Miles Davis non è mai stato tenero con Wynton Marsalis: negli ultimi anni della sua carriera alcuni lo candidavano come suo possibile successore. E il Divino, da quella persona garbata che era, lo considerava un insulto. Secondo lui Marsalis suona per i bianchi – offesa suprema – limitandosi a ricicciare stili retrò orecchiabili e comprensibili al grande pubblico.
Insomma gli ha dato dell’artista commerciale, e tra jazzisti non è uno scherzo. Un peccato mortale, per un innovatore indefesso come Davis. Ieri sera l’ho visto da Letterman, e qui c’è la sua esibizione: divertente, molto ben suonata, ma effettivamente è uno swing che se non è vecchio di un secolo poco ci manca.
Non che manchino gli innovatori, da Garbarek a Mehldau, ma di tanta musica incredibile prodotta in decenni da due o tre folgoranti generazioni di musicisti, tutto quel che ha saputo farsi un po’ di strada nell’immaginario popolare è questa olografia molto semplicistica, spiace dirlo, un po’ da balera.
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