Gli ultimi due minuti della puntata di lunedì di X-Factor contengono un problema cruciale nelle cose che Morgan sostiene, un equivoco di fondo che va avanti da due anni, dalla prima puntata della prima edizione.
La sua difesa della qualità della musica contro l’atteggiamento da basso commercio dei discografici e sacrosanta: è vero che la massificazione dell’arte si impone al pubblico – altro che libertà di scelta – ed è vero che ha invaso il mondo di roba discutibile. Ed è un discorso che vale per qualsiasi forma d’espressione riproducibile, e quindi vendibile: Clint Eastwood fatica a trovare i soldi per girare un film, mentre Michael Bay, per citarne uno tra molti, gestisce budget da centinaia di milioni di dollari per filmare stronzate. Magari divertenti, ma sempre stronzate sono, e non sto parlando di costosi giocattoloni o popcorn movies alla Spielberg, che comunque hanno un loro intento, sto parlando proprio di stronzi di plastica. Ciò avviene perché la figura del produttore talent scout si è estinta, sterminata da manager di multinazionali che producono merchandising e magliette e film e musica mettendo tutto sullo stesso piano e in base a considerazioni meramente economiche, e che dimostrano continuamente non solo di non capire niente, ma di non essere minimamente interessati a capirne di più.
Quindi, di nuovo, battaglia sacrosanta.
C’è un "però" grosso come una casa: quando la Maionchi ricorda a Morgan che dopotutto i dischi glieli fanno fare, che i discorafici da lui così disprezzati la grana per produrlo la cacciano, in un momento in cui le major licenziano a più non posso perché non si vende più un tubo, e che lui comunque la sua musica riesce a inciderla anche se "deve litigare con tutti", ebbene quando la Maionchi dice questo Morgan dovrebbe essere onesto e ammettere che un pubblico, per le sue cose, non c’è.
O meglio, forse c’è un po’ di più ora, grazie alla vituperata televisione, ma di fatto Morgan è un artista bravo e preparato che però non ha mai venduto in vita sua. Questi sono i fatti. E’ colpa dei discografici che gli tarpano le ali? Bene, allora prenda il suo compenso televisivo, prenda quegli sporchi soldi frutto di mercimonio mediatico e si autoproduca il prossimo album, cerchi insomma di inventarsi una strada sua che sia migliore di quella che a suo dire altri gli impongono di percorrere.
Premesso che non li ho, ma personalmente non investirei centomila euro per produrre un album di Morgan. E non perché non lo stimi, ma semplicemente perché non penso che frutterebbero. E quindi ho grande rispetto per un discografico che rischia la sua credibilità e il suo posto di lavoro dimostrando quel tipo di fiducia: e un pochino dovrebbe averlo anche Morgan.
Se è così sicuro di non finire fallito, faccia da solo; in caso contrario, non voglio dire taccia ma almeno si moderi. Elio e le Storie Tese, che tranne forse nel caso del primo album si sono autoprodotti da sempre, sono la prima dimostrazone che mi viene in mente del fatto che si tratta di una via praticabile. Ma lo è perché Elio e soci hanno un pubblico, ce l’hanno da trent’anni e hanno avuto fiducia che da quel pubblico sarebbero stati sostenuti nei loro investimenti.
Morgan può dire lo stesso? Secondo me no: e allora, finchè c’è un grigio dirigente che passa a pagare i conti di sala prove, stampa, grafica della copertina, promozione radio e tivù, manifesti e organizzazione tour, proprio perché è una persona appasionata e intelligente eviti di passare per ipocrita.
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