pezzo non intende dire che internet è sbagliata, anzi, lo dice chiaramente, internet è uno strumento, sopravvalutato.
Ed è proprio il fatto che può arrivare un davide qualunque a buttare giù i “golia” (evidentemente con i piedi di argilla) che rende internet sopravvalutato.
L’esempio è molto semplice.
All’inizio del boom della rete, gli abbonamenti costavano un occhio della testa. Non perché fossero i profitti a chiedere questi prezzi, ma perché erano le infrastrutture a richiederlo.
Sono arrivati poi gli abbonamenti gratuiti; è stato il momento in cui si è dovuto riversare il costo da qualche altra parte, dato che comunque i servizi si debbono pagare: server, personale, energia elettrica… Nel mondo non c’è nulla di gratis, tranne l’aria.
Idem per i servizi: le testate sul web erano autosufficienti perché a latere c’erano le testate cartacee a ripagare il costo.
Oggi i segnali sono che le testate web supereranno a breve quelle cartacee.
A questo punto ci sono due strade all’orizzonte: 1) si continuerà a fornire il servizio gratuitamente, tagliando i costi a cominciare dal personale professionista, a scapito della qualità, oppure 2) si inizierà ad adattare il businness all’eventualità che la testata sia a pagamento anche sul web.
Io sono, per forza di cosa dovuta all’esperienza professionale, uno di quelle persone che storcono il naso sul “gratis”. Perché, ribadisco, non esiste nulla di gratis. You get what you pay for.
Un esempio informatico è linux: un modello di businness difficile da condurre, un miraggio: Il sistema è gratis, il software è gratis, ma tutto è demandato alla buona volontà degli utenti. Prova a chiedere qualche cosa di diverso, una modifica… difficile averlo, ovviamente. alle volte è difficile anche avere una mano. Ovvio: anche il tempo, le competenze hanno un costo.
Ovvio che la colpa della crisi non sia di internet: è come dire che se c’è un incidente la colpa è della strada o dell’auto o peggio della fabbrica delle auto. Può succedere, ma quando il problema è generale, è più facile che siano gli utenti / le aziende che vi speculano i veri colpevoli.
Credo che l’autore volesse mettere questo in luce.
Guarda, io sono un giornalista, e figuriamoci, voglio essere pagato. Ma non dire “ci sono due strade, o si abbassa la qualità o si fa pagare”. Nessuno sa cosa succederà, e chi pretende di saperlo mente. Tu parli di qualità, ma se entri in contatto con una grande realtà editoriale ti rendi conto che buttano i soldi dalla finestra. Un giornalista della Stampa cambia auto, a spese della Fiat, OGNI DODICI MESI. Anche quelli delle redazioni locali. I pubblicitari hanno passato 15 anni a svendere la pubblicità in rete e si sono piegati al valore risibile del pay per click, e oggi che internet tira e vorrebbero alzare i prezzi i clienti non gli danno retta. Non c’è mai stata tanta domanda d’informazione quanta ce n’è ora, eppure i giornali vanno male in tutto il mondo, e sperano di trovare in rete i soldi per salvare i loro volumi e le loro strutture: ma la realtà è che il loro tipo di informazione non soddisfa questo nuovo tipo di domanda, perché li costringe a modificare il loro modello di business. Non difendono la sopravvivenza dell’informazione, ma dell’informazione come la fanno loro. Mi sembri uno pratico: quanto contava nella tua vita il giornale cartaceo 20 anni fa? E oggi, ha lo stesso peso nella tua vita, o fa solo parte – non in modo così prevalente – di un sistema più ampio da cui trai le informazioni? E quando hai bisogno di un’informazione cruciale, vai su Corrierepuntoit e ti fidi di quel che ti dice o cerchi altri pareri su siti specializzati? Dopotutto, siamo su Popolino, e non in via Solferino… no? Il problema non è pagare, ci sono un sacco di aziende che in rete fanno i soldi con servizi e prodotti brillanti: il problema è quello che LORO voglio farti pagare, e non ci riescono perché evidentemente in molti pensano che non ne valga la pena.
Detto questo, resto dell’idea che il pezzo sia in sostanziale malafede.
Attenzione al sottile passaggio logico: se (statisticamente) gratis (implica) bassa qualità, non è vero che non-gratis (implica) non-bassa-qualità. Questo è semplicemente logica.
Detto ciò, la sintesi di tutto è che l’offerta si è ampliata, ma non necessariamente aumentando la qualità. Anzi, direi che la libertà di poter pubblicare ha fatto sì che chiunque possa parlare di qualunque cosa, soprattutto di cose che non conosce: parola di tecnico (sono un ingegnere).
Ciò ha richiesto da parte dell’utente una maggior coscienza ed attenzione sul contenuto. Questo perché per la maggior parte delle persone, gratis è sinonimo di meglio.
Il gratis ha anche un risvolto peggiore, ciò che è gratis può essere sprecato. E lo spreco porta, inevitabilmente, al peggioramento del servizio in generale: vedi i problemi di banda, i servizi internet inaffidabili, spesso dovuti da una parte ad una concorrenza spietata del gratis. Non per nulla oggi sono rinati i servizi “a pagamento” che “garantiscono” un servizio affidabile: mail e connettività.
Il discorso però va ben oltre il settore dell’informazione (intesa come notizie ed approfondimenti)… E’ un discorso globale, che affonda le radici nelle dinamiche economiche. Perché alla fine, siamo tutti d’accordo, internet, libertà eccetera eccetera… ma per mandare avanti la baracca occore quanto meno mangiare.
(mi rendo conto che sono saltato di palo in frasca.. spero che il mio punto di vista sull’argomento – vasto – si sia un po’ compreso. Peraltro gli argomenti in ballo sono talmente tanti che probabilmente mi sono allontanato fin troppo da quello originale… )