Nel gennaio del 1976 un soldato diciannovenne in servizio a Fort Dix, nel New Jersey, partecipò con il suo plotone a una marcia di 80 chilometri nella neve. Non avrebbe dovuto, perché era influenzato e i medici gli avevano prescritto di riposare. Dopo una sessantina di chilometri, Lewis stramazzò al suolo, e morì poco dopo di polmonite. Trattandosi di una ragazzo giovane e in forze, i medici militari ne studiarono la morte per scoprirne le cause, e rilevarono che era affetto da una forma di influenza suina il cui ceppo era simile a quello della Spagnola, risalente al 1918.
Nel volgere di pochi giorni, quello stesso virus infettò altri 155 soldati di Fort Dix, ma per qualche ragione non si estese a nessuno dei familiari o degli amici dei soldati fuori dalla caserma. Malgrado un paio di mesi dopo non ci fosse ancora nessun caso di contagio fuori da Fort Dix, le autorità mediche militari chiesero al Congresso uno stanziamento per produrre un vaccino per almeno l’80 per cento della popolazione americana. Il Presidente Ford si incontrò con i massimi epidemiologi del Paese e chiese loro se il Paese stava per affrontare un’epidemia di influenza e se le vaccinazioni erano necessarie. E loro risposerò di sì.
Dissero, per la precisione: “Ci sono prove che ci sarà una grande epidemia influenzale. Si tratta di un ritorno del virus del 1918, che è il più virulento: nel 1918 morirono mezzo milione di americani. Le nostre proiezioni dicono che questo virus ne ucciderà un milione".
Nel 1918, l’influenza spagnola aveva fatto un miliardo di malati e 22 milioni di morti in tutto il mondo. Quello tra il 1976 e il 1977 fu invece uno degli inverni con meno casi di influenza del secolo, in compenso ci fu molto panico, enormi spese e inutili vaccinazioni di massa. Una storia – eccezionalmente raccontata su Salon – non così lontana nel tempo, su cui oggi sarebbe il caso di riflettere e da cui imparare qualcosa sui giorni nostri.